Dalla porta santa di Bangui, la capitale Centrafricana dove il papa ha aperto simbolicamente il Giubileo della misericordia, al Vaticano dei corvi, delle carte rubate, dei processi e del rischio attentati, alla porta santa di San Pietro che sarà aperta martedì prossimo. È in questo triplo scenario che si è mosso papa Francesco nelle ultime settimane. E la trasferta africana di Bergoglio in fondo ha avuto, fra l’altro, il merito di dimostrare un paio di cose: in primo luogo – e non sembri solo un paradosso – che Francesco ha più problemi a Roma e in Vaticano di quanti non ne debba affrontare in qualsiasi trasferta in giro per il mondo, comprese le più delicate e rischiose anche sotto il profilo della sicurezza. Le trappole curiali sono forse le più pericolose. In seconda battuta le ultime vicende, gli intrighi non esaltanti venuti alla luce di questi giorni, hanno avuto il merito di indicare una volta di più al papa come la via intrapresa sia quella giusta: non solo riformare le strutture e i dicasteri vaticani, ma procedere speditamente verso una decentralizzazione della Chiesa riducendo l’importanza, il peso specifico e il ruolo dei sacri palazzi romani e spezzando in tal modo, progressivamente, anche i rapporti politico-affaristici fra le due sponde del Tevere.
La moschea di Bangui
Se infatti le eccezionali misure di sicurezza messe in atto a livello internazionale per proteggere il papa nel suo viaggio in tre Paesi africani (Kenya, Uganda e Centrafrica), risentivano del clima di tensione generale di queste settimane, non c’è dubbio che Bergoglio abbia dato un messaggio forte nonostante i timori della vigilia. Il Papa ha abbattuto il “muro” della paura attraverso la visita alla moschea di Bangui, ha dialogato in modo non formale con le autorità religiose locali rifiutando ogni fondamentalismo, anche quello cattolico, scegliendo di schierarsi decisamente dalla parte dell’Africa e della sua gente, entrando nelle bidonville come nei campi profughi; in questo percorso si può rintracciare il miglior antidoto ad ogni ipotesi di aggressione o attentato di tipo fondamentalista, è lo stesso mondo islamico infatti, nei limiti del possibile, ad emarginare di fronte a papa Francesco, il radicalismo politico-religioso.
Le centinaia di caschi blu presenti in Centrafrica, insomma, hanno svolto certamente la loro funzione di deterrenza, ma l’accoglienza positiva, aperta, riservata al vescovo di Roma dai leader islamici locali, dalle persone, dai fedeli di più religioni, è stata senz’altro l’arma decisiva di una strategia del dialogo che si è dimostrata fatto concreto e non solo ideale. E poi quel dichiarare Bangui “capitale spirituale del mondo” vuol dire forse poco ai nostri occhi distratti, ma moltissimo per una realtà enorme, dimenticata dal nord del Pianeta; la Repubblica Centrafricana è entrata d’improvviso nelle case di tutti gli abitanti del villaggio globale grazie a quel gesto compiuto da Francesco: le sue mani appoggiate su un porta “povera” di legno, di una cattedrale che non contiene forse tesori ma parla dell’umanità contemporanea.
Questi giorni, tra la spiritualità africana e gli scandali vaticani, hanno avuto il merito di indicare una volta di più al papa come la via intrapresa sia quella giusta: procedere speditamente verso una decentralizzazione della Chiesa spezzando i rapporti politico-affaristici fra le due sponde del Tevere
Lo show mediatico dei corvi
Nel frattempo a Roma e in Italia andava in scena lo show di Francesca Immacolata Chaouqui – bisogna dire ben coadiuvata dal sistema mediatico – che rilasciava interviste, diffondeva comunicati, chiamava in causa nientemeno che Paolo Berlusconi. Quest’ultimo per la verità veniva evocato anche da monsignor Lucio Angel Vallejo Balda – l’altro corvo – secondo il quale dietro la Chaouqui c’era appunto lui; intanto lei diffondeva particolari sulle abitudini sessuali di monsignor Vallejo Balda (lui faceva lo stesso con lei), dalle carte e delle procure – che pure indagavano in Italia sulla tentacolare e un po’ esagitata lobbista – veniva fuori il nome di Mario Benotti, collaboratore del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega per gli affari europei, Sandro Gozi, (Benotti si autosospendeva dall’incarico e chiedeva di essere ascoltato dai magistrati); entrava pure nel gioco qualche dama della vecchia nobiltà romana da sempre ben introdotta in Vaticano e amica di cardinali di lungo corso. Intanto un memoriale del monsignore che è agli atti dell’inchiesta Oltetevere, finiva in pagina su Repubblica, e il testo – con il quale in teoria Vallejo Balda si difendeva dalle accuse – finiva col confermare il punto essenziale: sì, il Segretario della Prefettura per gli affari economici della Santa Sede, cioè un funzionario vaticano con responsabilità delicatissime, aveva passato i documenti ai due giornalisti, e soprattutto aveva consegnato le password dei file criptati.
L’anziano cardinale Jean Louis Tauran (alla guida del Pontificio consiglio il dialogo interreligioso) era indicato dal prelato spagnolo come il personaggio che sponsorizzava la Chaouqui Oltretevere, inoltre monsignor Vallejo citava una cena cui prese parte la stessa lobbista, con Luigi Bisignani, accreditato da molto tempo dai media italiani, del titolo di “faccendiere”, un tempo introdottissimo in Vaticano, oggi, pur vantando ancora buoni contatti, lo è un po’ meno. Di certo però dietro la cortina fumogena c’è una cosa: i due avevano almeno un obiettivo, ovvero scalzare o quanto meno limitare il potere del cardinale George Pell (presetnato dai media come il nemico di Vallejo Balda) e del presidente dello Ior, Jean Baptiste de Franssu (un passaggio meno casareccio e più serio dei messaggi che si sono scambiati la lobbista e il prelato riportato dall’Ansa, lo indica in modo chiaro: «forse De Franssu si dimette. Non e’ tutto perduto» ). Il primo, Pell, è il capo della Segreteria per l’economia, il nuovo dicastero vaticano che ha ampi poteri di verifica, controllo e pianificazione sui bilanci di tutti i dicasteri vaticani, il secondo è il presidente dello Ior dopo l ‘adeguamento alla normativa sulla trasparenza finanziaria.
Il passaggio di carte dall’interno del Vaticano ai due giornalisti, per quanto emerge, sembra essere avvenuto per colpire la nuova governance economica vaticana e, se possibile, riaprire la partita delle nomine
Il passaggio delle carte
E allora almeno un punto sembra intravedersi nel caos mediatico: il passaggio di carte dall’interno del Vaticano ai due giornalisti, per quanto emerge, sembra essere avvenuto – al contrario di quel che si dice, ovvero aiutare il papa nella riforma – per il motivo opposto: cioè colpire la nuova governance economica vaticana e, se possibile, riaprire la partita delle nomine con scelte più favorevoli a chi ne fosse stato escluso e agli interessi che eventualmente rappresentava. In qualche modo a confermarlo è lo stesso pontefice quando, sul volo di ritorno dall’Africa, ha detto che la nomina di Vallejo e Chaouqui nella commissione incaricata di riformare le finanze vaticane, «è stata un errore», per poi aggiungere «andremo avanti con le riforme». Per la verità Francesco, senza clamore, un bel colpo lo aveva già dato nei giorni scorsi con la nomina del nuovo direttore dello Ior (non il presidente), nella figura di Gian Franco Mammì, funzionario che si era già distinto per aver sostenuto il superamento dell’opacità nell’istituto. Poi ha poi confermato la sua piena fiducia al “Consiglio per l’economia”, altro organismo nuovo che interagisce con la Segreteria di Pell nell’organizzazione finanziaria, guidato da un fedelissimo del papa, il cardinale tedesco Reinhard Marx.
Il processo riprende infine il prossimo 7 dicembre, l’8 inizia il Giubileo della misericordia in occasione dei cinquant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II e della ricorrenza dell’Immacolata, la Santa Sede ovviamente non è felice della coincidenza, ma a questo punto nei sacri palazzi vogliono andare fino in fondo. Il vero obiettivo dell’operazione, che certamente espone il Vaticano alle critiche di chi vede nel procedimento un attacco ai due giornalisti Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi, è monsignor Vallejo, l’unico in cella e l’unico che deve sottostare per forza al procedimento penale (gli altri imputati in realtà possono fare come credono non essendo nemmeno cittadini vaticani, Chaouqui tuttavia aveva ricevuto un incarico all’interno delle mura leonine).
Il senso profondo del Giubileo esce rafforzato dalla crisi in atto: testimoniare all’umanità che i grandi temi della convivenza e della pace, della giustizia e del perdono, dell’attenzione agli ultimi e al Creato possono e anzi devono trovare spazio e voce anche quando si rischia una terza guerra mondiale
Il Giubileo
Infine non va dimenticato che Vallejo non era solo membro della famosa commissione, ma segretario di quella Prefettura pontificia per gli affari economici, organismo che, prima di essere svuotato di poteri e funzioni dalla riforma di Francesco, controllava moltissime informazioni finanziarie e soprattutto effettuava la revisione dei bilanci della Santa Sede. Usciranno altri nomi dalle udienze del processo? Qual è stato il ruolo del tecnico-informatico Nicola Maio pure imputato e collaboratore di Vallejo? Molte altre questioni si porta con sé la vicenda, compresa quella relativa a come si possa amministrare in modo credibile la giustizia in Vaticano.
Il perdono del papa ai possibili condannati è già previsto da molti osservatori, vedremo in quale forma arriverà. Intanto comincerà un Giubileo scosso da allarmi terrorismo, misure di sicurezza e in una Capitale senza sindaco e amministrazione. Tuttavia il senso profondo dell’evento e anzi esce rafforzato dalla crisi in atto: testimoniare all’umanità che i grandi temi della convivenza e della pace, della giustizia e del perdono, dell’attenzione agli ultimi e al Creato, temi insieme religiosi e politici, possono e anzi devono trovare spazio e voce anche in momenti difficili, quando si rischia una terza guerra mondiale.