Cenerentola è davvero una favola. Sposarsi con chi non appartiene alla propria classe sociale di riferimento è qualcosa di fortemente presente nei romanzi e nei film alla Pretty Woman, ma è qualcosa di lontano dalla realtà. Non solo: la scelta di sposarsi con i propri simili, è in aumento, e questa non è una buona notizia, perché è il segnale che le disuguaglianze stanno aumentando.
Cominciamo dalle basi. L’amore romantico, quello che ha a che fare con il piacere e il sentimento esiste. Ma tende a non superare certi confini. E, come spiega il sociologo della Cattolica di Milano Egidio Riva, quando si tratta di convivere o sposarsi, entrano in gioco, che ce ne rendiamo conto o no, fattori molto più prosaici. Innanzitutto la condizione familiare di origine. È un fattore che conta perché fin da piccoli l’ambiente familiare influenza le future aspettative relative alla coppia e alla procreazione. Guardiamo poi alle risorse a disposizione e alla classe sociale di destinazione. Queste aspettative sono rafforzate dalla carriera professionale che si intraprende. Nelle stesse classi sociali, inoltre, oltre a esserci più opportunità di incontro, è più probabile ritrovare stimoli, per esempio relativi ai viaggi che si devono fare o alla partecipazione politica.
La comunione di interessi non è un fattore da sottovalutare. Come ha spiegato l’economista Justin Wolfers, su Freakonomics, la famiglia americana media modello anni Cinquanta si basava su un modello di “complementarietà produttiva”: c’era un marito paragonabile a un amministratore delegato e una moglie che faceva le cose che lui non poteva fare. Le cose sono cambiate, l’occupazione delle donne (americane) è passata dal 6% del 1900 al 70% attuale e si è passati a un modello di “complementarietà dei consumi”. «Abbiamo più tempo, più soldi, e quindi si vuol passare il tempo con qualcuno che ci piace – dice Wolfers -. Quindi interessi e passioni simili. Lo chiamiamo “matrimonio edonistico”. Quindi uno vuole qualcuno che sia davvero considerevolmente simile a sé o che abbia passioni simili. Questo fondamentalmente cambia chi sposa chi».
L’amore romantico, quello che ha a che fare con il piacere e il sentimento esiste. Ma tende a non superare certi confini
Il fatto che ci sia un cambiamento verso una maggiore omogeneità tra coniugi o conviventi lo hanno dimostrato gli studi di Antonio Schizzerotto, professore emerito di Sociologia all’Università di Trento ed esperto di mobilità sociale. Se si guardano i nati tra il 1938 e il 1957, si trova un tasso di omogamia, cioè di matrimoni con persone appartenenti alla medesima classe sociale, del 29,5 per cento. Per le persone delle generazioni successive, nate tra il 1958 e il 1987, il tasso sale al 36,4 per cento. Può sembrare un aumento modesto, ma sette punti percentuali nell’arco di poche generazioni è moltissimo, perché stiamo parlando di fenomeno demografici molto lenti. Bisogna poi prendere i dati come fenomeni generali, perché se si osservano le cose troppo da vicino le tendenze macro si perdono. I numeri sono stati raccolti in uno studio del 2008 pubblicato sulla Rivista di politica economica, ma da allora la tendenza non è cambiata. «Per il prossimo decennio, l’omogamia educativa tenderà a crescere», commenta il professore. «Successivamente potrebbe esserci un fenomeno di “eterogamia” dovuto al fatto che le donne saranno molto più istruite degli uomini e tenderanno a sposarsi con chi ha un livello di istruzione inferiore». Oggi, ha mostrato un’elaborazione di Thomas Manfredi per Linkiesta su dati dell’European labour force survey, la percentuale di omogamia è del 50% se si utilizza come parametro il grado di istruzione, mentre il 10% delle coppie è formato da persone che si situano nello stesso decile di reddito.
L’omogamia è in aumento e il fenomeno ha varie cause: le donne lavorano e studiano di più; i titoli di studio producono effetti positivi sulle condizioni di vita; le persone si sposano o convivono sempre più tardi
Ma perché questo sta accadendo? Una prima causa è meccanica: prima le donne studiavano di meno rispetto agli uomini ed era logico che ci fossero differenze di istruzione dentro una coppia. Negli anni l’aumento dell’istruzione ha fatto sì che queste differenze si riducessero. Ma il fenomeno, spiega il docente dell’ateneo trentino, ha almeno altre tre cause. La prima: le donne lavorano più di un tempo e questa tendenza è continuata anche durante l’ultima crisi. La seconda: i titoli di studio producono effetti positivi sulle condizioni di vita; in altri termini c’è un’associazione positiva tra il titolo di studio e le classi sociali. «La narrativa che ci mostra i laureati che lavorano nei call center. Tuttavia, il fenomeno di drammatica irregolarità del lavoro e di sottoccupazione è consistente all’inizio, poi tende a ridursi dopo 3-5 anni dalla laurea», spiega Schizzerotto. La terza causa c’entra col fatto che le persone si sposano o convivono sempre più tardi. La decisione di convivenza avviene quindi in una fase relativamente avanzata della storia lavorativa quando, come abbiamo visto, un laureato ha meno probabilità di lavorare in un call center e più di lavorare come impiegato di concetto. «Se tutti e due i partner lavorano, quindi, eventuali discrepanze si affievoliscono», aggiunge Schizzerotto.
Il lato negativo di tutto questo è che ne risulta un aumento della diseguaglianza, perché porta a una concentrazione più spiccata del reddito. Questo porta all’aspetto politico della vicenda. «Negli anni si è dimenticata la centralità delle classi sociali e si è parlato di società individualistica e liquida – commenta Eugenio Riva -. Invece questi studi dimostrano che la società è solida e che il sistema è ancora molto strutturato. Bisogna quindi tornare a discutere di classi sociali e ci devono essere degli interventi a sostegno della libera scelta degli individui, circa temi come la famiglia e il lavoro».