Classica o rock? L’unica differenza è tra musica bella e brutta

Tommaso Fiorini, una vita divisa tra basso elettrico e contrabbasso, tra rock e classica. «Una gran parte della musica classica è molto più viva e divertente di quello che culturalmente pensiamo. Ma deve uscire dalla sua nicchia»

Nel suo nuovo libro «Beethoven e la ragazza coi capelli blu» (Mondadori 2016) l’autore, il direttore d’orchestra e pianista Matthieu Mantanus, mette al centro della storia una giovane musicista che suona ad alto livello sia il basso elettrico in una rock band sia il contrabbasso in un’orchestra sinfonica. Musicisti “di confine”, ma non così rari come si potrebbe pensare. Con la rubrica #Beethoveninblue il JeansMusic Lab raccoglie e racconta le loro storie in una serie di interviste “crossover”

Tommaso Fiorini ha 23 anni ed è un contrabbassista e bassista. Oggi alterna orchestra classica e Woody Gipsy Band, con cui unisce le sonorità del gipsy a ritmi più o meno esotici. Ma la sua carriera di musicista è cominciata molti anni fa ben lontano da un gruppo rock. A breve ritornerà sul palco: con l’orchestra della Scuola civica, il 3 aprile, eseguirà La passione secondo Giovanni, di Bach; e a metà aprile prenderà il via la nuova stagione di concerti live della Woody Gipsy Band, all’Ostello Bello di Milano.

Quando si è avvicinato alla musica?

Ho cominciato con il pianoforte a sette anni. L’ho suonato fino alla terza media. Poi ho conosciuto il rock e me ne sono innamorato. Ho formato un gruppo con degli amici, ma eravamo tre chitarristi e un batterista, non funzionava molto! Visto che continuavo a rompere le corde della chitarra perché suonavo in modo molto pesante, mi hanno dato il basso elettrico e ho iniziato a suonarlo sempre di più.

Poi cosa è successo?

Dopo tre anni ho deciso di prendere delle lezioni e il mio insegnante mi ha consigliato di studiare contrabbasso con Paolo Rizzi alla Scuola Civica di Milano. Mi ha detto “Ti insegna la musica classica, non so nemmeno se il contrabbasso può essere interessante per te, ma dammi retta, ti può dare tantissimo”. Mi sono fidato e ho iniziato a studiarlo.

«Una gran parte della musica classica è molto più viva e divertente di quello che culturalmente pensiamo. La identifichiamo come qualcosa di serio, intellettuale. Non è così!»

Quindi prima classica e poi rock?

Sì, prima il pianoforte, poi il rock sul basso elettrico e infine il ritorno alla classica. Con Rizzi, infatti, ho iniziato il percorso di musica classica sul contrabbasso. È lui il maestro che ha influito in modo particolare nella mia musica, oltre al mio primo insegnante di pianoforte con cui ancora suono in un gruppo.

Qualcuno l’ha scoraggiata dal suonare?

Nessuno. Sono stato fortunato: i miei genitori non mi hanno mai fatto vivere questa cosa come un limite o una scelta poco seria. Mi hanno sempre sostenuto. E non mi pento assolutamente di aver abbandonato il pianoforte. Anche se ogni tanto, visto che il contrabbasso è uno strumento molto faticoso e stancante anche solo da portare in giro, rimpiango la sua comodità! Però quello che ho trovato col contrabbasso non l’ho trovato nel pianoforte.

Si sente diverso per questa capacità di praticare più generi?

Non è una cosa che ho raggiunto perché volevo, ma è capitata. Riesco a individuare le qualità delle diverse musiche a prescindere dai generi. Di sicuro ho un giudizio critico e libero dalle convenzioni. Riconosco solo due musiche: bella e brutta. L’unica cosa certa è che non posso immaginarmi senza il mio strumento: nei momenti difficili è stata l’unica vera àncora!

«Se capita di fare un Beethoven suonato così così allora preferisco suonare una musica che ha meno pretese ma fatta bene, con il cuore»

Capita di rado che un musicista classico suoni anche altra musica… i suoi colleghi “classici” cosa dicono?

Vedono in me una ricchezza con cui non si sono ancora confrontati. Il mondo della classica per certi versi è molto rigido, competitivo. Quello della musica leggera vive in maniera più serena, senza ansia. Forse invidiano o riconoscono la tranquillità di quando faccio musica.

Il rapporto con il pubblico cambia quando suona in orchestra o nella Woody Gipsy band?

Assolutamente sì! Quando si suona la musica classica ci si concentra solo sul suonare bene o male una cosa già scritta, un pezzo che il pubblico conosce. Mentre con la band c’è anche il “problema” di dover attirare un pubblico, di interessarli a qualcosa che non hanno mai ascoltato. Nella classica c’è questo grosso peccato, secondo me, della netta separazione tra chi suona e chi ascolta. C’è un palco che divide, mentre con la band c’è più interazione!

Cosa le trasmettono i due generi?

Quando suono musica classica suono musica meravigliosa, che dà una soddisfazione anche a livello mentale. La cosa difficile è trovare orchestre che la facciano in maniera non superficiale. Perché se capita di fare un Beethoven suonato così così allora preferisco suonare una musica che ha meno pretese ma fatta bene, con il cuore. Con la musica leggera ho una soddisfazione più di “pancia”, data dal fatto che non c’è separazione tra chi suona e pubblico, è un insieme, un mondo molto vivo.

«Non posso immaginarmi senza il mio strumento: nei momenti difficili è stata l’unica vera àncora!»

Nel suo percorso di musicista quali sono i momenti più importanti?

La Woody Gipsy band è di sicuro una delle esperienze più importanti. Suono con Jacopo Milesi, Michele Ionis Rusconi, Stefano Ivan Scarascia e Andrea Spampinato; abbiamo fatto circa 450 date in quattro anni! Per la musica classica invece l’anno scorso ho suonato la Nona sinfonia di Beethoven con l’orchestra Vivaldi, ed è stata una delle esperienze più professionali in questo ambito.

Da contrabbassista che suona anche in orchestra, come pensa che si possa riavvicinare alla classica il pubblico più giovane?

Penso sopratutto ai luoghi e ai modi di fare musica. C’è stato un periodo in cui volevo organizzare una rassegna, piccole formazioni di musica classica nei locali, in posti molto popolari tra i ragazzi. Perché secondo me una gran parte della musica classica è molto più viva e divertente di quello che culturalmente pensiamo. La identifichiamo come qualcosa di serio, intellettuale. Non è così! Oggi andare a un concerto classico significa fare un’esperienza culturale. Ma in realtà tanta musica si potrebbe tranquillamente ascoltare in un bar con una birra davanti. Purtroppo, a parte Piano city qui a Milano e qualche esibizione di orchstre nelle piazze, non conosco progetti di questo tipo. Ma bisognerebbe fare qualcosa, altrimenti la classica è destinata a diventare sempre più di nicchia. Ed è proprio questo che mi trattiene dal dedicarmi completamente a lei, che amo più della leggera: la paura di finire in un mondo ormai chiuso.

Intervista di Marianna Lepore per JeansMusic Lab