Non c’è bisogno di spiegare certe cose. Le sappiamo già, anche se magari non ci siamo mai soffermati troppo a pensarci. Sappiamo che è proprio nel momento in cui il nostro corpo è più debilitato, spossato, stanco, insomma, nel momento in cui siamo meno in forma è proprio allora che possiamo essere attaccati da un virus. Dopo sentiremo dire, aveva le difese immunitarie abbassate, e faremo di sì con la testa, il cannello dell’ossigeno a rendere quel gesto più goffo che epico. Lo sappiamo. E sappiamo altro. Abbiamo letto decine e decine di volte di come, che so?, dopo un terremoto, dopo una tragedia, le case abbandonate dagli sfollati, dalla gente che ha cercato giustamente la salvezza nella fuga, sono preda di razzie, di quelli che non a caso poi chiamiamo sciacalli (gli sciacalli, come gli avvoltoi, sono quelli che se ne stanno lì, pronti a approfittare degli animali agonizzanti, morenti, per pasteggiare, mica è un caso).
Ecco, tutto questo ci offre un ritratto poco decoroso. Frutto di un grosso malinteso, peraltro. Noi pensiamo che la realtà in cui viviamo sia la sola realtà possibile, manco fossimo dentro la Matrice ipotizzata dai fratelli, ora sorelle, e questo dovrebbe dirci qualcosa riguardo il concetto di sola realtà possibile, Watchowski. Tendiamo, volontariamente o meno, a idealizzare il mondo in cui viviamo, e di conseguenza guardiamo a chi prova a sovvertire la routine, a insinuarsi nelle trame, come a una anomalia, a un pericolo, a un granello di sabbia infilato nel meccanismo.
C’è una frase del brano Up patriots to arms di Franco Battiato che andrebbe incisa sulle facciate delle scuole, come un tempo si facevano coi motti fascisti, tipo “l’esercizio piega l’ingegno”. La frase è: «Alla riscossa stupidi, i fiumi sono in piena, potete stare a galla». Ecco, questa frase andrebbe incisa sulle facciate delle scuole perché, onestamente, di tutto questo piagnisteo su come non ci sia un futuro ci siamo un po’ rotti il cazzo
Esatto. Il meccanismo ha degli interstizi, dei piccoli spazi liberi dentro i quali è possibile insinuarsi, vedi passare due volte un gatto nero e capisci tutto, tutto quello che già sapevi. Case lasciate libere durante lo sfollamento, dove andare a vivere, prendere cose da mangiare dal frigo, sedersi sul divano a guardare la televisione. Non necessariamente un virus va guardato con sospetto. Lo sciacallo, se lo guardi bene, può anche essere simpatico. Lo erano i pirati, Jack Sparrow mica l’hanno ricalcato sulla Tatcher ma su Keith Richards. Si chiama iconoclastia, e di questo vi vado a parlare.
C’è una frase del brano Up patriots to arms di Franco Battiato che andrebbe incisa sulle facciate delle scuole, come un tempo si facevano coi motti fascisti, tipo “l’esercizio piega l’ingegno”. La frase è: «Alla riscossa stupidi, i fiumi sono in piena, potete stare a galla». Ecco, questa frase andrebbe incisa sulle facciate delle scuole perché, onestamente, di tutto questo piagnisteo su come non ci sia un futuro ci siamo un po’ rotti il cazzo. No future era lo slogan di un movimento iconoclasta, quello punk, che voleva, a partire dall’intuizione di un genio iconoclasta come Malcolm McLaren, sovvertire le regole basilari dello show business facendo arte attraverso chi era privo di talento ma dotato di carica sovversiva (sempre pilotata dal genio iconoclasta di cui sopra, ca va sans dire). Era impensabile allora, e lo è ancor più oggi, che uno slogan sovversivo sia stato assunto come refrain che più mainstream non si può. Tutti a cantarlo in coro, dai media alla gente comune. Se il No future diventa routine, cavoli, allora lanciamo lo slogan Future, prendendo proprio l’esempio dagli iconoclasti.
La storia della nascita del punk la conoscete tutti, suppergiù. Detta in poche parole. Parte dall’America, dove alcuni artisti non particolarmente raffinati nel suonare, o meglio, decisamente poco raffinati nel suonare scatenano un vero e proprio movimento dal basso fatto di rock sghembo e sguaiato, atteggiamenti ambigui, eccessivamente provocatori, di canzoni semplici quanto incisive. Iggy Pop and the Stooges, New York Dolls, Ramones, e l’elenco potrebbe essere assai lungo. Ma questo non è un saggio sul punk. Comunque, a Londra c’è questo negozio di vestiti autoprodotti su King’s Road, lo gestisce Malcolm McLaren, con la sua compagna Vivienne Westwood. Come puoi vendere magliette con tagli e scritte eccissive? Semplice, ti inventi un movimento musicale, a partire da un gruppo di ragazzacci in buona parte borderline e incapaci di suonare alcunché, i Sex Pistols (Sex era il nome del negozio, peraltro). Il resto è storia. Da quell’intuizione, che incanalava un’energia e idee nell’aria e ne faceva business si è in qualche modo andati a cambiare il corso della storia della musica rock, e della cultura popolare occidentale. Il tutto per intuizione di un tizio coi capelli ricci e rossicci che aveva un negozio di magliette, spille e oggetti strani in King’s Road.
a Londra c’è questo negozio di vestiti autoprodotti su King’s Road, lo gestisce Malcolm McLaren, con la sua compagna Vivienne Westwood. Come puoi vendere magliette con tagli e scritte eccissive? Semplice, ti inventi un movimento musicale, a partire da un gruppo di ragazzacci in buona parte borderline e incapaci di suonare alcunché, i Sex Pistols (Sex era il nome del negozio, per altro). Il resto è storia
Essere iconoclasti, appunto. Gridare No Future talmente forte e in maniera convincente da convincere tutti, anche troppo. Non è un caso che il film che un altro mezzo genio incrociato da Malcolm McLaren, Julian Temple, ha dedicato a questa storia si intitoli The Great Rock’n’ roll Swindle (La Grande Truffa del Rock’n’Roll). Di questo si tratta, di una truffa, di un imbroglio. C’era una casa vuota, il frigo pieno, il divano comodo, Malcolm è entrato e si è messo a guardare le tv, mangiando schifezze e bevendo birra fresca.
Un virus è entrato in una ferita e ha infettato il corpo, l’ha trasformato. Già prima di lui, e la sua storia è legata a doppio filo a quella del movimento punk, c’era stato Andy Warhol a New York, dalle cui intuizioni certi suoni erano partiti, e dal cui genio era partita l’idea di rendere arte il marketing, la riproducibilità del quotidiano, l’estetizzazione della serialità. La sua Factory, i suoi Velvet Underground, e so che sto tagliando tutto con l’accetta senza entrare troppo nello specifico, andywarholizzando il mio ragionamento, sono stati in qualche modo scintilla che ha animato il fenomeno punk in America, quando ancora Malcolm McLarena andava a scuola. Iconoclastia, ripeto.
Chiaro, si può essere iconoclasti anche in maniera un po’ meno rivoluzionaria e definitiva. Si può, semplicemente, decidere di aderire a un flusso, come quando in un qualsiasi parco acquatico ci si lascia andare alle onde anomale della piscina grande. Si sta lì, e si segue la massa, cercando di arrivare alla parete di fronte, toccare la campana più in alto, spiccare sugli altri. O si può anche decidere di lasciare che siano gli altri a indicarci la strada, più o meno consapevolmente, diventando combustibile per il nostro stesso motore.
Un esempio di questa tipologia di iconoclasti è sicuramente Vasco Rossi, ormai assurto a ruolo di guru indiscusso del nostro panorama musicale, e passato, nei decenni che lo hanno visto quasi sempre protagonista assoluto, dal ruolo di cantatuore a quello di rocker maledetto, via via, fino a quello di re degli Stadi e di indiscusso erede di Fabrizio De Andrè, poeta anarchico e fuori dalle regole destinato a essere voce di chi non ha voce. Se ci pensate un attimo, a freddo, la sua storia, riassunte in poche righe qui sopra, mette i brividi.
Fosse un film con Leonardo Di Caprio come protagonista diventerebbe un blockbuster tipo Prova a prendermi. Vasco, che è un grande artista, sicuramente il cantautore italiano con il più grande seguito transgenerazionale, quello più immediato e diretto, e che è un iconoclasta puro, ha in qualche modo assecondato l’immaginario che altri hanno di volta in volta appiccicato al suo nome, finendo per crederci talmente tanto da farci credere tutti, traslando una intuizione in realtà. Quindi prima cantautore, poi rocker maledetto (grazie a Nantas Salvalaggio, “quel tale che scrive sul giornale” che così lo descrisse), poi rocker del “siamo solo noi”, drogato, arrestato, quindi arrabbiato, Gli spari sopra, noi da una parte loro dall’altra, quindi, intuizione di Roberto De Luca, quello da Stadi, da megaconcerti, quindi, intuizione di Dori Ghezzi, erede di De Andrè, da cattivo maestro a maestro e basta, da peccatore a santo. Amen.Si può, semplicemente, decidere di aderire a un flusso, come quando in un qualsiasi parco acquatico ci si lascia andare alle onde anomale della piscina grande. Si sta lì, e si segue la massa, cercando di arrivare alla parete di fronte, toccare la campana più in alto, spiccare sugli altri. O si può anche decidere di lasciare che siano gli altri a indicarci la strada, più o meno consapevolmente, diventando combustibile per il nostro stesso motore
Su tutto le canzoni sincere e dirette, uniche a loro modo. Un grandissimo artista e anche un grandissimo iconoclasta, capace di cambiare il sistema che ha più volte provato a inglobarlo.
Ma qui siamo nel campo del genio, da Andy Warhol a Malcolm McLaren, fino a Vasco. È possibile essere iconoclasti anche in maniera meno debordante, semplicemente riuscendo a fare il proprio anche senza picchi in alto, semplicemente trovando spazi, creandoli, non facendosi notare, o facendosi notare talmente tanto da passare per bizzarro, e quindi essere accettato, lasciato fare. Per quanto ci si faccia virus, e par di capire che essendo questi tempi neri, in cui farsi virus diventa una necessità, anche perché il corpo è particolarmente debilitato, per quanto ci si faccia virus, quindi, non saremo mai virus mortali. Pensate che c’è uno scrittore, un narratore, che si è fatto passare per critico musicale e professa il mestiere da un ventennio circa, così, dando vita a un grande romanzo epico, con buoni, cattivi, epopee, guerre e battaglie. Vale davvero tutto, i fiumi sono in piena.