Nel suo nuovo libro «Beethoven e la ragazza coi capelli blu» (Mondadori 2016) l’autore, il direttore d’orchestra e pianista Matthieu Mantanus, mette al centro della storia una giovane musicista che suona ad alto livello sia il basso elettrico in una rock band sia il contrabbasso in un’orchestra sinfonica. Musicisti “di confine”, ma non così rari come si potrebbe pensare. Con la rubrica #Beethoveninblue il JeansMusic Lab raccoglie e racconta le loro storie in una serie di interviste “crossover”
Basta ascoltare un brano del suo ultimo disco Big Bang per capire cosa Andrea Di Cesare intenda quando parla del suo violino e della sua musica: qualcosa che “si sente” al di là delle definizioni che cercano a tutti i costi di ingabbiare il suono sotto il termine “classico”, “rock” o “pop”. Quarant’anni, romano, ha cominciato a suonare il violino da bambino e, dopo aver sentito una sua esibizione, non stupisce sentirlo affermare «La sintonia e l’amore che mi lega a questo strumento è immensa ed eterna». Finiti gli studi classici si è dedicato al pop e rock e oggi si esibisce tra Italia e Stati Uniti. È stato scelto come artista Yamaha per rappresentare il suo strumento nel mondo. «Una grande soddisfazione perché premia la mia ricerca di nuove sonorità e poi perché un’azienda sempre un passo avanti agli altri vuole far conoscere il suo violino elettrico anche tramite il mio lavoro». Strumento che nella sua vita è così importante da arrivare a dire: «Sono nato con un violino e morirò con il mio strumento».
Com’è nato questo amore?
Mio padre, Fausto di Cesare, è un grandissimo pianista classico e da giovane faceva tournée in tutto il mondo: è stato lui a trasmettermi la passione per la musica. Stavo sempre con lui, nascosto sotto al pianoforte a sentirlo suonare con i grandi artisti con cui collaborava. E ogni volta che suonava con un violinista mi emozionavo al limite del pianto. Così mi comprò un piccolissimo violino e a soli cinque anni cominciai a suonarlo. Nel momento in cui l’ho impugnato e messo sotto il collo e sopra al cuore, ho capito che ci eravamo scelti insieme.
Il suo è lo strumento classico per eccellenza, come mai ha intrapreso un’altra strada?
Beh, il mio modo di suonare il violino è sempre stato non classico: anche quando leggevo e studiavo gli autori classici la mia testa li concepiva in maniera moderna. Tanto che spesso discutevo con i miei insegnanti: il mio suono, infatti, non evocava l’800 o il ‘700, ma sempre sonorità moderne. Non ho scelto di fare musica leggera, certe cose si sentono, non scelgono. L’importante è ascoltare la propria voce e seguirla. Non suono solo il violino, in generi diversi, ma anche altri strumenti tra cui la batteria. A 12 anni già avevo un gruppo di musica metal in cui mi alternavo tra batteria e violino. Poi finita la terza media mi sono iscritto a 14 anni al conservatorio di Santa Cecilia, dove ho studiato violino, pianoforte e composizione speriementale. Ho ascoltato e suonato molti generi, forse per questo oggi riproduco sonorità nuove con il violino.
Quindi che genere di musicista si considera?
Penso di essere un artista moderno, alla ricerca di sonorità per il mio violino, senza limitarlo ma anzi beneficiando della tecnologia. I primi prototipi del violino risalgono al 1500 e già quelli erano un’evoluzione di altri strumenti ad arco già esistenti. Io sto solo cercando di rendere moderna un’immagine del violino rimasta classica da troppo tempo. Quindi se volessimo trovare un genere, direi che mi considero violinista pop e rock.
Ho la necessità suonare il violino con il mio stile e proporlo agli altri senza timore del giudizio. Con coraggio.
I suoi studi però sono stati prettamente classici.
Esatto! Ho cominciato a cinque anni con il maestro Aurelio Arcidiacono. Lui non mi faceva suonare solo il violino, ma la musica e gli strumenti. Era una persona passionale e mi ha trasmesso molti valori. Ho studiato poi con tanti altri insegnanti, ed è stato un bene perché dentro di me porto tutte queste grandi esperienze. Un altro insegnante importante è stato Camillo Grasso, il mio maestro al conservatorio: con lui ho fatto un percorso serio di lavoro sul dettaglio e sul metodo con una grande passione. Ma chi mi ha fatto capire meglio il motivo per cui suonavo e il perché sono stati i maestri russi, come Pavel Vernikov o Zinaida Gilels, di cui ho frequentato dei corsi di perfezionamento. Loro mi hanno insegnato come trasmettere la mia emozione, il mio vissuto tramite il violino. Insegnanti che sono stati fondamentali per la mia crescita e per la convinzione di arrivare un giorno.
Si sente diverso per questa capacità di praticare più generi?
No, sono a mio agio nel fare quello per cui credo: è una mia necessità suonare il violino con il mio stile e proporlo agli altri senza timore del giudizio. E poi c’è il valore aggiunto del non fermare l’immagine del violino al mondo classico, ma proporre un’idea di suono e una nuova immagine alla musica moderna pop o rock. Con coraggio. Senza virtuosismi funambolici tipici dello strumento classico, ma esprimendo amore e passione anche con un suono apparentemente semplice. Perché la vera musica è quella che arriva alle persone con sincerità. E a me il rock trasmette energia, movimento, libertà, innovazione: elementi che nella classica personalmente sento meno. Un’energia che credo arrivi anche al pubblico: chi mi ascolta per la prima volta ha una reazione di stupore e curiosità, perché il nuovo modo di concepire e suonare il violino affascina le persone. Stessa curiosità che potrebbe anche riavvicinare il pubblico alla classica, introducendo luci o eliminando la formalità negli abiti.
Mio padre mi comprò un piccolissimo violino e a soli cinque anni cominciai a suonarlo. Nel momento stesso in cui l’ho impugnato e messo sotto il collo e sopra al cuore, ho capito che ci eravamo scelti insieme.
Come mai ha deciso di fondare una sua etichetta, The sound of violins?
Volevo produrre musica di qualità, in controtendenza rispetto a chi preferisce investire sui prodotti più effimeri o su quelli creati dalla televisione. Così è nata questa casa di produzione artistica con la vocazione del talent scouting, che punta tutto sui giovani artisti di talento. Abbiamo una mission chiara: produrre arte e non fenomeni commerciali creati a tavolino, per ridare alla musica valore, dignità e centralità culturale. Attraverso questa etichetta ho anche pubblicato “Big Bang”, il disco del mio gruppo: Andrea Di Cesare duo. È un progetto artistico composto da violino effetti e batteria, suonata dal siciliano Puccio Panettieri. È un progetto che mi sta portando anche all’estero a fare concerti e masterclass nelle università.
E qual è stata la reazione del pubblico?
Gli studenti dell’università di Binghamton sono stati curiosi e molto attivi nel chiedermi chiarimenti su come si fanno alcune cose. Anche quest’anno tornerò per la terza volta negli Stati Uniti per continuare a proporre il mio corso per violino pop rock e la mia masterclass. Lì gli studenti vedono il mio corso come un’opportunità lavorativa nuova, quindi sono numerosi e affascinati. La mia convinzione è quella di dare un futuro nuovo al violino e in questo senso all’estero vedo un interesse vero e sincero. Pian piano però sta crescendo anche in Italia: quest’anno, infatti, per il sesto anno terrò un corso di violino pop/rock a Norcia, a luglio, durante il XXX festival internazionale di musica da Camera. All’inizio era in sordina, perché chi suona uno strumento ad arco è sempre un po’ scettico. Ma ora sono arrivato a dieci iscritti e l’interesse continuerà ad aumentare perché è l’alternativa al classico sia come possibilità lavorativa sia come arte.
Intervista di Marianna Lepore per JeansMusic Lab