Una lezione di negoziazione da Ezio Bosso

Nella sua apparizione al festival di Sanremo, il pianista ha ricordato che bisogna «perdere i pregiudizi, le paure, il dolore». Ricordandoci che in ogni relazione umana e in ogni negoziazione c’è un elemento imprescindibile: gli altri

Il pianista e direttore d’orchestra Ezio Bosso è morto all’età di 48 anni. Nel 2011 fu operato per un tumore al cervello e subito dopo gli fu diagnosticata una malattia neurodegenerativa. Ecco il discorso pronunciato da Bosso durante il festival di Sanremo.

Azzardiamo un volo pindarico, ma neppure tanto, tra la negoziazione e Sanremo. Fuori dalla retorica del dolore, abbiamo ricevuto una grande lezione da Ezio Bosso, un musicista torinese di grandissimo talento, affetto da una malattia neuro degenerativa. Da un palcoscenico come quello di Sanremo può arrivare di tutto. In questa occasione una lezione importante. Vediamo che relazione ha con la negoziazione.

Prima di suonare il suo pezzo, intitolato “Following the bird”, il musicista ha spiegato il senso del brano riconducendolo all’importanza del perdere e del perdersi, magari anche solo, come è occorso a lui, nell’osservare il volo di un uccello. Ha richiamato la nostra attenzione su come in generale l’accezione della parola “perdere” sia negativa e di come invece possa essere riproposta e riletta in chiave positiva. Con la potenza deflagrante che solo la semplicità possiede, da Piccolo Principe, il compositore ha ricordato quanto può essere salvifico imparare a inseguire e “perdere i pregiudizi, perdere le paure e perdere il dolore”.

Quando si intrecciano relazioni umane – di cui la negoziazione nel suo significato più vero potrebbe essere una delle più nobili espressioni, e invece come tale assai poco realmente praticata purtroppo – c’è un elemento irrinunciabile: gli altri. Troppo volte i tavoli negoziali si aprono con ostilità, rancore, pregiudizio, paura e risentimento. Un groviglio di negatività. Troppe volte, al di là del dichiarato, covano sentimenti di rivalsa, di bieca quanto spicciola prevaricazione, di disarmante bassezza.

Quando si intrecciano relazioni umane – di cui la negoziazione nel suo significato più vero potrebbe essere una delle più nobili espressioni, e invece come tale assai poco realmente praticata purtroppo – c’è un elemento irrinunciabile: gli altri

L’altro non esiste: ci sono io, i miei interessi, il mio potere o la sola sua parvenza. Maschere tragiche, icone rappresentate dalla tragedia greca fino a Pirandello, indossate dalla più diversa umanità.

Oggi poi, in una cornice comunicazionale dove lo schermo, maschera tecnologica, ci ha disabituati al contatto umano, fatto anche di sguardi, odori, sensazioni tattili, oggi che riusciamo a dire e fare le peggio cose protetti da un nickname, questa incapacità di perdersi nell’altro si è acutizzata.

Siamo tutti concentrati nel tracciare un limite invalicabile e inattaccabile intorno a noi, un microcosmo fatto di piccoli o grandi interessi che siano, ma che vogliamo preservare e difendere, soprattutto disconoscendo agli altri il raggiungimento dei propri.

Con la sua musica e le sue parole un uomo grande ci ha ricordato un fatto importante che chi vuole iniziare a negoziare deve metabolizzare nel profondo: accettare di perdersi nell’altro, perdere quei pregiudizi e quelle paure che ci impediscono di scoprire che al pari nostro anche gli altri siano portatori di bisogni.

Il passaggio è semplice: dalla negazione al riconoscimento, meglio ancora dell’accettazione, che concettualmente richiama a una sorta di superiorità di qualcuno rispetto a altri.

Following the bird …

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