Le start up hanno spesso odore di pittura fresca: muri imbiancati prima di metterci piede e far partire l’ingranaggio di impresa e speranza. Muri bianchi da poco ritinteggiati ha la Quicon che nel centro di Napoli, sulla Marina, ha la sua sede: qui si lavora su software applicati al marketing di prossimità. È un settore della vendita che va prendendo sempre più piede e che si basa sulla tecnologia dei beacon: a vederli sono delle scatolette, piccole, piuttosto anonime, che hanno già iniziato a modificare il modo di fare commercio (ma le prospettive sono infinite, non riguardano solo la vendita).
Il beacon intercetta i dispositivi che gli passano vicino e trasmette loro informazioni. In un negozio segnala se ci sono delle offerte
Il beacon intercetta i device che gli passano vicino e trasmette loro informazioni. Questo vuol dire che, piazzato per esempio all’interno dello store o all’entrata, il beacon manda sullo smartphone (su cui è stata scaricata la necessaria app di “dialogo”) la segnalazione su che prodotti si vendono lì dentro, se ci sono delle offerte, che occasioni si possono cogliere. Ecco perché marketing di prossimità: intercetta gli utenti che sono vicini al luogo in cui avviene la vendita e che sono guidati negli acquisti mirati. Si calcola che nel 2018 il volume di affari legato ai beacon sarà nel mondo di 30 miliardi di dollari, che 4 milioni saranno i beacon installati, di cui 3 milioni per il retail.
In Italia la Quicon è arrivata tra le prime e il loro progetto ha già richiamato l’attenzione del 29° Salone Franchising di Milano dove è stato presentato, mentre il 10 e 11 marzo sarà al Retail Business Technology Expo di Londra, il più importante meeting europeo dedicato alla tecnologia per il business del retail.
La Quicon nasce per iniziativa di tre giovani napoletani: Vincenzo Chianese, Marco De Landro e Mario Sinno
La Quicon nasce per iniziativa di tre giovani napoletani: Vincenzo Chianese, 36 anni, direttore dell’area tecnologica, Marco De Landro, 27 anni, responsabile finanziario, e Mario Sinno, 28, amministratore. Tutti e tre sono attivi sul digitale anche con proprie imprese seguite in parallelo: su sviluppo di app, realtà aumentata, turismo georeferenziato. Poi la scelta di mettersi insieme e sviluppare le potenzialità del beacon che in America è ormai entrato nella normalità della vendita. Ci spiega Vincenzo: «In pratica noi forniamo al cliente i beacon di cui c’è bisogno per coprire il suo punto vendita, gli diamo il pannello di amministrazione, che funziona in maniera molto intuitiva e semplice e con cui lui stesso decide cosa i beacon devono trasmettere: foto, date, sconti. Ogni beacon è associato a un codice, da un server partono informazioni differenziate per ogni beacon. Mettiamo inoltre a disposizione la app gratuita da scaricare, e infine l’assistenza. Noi sostanzialmente vendiamo un abbonamento di almeno un anno per questo pacchetto completo, il cui costo varia a seconda del cliente, ma diciamo che costa all’incirca quanto una pagina di pubblicità su un grande giornale».
«Il nostro business non fa riferimento solo al retail, ma anche ai musei, al settore alberghiero, alla ristorazione, al turismo»
Per forza di cose la clientela è la grande distribuzione: un piccolo negozio ha meno necessità di intercettare e soprattutto guidare l’utente rispetto a una grande struttura che propone un’offerta assai differenziata e su enormi quantità. «Il nostro business non fa riferimento solo al retail, ma anche ai musei, al settore alberghiero, alla ristorazione, al turismo», dice Marco. «Quando pensiamo al beacon pensiamo all’evoluzione delle carte fedeltà dei supermercati, ma anche all’evoluzione dell’audioguida in un museo e in generale alla multimedialità, con la possibilità di far interagire il beacon non solo con lo smartphone ma anche con un monitor che per esempio mostri informazioni personalizzate per l’utente che gli si avvicina sulla base del suo profilo», aggiunge Mario. E un ulteriore versante aperto è quello degli smartwatch, che si vanno diffondendo sempre di più, offrendo ulteriori spazi a un tecnologia interattiva come il beacon.
Il gruppo di fondatori della startup Quicon
Quicon è operativa da circa un anno, iniziando con un capitale di 250mila euro, tutti privati gli investitori. Ai tre soci si aggiungono otto collaboratori, più un partner a Ginevra che lavora sul fronte degli accordi internazionali. «Per fortuna siamo riusciti a convincere un po’ di persone della bontà della nostra iniziativa, ma purtroppo va detto che per le start up ci sono grosse barriere soprattutto di tipo fiscale – sostiene Vincenzo -. Da questo punto di vista non c’è grande differenza tra l’essere a Napoli o a Milano, la vera differenza è tra Italia e resto del mondo. Occorrerrebbe maggiore sensibilità politica a investire seriamente sull’impresa tecnologica e in generale orientata al digitale. E lo dico anche se passiamo su un piano squisitamente tecnico: non è facile da nessuna parte trovare le figure specializzate che sappiano portare avanti un progetto informatico come lo sviluppo di un’app, che non è come sviluppare un sito perché c’è da lavorare su poca memoria, poca potenza di calcolo, e dunque occorre avere delle capacità non improvvisate di programmazione. La scuola e in generale gli istituti preposti alla formazione dovrebbero essere più solleciti a preparare i ragazzi su questi ambiti, che sono quelli che delineano maggiori prospettive in termini occupazionali. Ad ogni modo, approfitto per dire che noi siamo alla ricerca di giovani preparati che vogliano raccogliere la nostra sfida, basta andare sul nostro sito www.quicon.eu per proporsi».