Le negoziazioni, ma più in generale le relazioni umane, si affrontano spesso lasciandosi fortemente influenzare dal fattore culturale o supposto tale, e semplificando processi di analisi e di decodifica che richiederebbero non solo grande conoscenza e puntigliosa pazienza, ma estremo approfondimento.
Sul tema ci sono fiumi di letteratura e nello specifico, per quanto riguarda la negoziazione, numerosi corsi: corsi per negoziare con arabi, ebrei, cinesi, giapponesi e…italiani. Tornare sull’argomento è importante, non per dare risposte, ma per offrire prospettive diverse, soprattutto in un momento in cui nei media e luoghi di aggregazione è un continuo dilagare di prese di posizione sulla diversità culturale e sulla stereotipazione. Prima eravamo esperti di rumeni, rapidamente catalogati come ladri zingari, poi siamo diventati esperti di albanesi, codificati come violenti e aggressivi, adesso ci stiamo specializzando sugli arabi, termine usato per indicare tutti i fedeli dell’Islam, e quindi, come passaggio obbligato, tutti terroristi e rancorosi verso l’Occidente.
Questo “carico di conoscenza” ci accompagna nella gestione delle relazioni e quindi anche delle negoziazioni. Così spostiamo inopinatamente il focus della preparazione sul chi incontreremo, immaginiamo già le dinamiche che si creeranno, a discapito della fissazione prima e del perseguimento poi dei nostri stessi obiettivi. Ogni individuo è certamente espressione della sua cultura, ma anche e soprattutto sintesi in continua evoluzione della propria esperienza e della propria personalità. Ogni individuo è unico e come tale ha diritto di essere riconosciuto e conosciuto. E nessun individuo è oggi quello che è stato ieri e sarà domani. Detto ciò, non si può eliminare il fattore culturale. Ma allora analizziamolo seriamente.
Ogni individuo è certamente espressione della sua cultura, ma anche e soprattutto sintesi in continua evoluzione della propria esperienza e della propria personalità. Ogni individuo è unico e come tale ha diritto di essere riconosciuto e conosciuto. E nessun individuo è oggi quello che è stato ieri e sarà domani.
Innanzitutto già la parola in sé non è semplice da definire. Due stimati studiosi della multiculturalità, Jan Hofstede e Paul Pederson, coautori di “ Exploring Cultures” , definiscono la cultura come “la forma di adattamento delle persone alle condizioni di vita”. Quello che è importante negli incontri umani, sempre per citare i due autori, “è separare l’osservazione dall’interpretazione […] e se si è consapevoli dell’interculturalità si deve sospendere ogni attribuzione di significato a un determinato comportamento fintanto che non si è certi di interpretarlo alla luce della cultura di appartenenza della persona il cui comportamento stiamo osservando”.
Questa modalità suggerita da Hofstede e Pederson obbliga intanto a sradicare il pre – giudizio e a trasformarlo in una pausa prudente per maturare una conoscenza profonda del contesto culturale di appartenenza del singolo e trarne eventuali conseguenze. I due studiosi indicano cinque aspetti e definiscono la cultura il modo in cui i vari gruppi ne interpretano il significato nei loro comportamenti. Gli aspetti individuati sono quello dell’Identità, della Gerarchia, del Genere, della Verità e della Virtù.
Per Identità essi intendono la relazione che intercorre tra un individuo e il suo gruppo, che può essere portata a un estremo, INDIVIDUALISMO, o all’altro, senso della COLLETTIVITA’.
Per fare degli esempi e chiarire il concetto, nelle società ricche e sviluppate economicamente si è affermato in generale un maggiore INDIVIDUALISMO. La ricchezza fa si che le persone bastino a loro stesse , ma questo porta a isolamento e solitudine. Al contrario, povertà e limitato accesso alle risorse economiche sviluppano COLLETTIVISMO, nelle cui forme più estreme l’individuo in quanto tale non è valorizzato.
La Gerarchia indica il grado di distanza tra le persone. In una società fortemente gerarchizzata è naturale pensare che le persone non siano uguali e che non abbiano le stesse prerogative. I genitori non sono figli, i leader non sono follower, i re non sono cittadini. Il contrario in una società più permeabile e meno rigida, dove le relazioni sono vissute su un piano di maggior eguaglianza.
Il Genere si focalizza sul controllo dell’aggressione. Una società MASCHILE coincide con una società più dura, basata sul raggiungimento degli obiettivi e il lottare, al contrario di una società più FEMMINILE, fondata sul prendersi cura degli altri e il raggiungere mediazioni.
La Verità è correlata al modo in cui diverse culture affrontano il tema di ciò che è prevedibile e ciò che non lo è, e dell’ambiguità. Approcci più o meno dogmatici costituiscono il distinguo. Ha a che vedere con il livello di ansietà che scaturisce nei confronti di ciò che non è noto,e sul come superarlo. L’ultimo punto, la Virtù, è l’aspetto che riguarda il modo con cui le persone risolvono la scelta tra il valore del presente o il valore del futuro: il cosiddetto ORIENTAMENTO di LUNGO o BREVE PERIODO.
La proposta degli autori è la seguente: trattenersi dall’emettere giudizi frettolosi sul comportamento delle persone, interpretandoli in base ai propri canoni soggettivi e reagendo di conseguenza, e considerare se tali comportamenti non siano invece ascrivibili alla modalità con cui questi cinque elementi di interazione sociale vengono vissuti nel contesto culturale d’origine.
Con altrettanta prudenza ricordano quando già detto: il comportamento di ogni individuo è sempre fortemente influenzato dalla propria esperienza e personalità e quindi non è assolutamente scontato che il fatto di appartenere a un gruppo ci faccia vivere uno di questi cinque punti allo stesso modo in cui sono vissuti dalla generalità dei membri del gruppo stesso, come fosse un automatismo.
Un esempio. I popoli latini, tra cui noi, sono considerati molto gerarchizzati, con livelli sociali distinti e poco permeabili. Di qui il valore attribuito a una persona in funzione ad esempio del titolo di studio o lavorativo (dottore, architetto, ingegnere, direttore, vice direttore…quasi direttore). Ora, ciò non significa naturalmente che tutti gli italiani si offendano se non viene attribuito loro il giusto titolo o se su LinkedIn gli si viene dato del tu.
Il che vuol dire che se un americano o un australiano ci approccia senza formalismi non dobbiamo considerarlo maleducato, ma solo “agente” in funzione di un modello culturale differente dal nostro nell’aspetto della Gerarchia. Del pari l’americano di turno non dovrà stupirsi del nostro darsi del lei anche dopo anni di frequentazione sul lavoro: è frutto di un modo diverso di interpretare la Gerarchia, non necessariamente di una nostra freddezza caratteriale.
Se un americano o un australiano ci approccia senza formalismi non dobbiamo considerarlo maleducato, ma solo “agente” in funzione di un modello culturale differente dal nostro nell’aspetto della Gerarchia
La lezione di Hofstede e Pederson può essere utile a chi negozia, e più in generale a chi è interessato a vivere sane relazioni sociali interculturali: bisogna ricordare di portare con sé molti occhiali con lenti diverse e accettare che, seppure si viva in un mondo definito globale, l’individuo è meravigliosamente unico e come tale va considerato. Questo forse permetterebbe di avvicinarci grazie all’unico vero fatto che non conosce distinguo culturale, ossia la nostra vulnerabilità di esseri umani.