All’indomani dell’annuncio di Renzi all’assemblea nazionale Partito Democratico del 18 luglio scorso di abolire la tassazione sulla prima casa, molti commentatori e critici hanno avuto buon gioco a sottolineare come questa decisione – confermata nella legge di stabilità 2016, con la sola eccezione dell’esclusione dal provvedimenti delle case di lusso – fosse sempre stata uno dei cavalli di battaglia del centro-destra e di Berlusconi, in particolare. Non certo del centro-sinistra, in ogni caso.
Quasi nessuno, invece, ha ricordato come l’eliminazione dell’Ici, dell’Imu e ora della Tasi sull’abitazione principale siano state ossessioni peculiari della destra italiana. In altre parole, non troverete una simile richiesta negli annali delle dichiarazioni della Merkel, di Sarkozy o di Cameron.
Nella quasi totalità dei Paesi dell’Unione Europea, infatti, la tassazione della proprietà immobiliare – anche della prima casa – è a fondamento del sistema di finanziamento degli enti territoriali e nessuno si sogna di mettere in discussione questa delicata e complessa architettura tributaria e istituzionale.
Nella quasi totalità dei Paesi dell’Unione Europea, infatti, la tassazione della proprietà immobiliare – anche della prima casa – è a fondamento del sistema di finanziamento degli enti territoriali e nessuno si sogna di mettere in discussione questa architettura tributaria
È vero anche che la pressione fiscale sul patrimonio immobiliare è stata ampiamente al di sotto della media europea fino al 2011. Il 2012 è stato un anno di svolta, in questo senso. A causa degli interventi del Governo Monti, infatti, l’Italia ha scalato diverse posizioni nella graduatoria arrivando al terzo posto in Europa, con un’incidenza della tassazione dell’1,42% del Pil, rispetto allo 0,56% dell’anno precedente.
L’anno successivo, con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, si è però subito scesi all’1,19% del Pil, contro l’1,14% della media dell’Unione Europea a 28. Se poi restringiamo il confronto con le principali nazioni continentali, possiamo osservare come il soggetto passivo – quello che paga la tassa, quindi – sia il proprietario in Germania e Spagna, mentre in Gran Bretagna e in Francia – se diverso dal proprietario – tocca pagare all’inquilino. La base imponibile in Germania e Spagna è calcolata sul valore catastale, nel Regno Unito sul valore commerciale (council tax) o su canone convenzionale di locazione (uniform business rate,Ubr) e in Francia sulla rendita catastale.
La scelta del Governo Renzi di abolizione totale della tassazione sull’abitazione principale – con il plauso compiaciuto di tutto il centrodestra – è dunque in assoluta contro tendenza rispetto ai modelli dei principali paesi europei. Ancor più singolare è l’effetto regressivo di tale abolizione: nel 2012, infatti, poco meno del 10% dei proprietari aveva versato oltre il 35% del gettito complessivo.
A causa degli interventi del Governo Monti l’Italia ha scalato diverse posizioni nella graduatoria arrivando al terzo posto in Europa, con un incidenza della tassazione dell’1,42% del Pil, rispetto allo 0,56% dell’anno precedente
Va detto, per completezza, che in ragione di una differente modulazione delle detrazioni, l’eliminazione della Tasi finirà per produrre un impatto meno negativo sotto il profilo dell’equità fiscale rispetto all’abolizione dell’Imu e dell’Ici. L’ultima fascia dei proprietari – il quintile con i maggiori redditi – rappresentava infatti il 38,6% del gettito Ici, il 42,3% di quello dell’Imu e il 30,4% di quello della Tasi.
In definitiva, sotto il profilo di una corretta distribuzione del peso fiscale, l’abolizione della Tasi sulla prima casa appare un intervento corretto, mentre la cancellazione totale di una imposta immobiliare sull’abitazione principale rappresenta rispetto al contesto europeo una anomalia tutta italiana (solo in parte giustificata dall’elevatissima percentuale di proprietari sul totale della popolazione) e un passo indietro sulla tortuosa e accidentata strada dell’autonomia tributaria degli enti locali e dell’applicazione dei costi standard, che riporta il sistema agli anni settanta quando i trasferimenti statali erano calcolati sulla base della spesa storica.
Meglio, dunque, sarebbe stato agire sulla leva delle detrazioni: meno efficace da un punto di vista comunicativo, ma certamente più equa e anche maggiormente utile per sostenere la ripresa dei consumi interni.
*senatore del Partito Democratico