L’ultimo rapporto annuale dell’Istat compie una ricognizione sulla “situazione del Paese” in cui emerge in modo preoccupante la profonda difficoltà del Sud. Il presidente dell’Istituto, Giorgio Alleva, segnala esplicitamente che da tutte le analisi emerge «con una regolarità quasi assoluta il Mezzogiorno nelle situazioni peggiori». Esplicito il suo richiamo al riguardo, rivolto alla politica e alle istituzioni: «Il Mezzogiorno è da molti anni – con qualche eccezione e qualche inversione di rotta che sarebbe ingeneroso non citare – assente dalle priorità delle policy. La dimensione del problema è tale che, se non si recupera il Mezzogiorno (le sue imprese, le sue città, i suoi residenti) alle dimensioni di sviluppo e di crescita su cui si stanno avviando altre aree e altri soggetti del Paese, sviluppo e crescita non potranno che essere penalizzati, quantitativamente e qualitativamente, rispetto agli altri Paesi».
«Se non si recupera il Mezzogiorno (le sue imprese, le sue città, i suoi residenti), sviluppo e crescita non potranno che essere penalizzati, quantitativamente e qualitativamente, rispetto agli altri Paesi»
Scendendo su un piano più particolareggiato dell’ampio rapporto dell’Istat, emerge che in realtà si dovrebbe parlare non di un Mezzogiorno, ma di almeno quattro Mezzogiorno. L’Istat suddivide il territorio nazionale per come si struttura attraverso le relazioni tra persone e tra soggetti economici e sociali, individuando sistemi locali di lavoro, prodotti dall’organizzazione spontanea e (in larga parte) autonoma delle scelte e delle azioni di questi soggetti, che consentono pertanto di osservare il “paese reale” nelle sue differenze e nelle sue particolarità.
QUATTRO TIPI DI SUD
I sistemi locali sono ambiti territoriali diversi da quelli amministrativi. Spiega così l’Istat come li ha individuati: “Dall’applicazione di metodologie di analisi statistica alla geografia funzionale dei sistemi locali emergono sette raggruppamenti di sistemi locali omogenei rispetto alla struttura demografica, alla dinamica della popolazione e alle forme dell’insediamento residenziale. Sintetizzando le loro caratteristiche distintive tali gruppi possono essere definiti come: le città del Centro-nord, la città diffusa, il cuore verde, i centri urbani meridionali, i territori del disagio, il Mezzogiorno interno, l’altro Sud. Abbiamo quindi un Mezzogiorno articolato in ben quattro aree. Per meglio capire come il Paese si presenta da questa mappatura, occorre procedere alla descrizione specifica di ogni singolo sistema locale.
“Le città del Centro-nord” è il gruppo che include i sistemi locali di alcune tra le principali realtà urbane (Roma, Milano, Torino, Bologna, Firenze, Genova, Venezia, Trieste ecc.). È l’aggregato più popoloso: 18 milioni d’individui, pari a circa il 30 per cento della popolazione italiana. L’attrattività di questo raggruppamento è legata alle condizioni del mercato del lavoro: il tasso di occupazione (40,9 per cento) è superiore di quattro punti rispetto a quello medio nazionale, i tassi di disoccupazione femminile e totale sono più contenuti e il lavoro precario è meno diffuso (17,9 contro 21,7 per cento).
“La città diffusa”, caratterizzata da un modello di sviluppo insediativo che privilegia le forme non compatte, è il secondo gruppo urbano che si delinea. Rappresenta un quinto della popolazione italiana (12 milioni) e si compone di 1.552 comuni (circa il 13 per cento del territorio). I sistemi locali del gruppo sono concentrati nel Nord-est, nell’area padana lombardo-emiliana e lungo i litorali marchigiano-abruzzese e pontino. La caratteristica saliente è la performance del mercato del lavoro, con valori di tutti gli indicatori migliori della media nazionale, che si associano a una maggiore presenza di imprenditori (4,2 per cento rispetto alla media del 3,4 per cento).
“Il cuore verde”, il terzo raggruppamento che si delinea per dimensione complessiva, presenta esplicite connotazioni rurali. Vi risiedono circa dieci milioni di persone (per la quasi totalità nel Centro-nord) ed è quello più consistente per numero di sistemi locali e di comuni appartenenti (rispettivamente 212 e 3.180). L’aggregato presenta alcuni fattori di dinamicità: circa il 60 per cento della popolazione vive in comuni diversi dal centro capoluogo e i flussi pendolari sono consistenti; soprattutto, gli indicatori del mercato del lavoro mostrano valori tutti migliori di quelli nazionali, in particolare per quanto concerne i tassi di disoccupazione.
Gli altri quattro raggruppamenti individuati includono sistemi locali esclusivamente del Mezzogiorno (a eccezione di alcuni sistemi interni del basso Lazio).
“I territori del disagio” descrivono, già nella denominazione proposta, alcune realtà urbane meridionali (conurbazione napoletana, area urbana di Palermo e, in Puglia, i sistemi locali urbani litoranei a nord di Bari) associate a connotazioni socioeconomiche fortemente critiche, in particolare per quanto riguarda gli indicatori del livello di istruzione della popolazione e del mercato del lavoro. In questi sistemi, su aree poco estese, si concentra un’elevatissima quota di popolazione (oltre 4,8 milioni di abitanti, con un record di densità, in media pari a 1.240 persone per km quadrati), comparativamente più giovane e con una forte prevalenza dei nuclei familiari numerosi.
Gli altri “centri urbani meridionali” presentano caratteristiche territoriali proprie, diverse da quelle tracciate dallo sviluppo urbano delle città del Centro-nord. Il gruppo include 26 sistemi, compresi quelli di Caserta, Salerno, Taranto, Brindisi, Messina, Catania, per un totale di 4,7 milioni di abitanti, con una struttura per età comparativamente meno anziana delle città del Centro-nord. I sistemi si caratterizzano per bassa dinamicità sia demografica sia rispetto alla propensione dei residenti al pendolarismo. Dal mercato del lavoro emergono segnali di criticità, con tassi di occupazione inferiori alla media, tassi di disoccupazione e precarietà superiori, soprattutto per la componente femminile. Anche queste città appaiono statiche, incapaci di gestire le rendite di posizione maturate in passato.
“L’altro Sud” è il raggruppamento del Mezzogiorno che esprime maggiori potenzialità. Aggrega 93 sistemi (per un totale di 990 comuni) con una base demografica di 6,8 milioni di residenti, dispersa in piccoli centri rurali o litoranei. Il raggruppamento deriva dall’unione di due gruppi relativamente affini, ma a forte connotazione geografica: uno costituito da sistemi prevalentemente concentrati in Sardegna (la quasi totalità, inclusi quelli delle città capoluogo), nelle province meridionali della Puglia, nelle località marine delle due coste della provincia di Catanzaro e della Sicilia, oltre che da alcuni capoluoghi del Mezzogiorno a elevata connotazione storico-culturale (Avellino, Benevento, Matera, Cosenza e Ragusa). L’altro gruppo è invece quasi esclusivamente composto da sistemi siciliani dell’entroterra etneo, pugliesi della Capitanata e della Calabria ionica.
In un contesto demografico caratterizzato da forme di relazioni familiari tradizionali e con nuclei numerosi, gli indici di struttura della popolazione mostrano per questo secondo gruppo una maggiore incidenza della popolazione molto giovane e un migliore indice di ricambio della popolazione attiva. Gli indicatori del mercato del lavoro del raggruppamento, pur comparativamente peggiori di quelli medi nazionali, con accentuazione delle criticità correlate in particolare a livelli della disoccupazione, appaiono per alcuni parametri migliori di quelli degli altri gruppi del Mezzogiorno: in particolare è più bassa la disoccupazione femminile e più elevata la quota degli imprenditori. In considerazione della localizzazione di questi sistemi locali in aree non compromesse da eccessiva edificazione, di elevato pregio naturalistico e ricche in termini di patrimonio storico-culturale, si potrebbe definire questo gruppo come quello del “Sud che spera”.
“Il Mezzogiorno interno”, l’ultimo raggruppamento, è il meno dinamico. Comprende i sistemi locali di tre gruppi affini, prevalentemente localizzati lungo la dorsale appenninica peninsulare tra il Lazio interno e la Lucania, in Calabria e Sicilia (soprattutto nelle aree interne), in Sardegna in una fascia di sistemi contigui che attraversa l’isola. Demograficamente è il raggruppamento meno consistente (circa 4,1 milioni di abitanti), dove la popolazione ha una densità bassissima (circa 74 abitanti per km quadrati). Include territori che si stanno spopolando da decenni. La popolazione è strutturalmente anziana e il mercato del lavoro appare asfittico, instabile e a ridotto orientamento al pendolarismo.
SGUARDO SUI TERRITORI
Questa differenza tra i Nord e i Sud del Paese emerge nettamente se si analizzano i tassi di occupazione delle diverse regioni italiane:
E tuttavia occorre ritornare nello specifico dei sistemi locali per capire come il lavoro e dunque la situazione economica personali influisca sul grado di soddisfazione.
Nei “centri urbani meridionali”, la probabilità di essere altamente soddisfatti decresce con l’aumentare dell’età. Nell’“altro Sud” solo i giovani tra i 14 e i 24 anni sono più soddisfatti, mentre le differenze per gli altri gruppi di età non sono rilevanti. Nei “territori del disagio”, il livello di istruzione incide in modo positivo sulla probabilità di essere molto soddisfatti. Nelle altre aree, questo elemento ha un effetto nullo o negativo, come nel caso dei “centri urbani meridionali” e della “città diffusa”. Nei “territori del disagio”, più che negli altri territori, un fattore che protegge maggiormente dall’insoddisfazione è la partecipazione culturale. Questo risultato sottolinea come, proprio nei contesti di maggiore fragilità, la vivacità culturale, intesa sia in termini di livello di istruzione sia di partecipazione culturale, giochi un ruolo decisivo per il raggiungimento del benessere individuale.
Tra i gruppi di sistemi locali si delineano differenze rispetto alla media nazionale riguardo all’influenza dei diversi aspetti della vita sul benessere soggettivo. Nel “cuore verde” la soddisfazione per la propria salute ha un effetto solo lievemente inferiore a quella per la situazione economica che, in generale, risulta l’aspetto più influente. Verosimilmente, nella zona in cui la quota dei soddisfatti per la situazione economica è più alta della media, nel giudizio complessivo emergono anche altri aspetti.
Le relazioni familiari influiscono molto sul giudizio complessivo nella “città diffusa“ e nell’“altro Sud”, dove il loro contributo è prossimo o superiore a quello della situazione economica. Il tempo libero ha invece maggiore rilievo per le “città del Centro-nord” e per il “cuore verde”. L’aspettativa di un miglioramento futuro favorisce alti giudizi sulla soddisfazione personale per tutte le aree, tranne che per i “territori del disagio”. La percezione di sicurezza nella zona in cui si vive fornisce un contributo a un alto grado di soddisfazione in tutti i contesti territoriali. E proprio sul capitolo sicurezza l’Istat si è occupata anche della criminalità. E’ emerso che, nel 2013, sono stati commessi 502 omicidi volontari, con un decremento del 14,3 per cento nell’ultimo quinquennio (2009-2013) e con forti squilibri nelle tipologie considerate: gli omicidi di tipo mafioso diminuiscono del 42 per cento, mentre quelli a scopo di furto o rapina aumentano del 50 per cento (nel 2013 sono rispettivamente 52 e 33).
Tra le regioni, le differenze sono marcate: la Calabria ha valori quasi tripli rispetto alla media nazionale (2,44 omicidi per 100 mila abitanti), ed è seguita a distanza dalle altre grandi regioni del Mezzogiorno. Il valore più basso, dopo la Valle d’Aosta in cui non si sono verificati omicidi, si registra invece in Veneto (0,24). Riguardo gli omicidi volontari commessi nei grandi comuni, i tassi per 100 mila abitanti son al di sopra della media nazionale (0,83) solo nella metà dei dodici considerati. Sono i “territori del disagio” a soffrire maggiormente del problema. I valori più elevati si riscontrano a Napoli e Bari (circa 3,0 e 2,5 per 100 mila abitanti), seguiti da Palermo (1,5) e Catania (1,3), mentre a Milano e Roma è stato commesso, nel 2013, un omicidio ogni 100 mila abitanti.
Inoltre, non è sempre vero che, a parità di contesto geografico, la grande città sia caratterizzata da più omicidi. Infatti Catania, Torino e Genova presentano valori inferiori rispetto all’insieme degli altri comuni della propria provincia. Nel quinquennio 2009-2013 Genova e Catania hanno visto migliorare la loro situazione ma ci sono state diminuzioni anche a Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli.
LA GRANDE BELLEZZA E IL MEZZOGIORNO
Dall’analisi complessa e diversificata del Paese l’Istat trae una indicazione che potrebbe costituire un’importante risorsa per lo sviluppo del Paese e in particolare del Mezzogiorno con le sue potenzialità ancora inespresse. L’indicazione è espressa con chiarezza sin dal titolo del paragrafo sull’argomento: “Dal patrimonio culturale diffuso il nostro futuro”.
“L’Italia è spesso rappresentata, con uno stereotipo, come un museo a cielo aperto, il Bel Paese, ricco di attrazioni artistiche e naturali, che si distingue per la sua storia, la tradizione, l’eleganza, lo stile e la qualità della vita”
“L’Italia è spesso rappresentata, con uno stereotipo, come un museo a cielo aperto, il Bel Paese, ricco di attrazioni artistiche e naturali, che si distingue per la sua storia, la tradizione, l’eleganza, lo stile e la qualità della vita. Un paese per il quale la creatività, il turismo e la cultura rappresentano il vero patrimonio nazionale. La caratterizzazione socio-economica dei sistemi locali permette di verificare in che misura fattori come il patrimonio artistico e naturale, la storia, la cultura e la tradizione locale, la qualità della vita rappresentino opportunità effettive per i territori, verificando se le risorse fisiche e le attività economiche rispecchino o meno la vocazione culturale e attrattiva dei luoghi”.
L’Istat ha identificato cinque raggruppamenti di sistemi locali sulla base di vocazione culturale e imprenditorialità.
I sistemi locali appartenenti al gruppo “la grande bellezza” ospitano il 38,1 per cento della popolazione italiana e risultano densamente popolati (oltre 400 abitanti per chilometro quadrato, più del doppio della media nazionale). Gran parte dei sistemi locali (41 su 70) contengono al loro interno città capoluogo di provincia. Inoltre, circa la metà comprendono siti del patrimonio culturale o naturale mondiale certificato dall’Unesco. I sistemi locali del gruppo ospitano 1.517 musei (un terzo del totale), che accolgono circa 72 milioni di visitatori all’anno (il 69,2 per cento del totale). In questo territorio sono organizzati quasi due terzi degli eventi culturali di rilevanza nazionale, tra mostre, esposizioni temporanee e festival. La vocazione culturale dei sistemi locali non sempre si riflette in un’attrattività turistica altrettanto pronunciata, a eccezione di alcuni territori, tra cui alcuni sistemi locali che si distinguono proprio per la loro specializzazione turistica (per esempio, Rovereto, Sanremo, Montalcino, Montepulciano, Orvieto, Capri, Amalfi).
Nonostante la presenza di eccellenze, questi luoghi non sembrano riuscire a indurre una fertilizzazione del contesto produttivo o a fare sistema con aree contigue o altri settori produttivi connessi
Il secondo gruppo individua territori che si qualificano in modo preminente per la “potenzialità del patrimonio”, e che corrispondono ai sistemi locali in cui la consistenza di patrimonio artistico-culturale e paesaggistico non sembra corredata da un’eguale presenza di attività né di alta formazione né di produzione culturale. Oltre la metà di essi è nelle regioni del Mezzogiorno:la Sicilia e la Puglia ne contengono da sole un quarto (rispettivamente il 15,9 e il 10,1 per cento). Solo una quota minoritaria (il 16,7 per cento) ricade invece nell’Italia settentrionale. Questo gruppo è caratterizzato soprattutto dalle dotazioni paesaggistiche, naturali e urbane. Connotano questi sistemi locali anche la presenza di borghi caratteristici e la forte identità culturale legata alle tradizioni eno-gastronomiche. Nonostante la presenza di eccellenze, che in alcuni casi contribuiscono a determinare l’immagine e il brand del territorio anche a livello internazionale, questi luoghi non sembrano riuscire a indurre una fertilizzazione del contesto produttivo o a fare sistema con aree contigue o altri settori produttivi connessi. Restano, infatti, eccezioni i territori che riescono ad assumere una dimensione e una forma distrettuale, come ad esempio i sistemi locali dell’agro-alimentare di Langhirano, Todi, Corato e Gioia del Colle.
Il terzo gruppo, “l’imprenditorialità culturale”, descrive realtà territoriali che, nonostante valori contenuti per quanto riguarda il patrimonio culturale e paesaggistico, riescono comunque a esprimere importanti capacità imprenditoriali nel settore culturale. Si concentrano per il 40,6 per cento in tre regioni: Veneto, Trentino-Alto Adige e Lombardia. La risorsa principale di questo aggregato territoriale è data dalla componente di imprenditoria.
Gli ultimi due raggruppamenti contengono i sistemi locali che, a differenza dei precedenti, non mostrano spiccati tratti positivi né rispetto alla dotazione né alla produzione culturale. Il gruppo del “volano del turismo” è tuttavia, in assoluto, quello più rilevante da un punto di vista quantitativo: rappresenta quasi un terzo della realtà nazionale. Oltre la metà dei sistemi locali si colloca nel Mezzogiorno e in particolare un quarto si concentra nelle Isole. In alcuni di essi si riscontra una significativa capacità attrattiva sul fronte turistico che potrebbe rappresentare un’opportunità di crescita e un volano di sviluppo anche per il settore culturale.
Circa la metà del gruppo “periferia culturale” non mette in mostra alcuna specializzazione economica, a conferma dell’incapacità di questi territori di attivare processi di sviluppo
Il gruppo della “perifericità culturale” accoglie i sistemi locali con dotazioni basse su entrambe le dimensioni e si caratterizza come residuale. Quasi la totalità dei sistemi locali (83,1 per cento) è localizzata nel Mezzogiorno e due terzi appartengono a solo tre regioni: Calabria, Sicilia e Sardegna (rispettivamente il 26,8, il 21,1 e il 19,3 per cento). Circa la metà non mette in mostra alcuna specializzazione economica, a conferma dell’incapacità di questi territori di attivare processi di sviluppo. Del resto l’84,7 per cento dei comuni del gruppo è situato in aree interne individuate dal Ministero dello sviluppo economico come obiettivi specifici delle politiche di sviluppo locale, in quanto distanti da grandi centri di agglomerazione e di servizio e con traiettorie di sviluppo instabili.
In conclusione, spiega l’Istat, “l’analisi proposta sembra condurre a un risultato importante, che conferma quanto la geografia del nostro Paese, tracciata in base alla vocazione culturale e attrattività dei territori, faccia emergere un quadro che nel complesso, a parte le criticità evidenziate dall’ultimo gruppo, appare fortemente caratterizzato da elementi positivi – effettivi o quanto meno potenziali – i quali rappresentano delle risorse e delle opportunità ampiamente diffuse sul territorio nazionale e che coinvolgono una pluralità di settori economici e produttivi: fattori preziosi su cui puntare per diminuire divari e disuguaglianze”.