’O pernacchioStudio Ghibli: le ombre del regno dei sogni

Studio Ghibli: le ombre del regno dei sogni

Lo Studio Ghibli non è il posto magnifico che si potrebbe pensare sia. La magia dei suoi film si ferma al grande schermo e difficilmente – molto difficilmente, anzi – riesce ad andare oltre. Si raggruma in scintille di intuizione e di genialità, perdendo tutta la costanza che invece ha in capolavori come La Città Incantata o Porco Rosso. È un momento, solo una pausa, nella (quasi) linearità di ogni giorno. Un po’ come la felicità per Leopardi: un frammento di non-dolore più che una vera e propria emozione a sé stante.

Lo Studio Ghibli non è il posto magnifico che si potrebbe pensare sia. La magia dei suoi film si ferma al grande schermo

Lo Studio Ghibli, inteso come gruppo di persone più che come luogo fisico, è fatto di luci e di ombre, di sensi e di controsensi; di assurde verità e, soprattutto, di uomini geniali con i quali è tremendamente difficile lavorare. Nelle immagini de Il Regno dei Sogni e della Follia, il docufilm di Mami Sunada, scopriamo proprio questo: il dietro le quinte della bottega, quali sono i rapporti e le conflittualità tra i suoi artigiani, com’è lavorarci e come si svolge, più o meno, una giornata al suo interno.

In questo senso, il documentario è il miglior formato per raccontare, mettendo totalmente da parte la finzione, la storia dello Studio Ghibli. È come una lunga intervista in cui il montaggio e la sceneggiatura sono dettate più dall’istinto che da un vero copione. C’è la guida della voce narrante e c’è una certa attenzione per i dettagli, specialmente per quelli che potrebbero sembrare insignificanti e che invece sono i più importanti. Gli uomini e le donne vengono ricostruiti dalla loro quotidianità, e in base ad essa vengono offerti al giudizio del pubblico.

Hayao Miyazaki arriva ogni mattina in ufficio «alle undici precise e posa la matita solo alle nove di sera». Ha una sua routine: indossa il camice bianco, fa ginnastica e fuma tantissimo

Hayao Miyazaki, per esempio, o Miya-san come lo chiama il produttore Suzuki, arriva ogni mattina in ufficio «alle undici precise e posa la matita solo alle nove di sera». Ha una sua routine: indossa il camice bianco, fa ginnastica, fuma – fuma veramente tanto. Lo trovi seduto al suo tavolo, o a quello vicino alla sua assistente di produzione, che tiene il tempo con un cronometro e ripete le battute nella propria testa per provare le scene. Ha più di 70 anni (72 nel 2013, oggi 74) ed è uno dei più grandi maestri dell’animazione giapponese di tutti i tempi.

È un uomo semplicissimo, dall’immenso talento, ma profondamente umano: non crede nella guerra, ma ne ammira le armi; non usa energia elettrica ricavata nelle centrali nucleari e dice tutto e il contrario di tutto di Takahata, l’uomo che l’ha scoperto e che per primo l’ha sostenuto. È facile alla rabbia, ha una grandissima attenzione per le tradizioni; adora la natura e trova la sua ragione di vita nei bambini. «Tutti, non uno in particolare». Come padre, però, è sempre stato assente. E il brevissimo spaccato che la Sunada ci mostra di suo figlio Goro, combattuto nel lavoro, insicuro del suo futuro come regista di animazione, lo dimostra. Traballa, e non c’è nessuno – Suzuki a parte – a sostenerlo.

Miya-san e Takahata hanno fatto film per oltre cinquant’anni: avevano una missione. Volevano, come artisti e come uomini, migliorare il loro paese

Miya-san e Takahata hanno fatto film per oltre cinquant’anni: avevano una missione. Volevano, come artisti e come uomini, migliorare il loro paese. Alla fine però hanno ceduto sconfitti. Il mondo è cambiato in peggio, e tutto ciò per cui si sono battuti non ha più senso per nessuno se non per loro stessi. È per questo che Miyazaki non sembra apprezzare gli otaku: perché sono persone che vivono dei loro interessi e non sembrano guardare oltre.

Ne Il Regno dei Sogni e della Follia siamo a cavallo tra il 2012 e il 2013, proprio mentre sono in produzione Si Alza il Vento e La Principessa Splendente. La regista Mami Sunada segue con la sua telecamere Miyazaki (e non Takahata) e il suo team mentre sono a lavoro. Intervista ognuno di loro. Chiede, indaga. Scopre. Perché niente è come sembra, e Miya-san è un uomo complesso. Con i suoi pro — la genialità, il talento, l’inspiegabile voglia di fare e di combattere — e i suoi contro, è talvolta pesante, eccessivo, intrattabile e inavvicinabile: persino il gatto dello studio sembra evitare i posti dove lavora.

Miyazaki è un uomo che odia la guerra, la ripudia. Ma è figlio di un costruttore di ricambi per aerei da guerra. In suo padre ha trovato la più grande ispirazione per Si Alza il Vento: Jiro Horikoshi, il protagonista, diventa antimilitarista perché così era il padre di Miyazaki; diventa un uomo buono e gentile con tutti perché così era suo padre. E una delle scene più importanti del film, quello della fuga durante il terremoto, è uno dei ricordi che Miyazaki ha di suo padre, che si era fermato, durante i bombardamenti, per aiutare lui e sua madre, per essere responsabile della sua famiglia «nonostante avesse solo 28 anni».

Miya-san ha letto nel cielo i segnali di quello che sarebbe successo: quando a Fukushima si sono fusi i noccioli (quando c’è stato “il grande terremoto”) Miya-san non si è stupito. Lo sapeva. Se lo aspettava. La consapevolezza del genio, il peso dell’esperienza.

Da giovane è stato sindacalista perché, dicevano i suoi colleghi alla Toei, sapeva parlare. Rappresenta il cuore dello Studio Ghibli, insieme a Takahata, mentre Suzuki ne è la mente: il motore. Senza uno di loro, il Ghibli non sarebbe la stessa cosa. E infatti, ora che i due registi hanno deciso di ritirarsi, il futuro dello Studio è incerto: non si sa cosa ne sarà.

Miyazaki un uomo che, nonostante il clima politico in Giappone sia totalmente cambiato, si ostina nel ribadire le sue idee

Ma al di là del Miyazaki regista e artista, è anche il Miyazaki politico quello che più incuriosisce di Il Regno dei Sogni e della Follia: un uomo che, nonostante il clima politico in Giappone sia totalmente cambiato, si ostina nel ribadire le sue idee. Addirittura, Si Alza il Vento viene “censurato” e l’unica scena di guerra viene eliminata. Suzuki, mentre sfoglia gli storyboard del film e rilegge la sceneggiatura, si lascia sfuggire un «è profondamente antimilitarista» come fosse una colpa. Miyazaki ammette di sì, che è così. Perché è così che crede fosse il suo protagonista, l’ingegnere Horikoshi.

Il Regno dei Sogni e della Follia sarà al cinema per due giorni, oggi e domani. Ed è veramente un’occasione da non perdere, siate oppure no appassionati dello Studio Ghibli. Il film è stato doppiato in italiano, con la voce (nel caso di Si Alza il Vento) dei doppiatori storici. Ma è un doppiaggio “documentarista”, perché in sottofondo sentiamo le voci e i suoni originali. È solo una trovata, una trovata azzeccata, per permettere allo spettatore di concentrarsi sul filo degli eventi raccontato e di non perdersi tra i sottotitoli.

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