Quando uscì dalla clinica insieme al suo chiropratico tailandese questi gli chiese “cosa ti ricordi dei Novanta?” E lui, dando un calcio al pacchetto di Marlboro, rispose con un’altra domanda “Non é stato quello il momento in cui abbiamo smesso di usare i cognomi perché credevamo in fondo nei nostri nomi?”
Robbie è nato a Liverpool, nell’area di Toxteth, e a dire il vero era tifoso dell’Everton. Negli anni Novanta, a partire da quel 1993 in cui esordisce in FA Cup, poche cose a Liverpool sono interessanti quanto Robbie. Forse qualche concerto delle Spice Girls, qualche trasferta dello United, qualche goal di Steve e poco altro. Quando Robbie inizia con la prima squadra, al centro dell’area c’è ancora Ian Rush, che da Torino sta riportando ad Anfield i baffi e l’incubo delle difese italiane. Rush con i suoi cinque campionati inglesi e le sue 346 marcature tra campionato e coppe, ha trascinato sino a metà degli anni Novanta lo splendore di ciò che è rimasto degli Ottanta. Nel suo ultimo periodo a Liverpool Ian ha ancora la stessa capigliatura cotonata e sembra trovarsi bene con i compagni più giovani di lui. Certo, non riesce a capire il perché di alcune cose, ma questo non gli impedisce di dispensare consigli.
C’è una foto in cui Robbie e Ian sono seduti su di una panca di legno all’interno dello spogliatoio del vecchio Wembley. Il gallese quel giorno ripete al ragazzo di Toxteth di quando in Italia ha fatto la voce grossa e dicendo a tutti quei giornalisti ignoranti che se gli altri britannici avevano fallito in serie A è perché nessuno di loro era un gallese. “Robbie, soltanto noi gallesi siamo cresciuti sapendo cosa significa la fatica e tu che sei mezzo Irlandese. Beh, tu di sicuro non puoi capire”.