Come il ritornello di una canzone, torna puntuale il dibattito sulla riapertura dei navigli milanesi. L’occasione per ridiscuterne è stata la presentazione del libro “Riaprire i Navigli” tenutasi all’Urban Center di Milano il 23 febbraio, a cui hanno partecipato anche il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, il vicesindaco Ada Lucia de Cesaris e il consigliere comunale Roberto Biscardini. Un progetto che porterebbe alla riapertura di otto chilometri di canali, utili a metter in collegamento il Naviglio Martesana, il Naviglio Grande e quello Pavese con l’aggiunta della riapertura della suggestiva tratta di via San Marco. All’entusiasmo del presidente della Regione, «Un’idea affascinante — l’ha definita Maroni — nonché un’opportunità straordinaria per la città di Milano», si è aggiunto quello del vicesindaco. Che rilancia: «Pensiamo che in futuro non siano da escludere degli investimenti privati. Già dal 2016 potrebbero essere messi in atto alcuni interventi, fermo restando la necessità di effettuare precise valutazioni».
Secondo le stime il costo dell’operazione oscillerebbe tra i 120 e i 150 milioni di euro, con la possibilità di una sottoscrizione collettiva da parte dei cittadini milanesi. Gli stessi cittadini che nel 2011 espressero parere favorevole di portata quasi plebiscitaria nel referendum consultivo di indirizzo sull’ambiente organizzato dal comune di Milano. Il quinto quesito chiedeva loro parere favorevole o contrario sulla “risistemazione della Darsena quale porto della città e area ecologica e la graduale riattivazione idraulica e paesaggistica del sistema dei Navigli milanesi”, e il risultato fu un 94,32% a favore dei sì, su un’affluenza che coinvolse il 48,99% degli aventi diritto al voto.
Un’idea che, almeno per una volta sembrerebbe mettere tutti d’accordo, istituzioni e cittadini. Eppure c’è chi la pensa diversamente, come Gianni Beltrame urbanista e professore al Politecnico di Milano, che a lungo ha studiato la realtà dei Navigli. «Sono assolutamente contrario — afferma Beltrame — alle cose che dicono questi signori, che io ho denominato gli “scoperchiatori facili”. Il progetto non è attuabile per tanti motivi» All’interno delle tante motivazioni che renderebbero inapplicabile il progetto della riapertura dei canali, vanno sicuramente tenuti in considerazioni due fattori secondo Beltrame: per prima cosa i navigli sono un sistema di trasporto di concezione medioevale — decaduto per ragioni di evoluzione dei trasporti stessi — oggi non più recuperabili né riutilizzabili. E poi il sistema idraulico milanese è vecchio e ha scarsità di acqua.
«È un’idea falsa dire ai cittadini “guardate com’erano belli i navigli. Ve li restituiamo”. Non si restituisce niente. Riproporre un canale di cemento senza nulla attorno è un’operazione senza senso»
Inoltre il progetto pensato per riaprire i Navigli potrebbe risultare carente anche dal punto di vista storico-turistico. «Attorno ai Navigli — continua Beltrame — non c’è quasi più niente da vedere e da ricordare. Riscoprire i Navigli non significa riscoprire l’ambiente suggestivo ottocentesco intorno ai canali. La città negli anni si è ricostruita, cancellando quasi al cento per cento quei luoghi storici legati ai Navigli, ecco perché riproporre dei piccoli canali così come pensati nel progetto in atto, porterà solo a degli squallidi tagli nell’asfalto di una città che non richiama più ambienti e luoghi suggestivi. In poche parole la città dei Navigli non esiste più». E semmai si volesse provare a ricostruire il passato bisogna partire dall’idea che «la possibilità di restituire a Milano e ai milanesi una bellezza scomparsa, deve riconoscere che questa bellezza è scomparsa davvero. La città è cresciuta senza voler conservare una memoria di se stessa».
Resta però da capire, nonostante tutto ciò, come mai il discorso sui Navigli sembra essere sempre d’attualità: «È un’idea falsa dire ai cittadini — sottolinea Beltrame — “guardate com’erano belli i navigli. Ve li restituiamo”. Non si restituisce niente. Riproporre un canale di cemento senza nulla attorno è un’operazione senza senso». E aggiunge: «Me lo chiedo anche io come mai si riproponga sempre questo tema, e sono arrivato alla conclusione che si tratta di un’idea facile da vendere, che fa leva sulla nostalgia dei cittadini. Serve solo a creare suggestione, e chi ha avuto questa idea è la stessa mente che ha pensato di legare tutto ciò ad Expo 2015. Va poi considerato che nell’ottocento i milanesi, per vari motivi, non vedevano l’ora di chiudere i Navigli».
A non convincere l’urbanista milanese sono poi le cifre stimate per la realizzazione del progetto, oltre a tutti i problemi legati alla viabilità. «Saremmo di fronte ad un problema di viabilità tangibile, perché non si può abolire la circonvallazione dei navigli senza creare giganteschi problemi di trasporto. Basti pensare che per attraversare il naviglio c’era bisogno di un ponte in corrispondenza di ogni conca, ricostruire tutto ciò avrebbe un costo enorme. A cui si dovrebbe aggiungere quello per far ripenetrare l’acqua nella cerchia. Ecco perché credo che le cifre sbandierate dai fautori di questo progetto siano sottostimate».