Alessandro Baricco non ha niente da dire

Alessandro Baricco non ha niente da dire

Lo scorso 17 marzo Feltrinelli ha pubblicato La Sposa giovane, l’ultimo romanzo di Alessandro Baricco e, vista la frequenza di pubblicazione a cui lo scrittore torinese ci ha abituato negli ultimi anni, verrebbe quasi da dire che non è nemmeno una notizia. E infatti la notizia questa volta è un’altra: Alessandro Baricco non ha niente da dire.

Detta così sembra un giudizio tranciante, una sentenza pesante contro uno degli autori più amati e nello stesso tempo odiati del panorama italiano contemporaneo. Eppure non lo è, è tutto vero e la fonte è lui stesso, che in un incontro riservato ai blogger — la scelta non è causale — e organizzato nella sede della Scuola Holden, ha dichiarato che non ha più intenzione di parlare con la stampa dei suoi romanzi.

Ci sono due modi di prendere una dichiarazione del genere: la prima, quella lineare, è pensare che, quando dice che, dopo tutti questi anni di esperienza e dopo aver parlato tantissimo del suo lavoro, si è stufato di farlo, stia semplicemente dicendo la verità, che stia mettendo in pratica uno dei sacrosanti diritti di chi scrive: una volta finito il libro, dimenticarsene, lasciarlo alla propria vita e andare oltre.

Anche il non voler comunicare è una mossa di comunicazione

La seconda è pensare in modo più laterale, sospettoso, e pensare che sia una mossa di comunicazione anche il non voler comunicare, perché se inviti una dozzina di blogger di una dozzina di siti specializzati — e molto seguiti — di letteratura a sedersi insieme a te intorno un tavolo della Scuola Holden, imbandito di focacce e un paio di bottiglie di vino, e se, guarda caso, sul quel tavolo oltre alle focacce ci sono una dozzina di copie del tuo ultimo romanzo, qualcosa in mente ce lo dovrai avere.

A favore della prima opzione c’è l’espressione limpida e la voce tranquilla con cui Baricco spiega la sua scelta, a favore della seconda gioca il fatto che il preside della Scuola Holden, in fatto di comunicazione, ne sa parecchie. Ma al di là dell’interpretazione che ne vogliamo dare, resta il fatto: Baricco non andrà da Fazio, non rilascerà interviste ai quotidiani, né ai settimanali, né ai mensili e neppure ai blogger che sono andati a trovarlo alla Scuola Holden, a cui, oltre alle focacce e al vino bianco — buono — offre un giro guidato della Scuola — bella — e due chiacchiere a ruota libera sui libri e la letteratura — interessanti.

Preso atto che, per qualsiasi motivo l’abbia fatto, Alessandro Baricco ha deciso di non avere niente da dire su questo suo La Sposa giovane, passiamo al libro e vediamo se, al di là delle scelte personali dell’autore, qualcosa da dire ce l’ha.

Iniziamo col dire che La Sposa giovane è un libro decisamente strano, e che lo è a causa di una strategia narrativa spiazzante che rende la figura del narratore un grandissimo punto di domanda. Un narratore che, a differenza dell’autore reale, qualcosa da dire ce l’ha e che non cerca di nascondere la sua urgente ansia di parlare.

La Sposa giovane infatti inizia come un romanzo “normale”, narrato in terza persona, con un narratore che la narratologia chiamerebbe narratore extradiegetico onniscente di primo grado. Ma è solo la prima pagina, e basta voltarla per capire che qualcosa non torna, perché colui che parla in terza persona, nel giro di una frase, ce lo ritroviamo dentro il romanzo che parla con una prima persona plurale, diventando, sempre secondo la narratologia, intradiegetico. Visto che dove non arriva la narratologia, ci arrivano gli esempi (i corsivi sono miei):

Allora sciamano via dalle stanze, senza mettersi panni addosso, neanche passando dal sollievo di un po’ d’acqua sugli occhi, nelle mani. Con gli odori del sonno tra i capelli e nei denti, ci incrociamo nei corridoio, per le scale, all’uscita delle stanze, abbracciandoci come esuli di ritorno a qualche terra lontana, increduli per essere scampati a quell’incantesimo che ci sembra la notte.

Ma non basta, perché un paio di pagine dopo, quel narratore che dice Noi, ci spiazza di nuovo e dice Io:

Sono la Sposa giovane, dissi.

Il lettore a quel punto si perplime, ma continua a inoltrarsi nelle sale del palazzo della Famiglia, un palazzo borghese in cui si muovono i personaggi del romanzo — il Padre, la Madre, la Figlia, lo Zio — e che si chiamano proprio così, senza nomi, soltanto come ruoli familiari.

Per capirci qualcosa dobbiamo addentrandoci nel romanzo, sempre più perplessi, e arrivare fino a pagina 52 dove il narratore compie una virata decisiva e quell’Io a cui noi pensavamo come una ragazza diciottenne che sta per sposarsi, diventa uno scrittore cinquantenne con qualche ansia di morte imminente e una frequentazione assidua di un Dottore, probabilmente di quelli freudiani con il lettino, che prima si palesa — “il motivo per cui me ne sono rimasto in silenzio” (corsivi sempre miei) e poi si smaschera:

Ad esempio avrei dovuto riferire al vecchio amico come scrivendo della Sposa giovane mi succeda di cambiare più o meno bruscamente la voce narrante, per ragioni che lì per lì mi sembrano squisitamente tecniche, e tutt’al più blandamente estetiche, con l’evidente risultato di complicare la vita al lettore, cosa di per sé trascurabile, ma anche con un fastidioso effetto di virtuosismo che in un primo momento ho perfino cercato di combattere, arrendendomi però poi all’evidenza che semplicemente io non riuscivo a sentire quelle frasi se non facendole scivolare in quel modo, come se il solido appoggio di una voce narrante chiara e distinta fosse qualcosa a cui non credevo più, o che era diventata per me impossibile apprezzare. Una finzione per cui avevo perso l’innocenza necessaria.

Il lettore perplesso aggrotta il sopracciglio. Quel che l’autore chiama virtuosismo gli sembra una cosa che ha poco senso. Ma va avanti, perché del narratore, anche se inaffidabile e bugiardo, anche se ballerino e un po’ stronzetto, ci si deve fidare fino alla fine del libro. È voltata l’ultima pagina che si può iniziare a parlare e a metterne in discussione le scelte.

Sì, perché per quanto possa sembrare assurda, ogni scelta narrativa può essere legittima, e così, con in testa una presunzione di legittimità, bisogna andarle dietro. E qui arriviamo al problema de La Sposa giovane, un romanzo che, una volta finito, non ci lascia nulla. Il narratore nascosto nell’ombra non rivela nulla, se non una sua arroganza sotterranea, che ogni tanto arriva in superficie:

Se sei nato per farlo, scrivere è u gesto che coincide con la memoria: quel che scrivi, te lo ricordi. Di fatto, quindi, sarebbe stato inesatto affermare che avevo perso il mio libro, giacché, per dire le cose come stanno, io lo potevo recitare ad alta voce.

Il narratore de La Sposa giovane è uno scrittore — l’aveva già detto, mi pare, in qualche sua comparsata precedente — ed è anche molto sicuro di sé, arrivando a definirsi, o a suggerire al lettore di pensarlo, che è nato per scrivereOgnuno può dire quello che vuole, soprattutto se è un narratore all’interno del proprio libro. Ma accanto al suo diritto di far quel che vuole della e nella sua creatura, esiste anche un altro personaggio, il lettore, e anche lui qualche diritto ce l’ha.

Oltre al narratore, in un libro, esiste anche un altro personaggio, il lettore, e anche lui qualche diritto ce l’ha

C’è un paradosso, per esempio, che forse si insegna ancora in qualche aula di Lettere, in qualche corso di Narratologia — chissà se lo insegna anche Baricco alla Holden — che stabilisce che il punto di vista dell’autore sul proprio libro vale, se non meno, al limite uguale al punto di vista di tutti gli altri lettori. Detto meglio: una volta che il libro è stato pubblicato, appartiene al mondo, ai lettori, e se all’autore è concesso spiegare cosa voleva dire attraverso la sua opera, ai lettori e ai critici è concesso il diritto di fregarsene, interpretando liberamente la sua opera.

In questo caso, quindi, è pieno diritto di chi legge — e di chi in questo caso sta scrivendo — pensare che il narratore de La Sposa giovane non è nato per scrivere. Il giocattolo che ha creato infatti gli si sgonfia tra le mani, e non tanto perché le avventure della Sposa, del Padre, della Madre, dello Zio e anche del Figlio che, novello Godot, aspettano tutti con ansia. No, più semplicemente il narratore fa del libro un pastrocchio, facendo il comodo suo, mettendo piste che non portano a nulla, dettagli che non servono a niente, pistole che non sparano mai, si sussurrerebbero gli studenti più brillanti in quell’aula di Narratologia.

Alla fine, il lettore perplesso, dopo aver seguito il narratore nelle sue inutili acrobazie, dopo aver assistito a qualche squarcio intrigante di una Famiglia che avrebbe meritato di essere raccontata veramente, magari, invece che di essere usata come scusa dal narratore per sprecare l’occasione di farsi capire, dopo 184 pagine arriva alla fine e capisce che, un po’ come l’autore reale, Alessandro Baricco, anche il narratore de La Sposa giovane non ha niente da dire.

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