Miti da sfatareQuando il volontariato buonista è un ostacolo all’integrazione degli stranieri

Parla l’attivista Ozlem Onder, rifugiata curda: «Io lo chiamo “miserabilismo”, è l’idea che il migrante sia visto come una persona da proteggere a ogni costo. Ma così non ci si inserisce nella società»

Raccolte di beni di prima necessità nei centri di accoglienza, marce di donne e uomini scalzi con tanto di flash mob, addirittura la distribuzione della pizza margherita più grande del mondo, preparata questa estate a Expo, nei maggiori centri di accoglienza milanesi. Insomma, quando si tratta di solidarietà gli italiani sono sempre in prima fila. Soprattutto se a essere difesi sono i diritti alla persona dei migranti, che sempre più numerosi giungono in Italia in cerca di una vita migliore. Ma siamo sicuri che, alla lunga, tutta questo prodigarsi della società civile giovi davvero all’integrazione? A chiederselo è Ozlem Onder, rifugiata politica 22enne che vive a Milano da 15 anni. Attivista per i diritti del suo popolo d’origine, quello curdo, Ozlem ha deciso di prestare la sua attività come volontaria in Soserm, l’associazione che per conto del Comune di Milano fornisce la prima accoglienza ai rifugiati in transito in Stazione Centrale.

Quando si tratta di solidarietà gli italiani sono sempre in prima fila. Ma siamo sicuri che, alla lunga, tutta questo prodigarsi della società civile giovi davvero all’integrazione?

«Negli ultimi due anni – spiega Ozlem – la mia esperienza in Soserm mi ha raccontato molto del popolo italiano: una cittadinanza attiva, che sa gestire autonomamente gli aiuti senza che le autorità intervengano». Come nel caso dell’emergenza siriana di questa estate: «A uno Stato impegnato nelle faccende internazionali – prosegue Ozlem – si sono sostituiti i cittadini: è stato un momento straordinario, perché si è creato un vero aiuto dal basso che nemmeno noi di Soserm ci aspettavamo. Un grande esempio di solidarietà che ha dimostrato quanto l’aiuto dei privati sia prezioso, di fronte a un’istituzione centrale che spesso latita o, peggio, rende più difficile il processo di integrazione».

Succede, per esempio, con la trafila per il riconoscimento del titolo di studio del rifugiato: un percorso lungo e difficile, causato spesso dall’impossibilità per il beneficiario di protezione internazionale di procurarsi tutta la documentazione attinente al proprio percorso di studi svolto in patria: «Ma – obietta Ozlem – se ci fosse una legge per incentivare i laureati tutto sarebbe più facile: molti cittadini del Sud Africa hanno una laurea in medicina, sono chirurghi, mentre molti eritrei sono laureati in informatica. Eppure lo Stato italiano, invece di servirsi di queste specializzazioni, non permette loro di svolgere un lavoro degno di quel titolo di studio perché non riesce a riconoscere quest’ultimo». Stesso discorso vale per il rinnovo del permesso di soggiorno: leggi complesse e file interminabili, in coda negli uffici pubblici di Questura, Prefettura e Comune.

«Nell’emergenza siriana a Milano, a uno Stato impegnato nelle faccende internazionali si sono sostituiti i cittadini: è stato un momento straordinario, perché si è creato un vero aiuto dal basso»


Ozlem Onder, rifugiata politica 22enne di origine curda

A colmare le lacune dello Stato, dunque, ci pensano sempre di più i privati cittadini. Spesso volontari, nei centri di prima accoglienza e nelle associazioni forniscono assistenza su molti fronti: quello legale, quello sanitario, quello scolastico. «C’è però un problema – continua Ozlem – ossia che a noi spetta la prima accoglienza e non un aiuto continuativo, che rischia invece di trasformarsi in dipendenza dello straniero dai volontari».

Secondo Ozlem molti suo colleghi tendono a sostituirsi non solo a uno Stato che non fornisce aiuti ma anche alle capacità dello straniero di imparare la lingua, trovare un lavoro, integrarsi realmente nella società. Un “buonismo” quasi compassionevole, che fa sì che l’italiano scambi il migrante per una persona da proteggere e “coccolare” a ogni costo: «Io lo chiamo miserabilismo – dice Ozlem – ed è l’atteggiamento che molti volontari hanno nei confronti delle persone cui forniamo assistenza: si pensa sempre che i migranti appartengano alle categorie più povere dei loro Paesi, in fuga da una situazione sociale drammatica e senza capacità alcuna di interagire con gli italiani. Ma non è sempre così: non si tratta quasi mai delle fasce più povere della popolazione, le quali, in assenza di risorse economiche, non possono certo permettersi di pagare un viaggio nella ricca Europa. Molti di loro, poi, sono profughi in cerca di un lavoro che sanno benissimo come farsi capire per muoversi nella società».

La tesi: molti volontari tendono a sostituirsi non solo a uno Stato che non fornisce aiuti ma anche alle capacità dello straniero di imparare la lingua, trovare un lavoro, integrarsi realmente

Un forte senso dell’assistenzialismo che, secondo Ozlem, è insito nella nostra cultura per due motivi: «Per il vostro legame, molto stretto, con la famiglia e per la vostra religione, quella cristiana, che ha tra i suoi obiettivi primari quello dell’aiuto verso il prossimo. Sono due valori molto belli, ma che rischiano tuttavia di interferire con il processo di integrazione a discapito degli stranieri». I quali, a loro volta, fanno più fatica a collaborare in vista del raggiungimento di un obiettivo a più lungo termine: «Mia mamma e mio papà non sono mai stata “serviti e riveriti”, e per questo posso dire che la nostra famiglia è entrata appieno nel tessuto sociale italiano. Conosco però molte persone che si approfittano di questo assistenzialismo forse estremo, senza rendersi conto che chi ne pagherà le conseguenze saranno le generazioni future».

«Io lo chiamo miserabilismo ed è l’atteggiamento che molti volontari hanno nei confronti delle persone cui forniamo assistenza»


Ozlem Onder