«Il politico non ha un privato. La distinzione fra pubblico e privato è manichea: ripeto, un politico deve sapere che ogni aspetto della sua vita è pubblico. Se non accetta questa regola rinunci a fare il politico». Parola, incredibile a dirsi ma non per chi conosce la storia, di Augusto Minzolini. Proprio lui, uno dei più strenui difensori della causa berlusconiana anche ai tempi della direzione del Tg1 e che oggi col partito di Silvio Berlusconi siede in parlamento. D’altronde da quando Minzolini si appostava nei bagni a fianco alle stanze dove si tenevano le commissioni parlamentari, per carpirne segreti e parole, sono passati più di vent’anni. Vent’anni in cui Berlusconi è stato politico e parecchio si è dibattuto sulla sua privacy.
D’altronde già l’uomo e l’imprenditore Silvio Berlusconi, ancora prima del politico, era finito tra le maglie delle intercettazioni telefoniche. Allora come in tempi più recenti non era la sua utenza a essere finita nel mirino di investigatori e dei magistrati, ma quelle di altri indagati più o meno eccellenti. Dalla telefonata con Marcello Dell’Utri in cui si scherza sulla bomba «affettuosa» piazzata fuori la villa dell’ex Cavaliere dallo “stalliere” di Arcore Vittorio Mangano, alle più recenti del caso Ruby, il Cav ha sempre dovuto fare i conti con la sua privacy e le intercettazioni telefoniche.
«Il politico non ha un privato», diceva Minzolini, e le traversie giudiziarie dei Berlusconi sono lì a provarlo. A preoccupare l’ex Cav è il processo Ruby-Ter, figlio degli avvenimenti di quella ormai arcinota notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 in cui Karima El Mahroug, al secolo Ruby “rubacuori” passò la notte in questura salvo poi essere rilasciata dopo la telefonata dell’allora premier.
«Il politico non ha un privato. La distinzione fra pubblico e privato è manichea: ripeto, un politico deve sapere che ogni aspetto della sua vita è pubblico. Se non accetta questa regola rinunci a fare il politico»
Assolto in via definitiva nei primi due tronconi del processo dalle accuse di concussione e prostituzione minorile ora il Cav rischia di andare a processo con la pesante accusa di corruzione in atti giudiziari, che prevede una pena compresa tra i 6 e i 12 anni. La prossima udienza è prevista per il 18 marzo.
In ballo ci sono i denari che secondo l’accusa sarebbero stati elargiti da Berlusconi alle “olgettine” e alla stessa Ruby per testimoniare il falso nei due processi precedenti. Anche qui però fanno capolino le intercettazioni, tanto che sull’utilizzo nel processo di 11 telefonate intercettate dalla procura di Milano deve esprimersi la Giunta del Senato. Una decisione, rivelano fonti interne alla Giunta a Linkiesta, che dovrebbe arrivare nella seduta della prossima settimana dopo la fumata nera dello scorso mercoledì. La richiesta del Giudice per le Indagini preliminare sull’utilizzo delle telefonate risale al primo febbraio scorso.
Di quali telefonate si tratta? E perché occorre l’autorizzazione del Senato? Sono 11 telefonate tra l’ex premier, Iris Berardi e Barbara guerra (due delle cosiddette olgettine, ospiti delle “cene eleganti”) emerse nel corso di altre indagini mentre Berlusconi era ancora senatore. Da qui la necessità di richiedere l’autorizzazione per l’utilizzo delle intercettazioni al Senato. In quelle intercettazioni, riportavano anche altri organi di stampa lo scorso ottobre, le ragazze avrebbero chiesto al Cav in persona denaro e altre utilità in cambio di un atteggiamento favorevole al processo Ruby bis. Anche qui Berlusconi non era direttamente intercettato e le telefonate furono comunque archiviate, salvo poi essere recuperate dagli investigatori e inseriti nel fascicolo del processo Ruby Ter.
Sull’utilizzo nel processo Ruby ter di 11 telefonate intercettate dalla procura di Milano deve esprimersi la Giunta del Senato
Dunque la privacy, cruccio del Cavaliere, che più volte ha tirato in ballo lo «Stato di Polizia», si scontra con un’altra recente sentenza che lo riguarda da vicino. Nel 2007 alcune foto pubblicate dal settimanale Oggi ritraevano Berlusconi in compagnia di alcune giovani donne all’interno della sua tenuta sarda di Villa Certosa. Fu all’epoca denunciato per ricettazione delle fotografie il direttore del settimanale Pino Belleri, poi condannato a una multa di 2480 euro. Ebbene, grazie a una consolidata giurisprudenza riconosciuta anche dalla Corte Europea, Belleri è stato invece assolto in appello dopo l’annullamento con rinvio da parte della Cassazione.
La pubblicazione delle foto era stata ritenuta illegale in quanto andava a violare la privacy di Berlusconi e di chi lo accompagnava. Da lì la contestazione della ricettazione che, come nota Giuseppe Guastella sul Corriere della Sera “varie procure hanno cominciato a contestare ai giornalisti”, nonostante questi vengano in possesso “di foto e documenti veri, ma di provenienza illecita”. La sentenza della Corte d’Appello di Milano pare invece ribaltare la tendenza perché conclude Guastella “dà ragione all’avvocato Caterina Malavenda che aveva sostenuto che Pino Belleri «giornalista di razza, aveva immediatamente percepito l’enorme interesse che quelle immagini avrebbero avuto per il suo pubblico e non solo» su vicende «di indubbio interesse generale che hanno alimentato per giorni il dibattito politico nazionale».
Insomma, «il politico non ha un privato». La lezione che Silvio B., per quanto con questa lezione si possa essere d’accordo o meno, non ha mai imparato abbastanza. Anche se potè più contro di lui l’asse Parigi-Berlino in Europa che non centinaia di intercettazioni da Milano a Palermo.