Non lasciatevi ingannare dal titolo. In Per l’impero, non c’è l’impero romano. C’è un impero. Che è diverso.
L’impero romano, qui, è solo un esempio. Un’eredità da cui attingere, una testa di ponte per l’immaginario del lettore
Ci sono soldati, centurioni, eroi e un imperatore. Che ricordano quelli romani, ma che non lo sono. C’è una capitale da servire e onorare, da proteggere e da glorificare. Ma non è la Roma caput mundi che abbiamo studiato a scuola. Non ci sono gli italici e non si parla il latino. Siamo in un altro mondo: un mondo possibile, fino a un certo punto; un mondo che, a modo suo e secondo l’idea dei due fumettisti, l’enfant prodige Bastien Vivès e Merwan Chabane, è coerente con se stesso. Che somiglia a quello dei romani, prima della scissione tra occidente e oriente; che ricorda – ma solo alla lontana – gli ultimi anni di espansione sotto Augusto ma che, molto semplicemente, non lo è. Non è l’impero romano.
È come quando proviamo a raccontare qualcosa che non sappiamo descrivere a parole, e allora ricorriamo a un esempio. Ecco: l’impero romano, qui, è solo un esempio. Un’eredità da cui attingere, una testa di ponte per l’immaginario del lettore.
Più che una rappresentazione storica, o in qualche modo storicamente fedele, Per l’impero ha i toni di un gioco di ruolo da tavola, con personaggi stereotipati e ruoli molto – molto – definiti. C’è il principe degli arcieri, l’esploratore infallibile; il guerriero instancabile, una vera macchina da guerra formato essere umano. E c’è il condottiero per eccellenza, che i suoi soldati seguirebbero ovunque, anche in capo (e oltre) al mondo.
I disegni, opera di entrambi gli autori, sono semplici e intuitivi, mantengono una linearità efficiente e una certa “scorrevolezza” grafica, che non solo attirano il lettore, ma che incentivano la lettura e a finire la storia il prima possibile.
Quindi c’è la sceneggiatura: una miscela esplosiva di cameratismo, onore, guerra e ironia – quella che si trova tanto spesso nelle opere di Vivès, per intenderci: vera, infallibile, che strappa più sorrisi che risate – e di terminologia da gdr.
La storia è, come spesso accade, un pretesto: le ambientazioni sono palpabili, vere, colorate a regola d’arte (da Sandra Desmazieres); e si ha davvero l’impressione di viaggiare insieme al gruppo di Glorim, capitano dell’esercito scelto dall’imperatore per una missione speciale, e di seguirli oltre i confini dell’Impero, nell’esplorazione di terre dimenticate.
Ogni cosa, a partire proprio dai personaggi, ha il sapore della metafora: stereotipata e stereotipante, un mezzo ideale per dire qualcos’altro
Ogni cosa, a partire proprio dai personaggi, ha il sapore della metafora: stereotipata e stereotipante, un mezzo ideale per dire qualcos’altro. E qualcos’altro Vivès e Chabane sembra proprio che provino a dirlo: il loro racconto, uno pseudo-fantasy ambientato prima ancora del medioevo, è un racconto dai risvolti satirici, che punzecchia – ma questo è solo il punto di vista di chi scrive – la società e il capitalismo scellerato. L’eterna sete di conquista dell’Impero finisce per diventare un metro di paragone per il consumismo. E i suoi personaggi delle marionette in mano all’autorità (qui l’imperatore, altrimenti lo stato o la società) con una visione più ampia e spesso ingiustificata.
Siamo lì, nell’Impero, ma siamo anche qui. In un cortocircuito senza tempo e che Vivès e Chabane raccontano alla perfezione.
Questo è solo uno dei tanti piani di lettura attraverso cui si può giudicare Per l’impero. Un altro, altrettanto possibile, è quello di Per l’impero come un “semplice” racconto: fedele solo a se stesso, senza secondi fini o considerazioni moraleggianti. Restano i disegni, i colori; resta la freschezza della sceneggiatura, e la godibilità estrema dell’opera. Un viaggio nel tempo, tra passato, presente e futuro, tra Amazzoni, draghi e mostri; uomini che vengono messi a dura prova, e che alla fine dovranno cambiare per sopravvivere. L’importanza di sapersi controllare e di saper (soprav)vivere con quello che si ha. Il futuro, dopotutto, inizia dal presente: dal sapersi godere ogni momento.