Questione di definizioniPokèmon Go: smettete di chiamarla realtà aumentata

La Ar agisce sulla realtà vera e aumenta effettivamente le informazioni su se stessa. Nel caso di Pokemon Go i nuovi significati generati sono irrilevanti rispetto al contesto fisico

In collaborazione con www.urbanocreativonews.it

L’uscita dell’app Pokèmon Go ha interessato gli esperti e gli appassionati di tecnologia: i loro occhi si sono illuminati di fronte – così affermano – ad un riuscito caso di applicazione di realtà aumentata che, mai come ora, è diventata mainstrem.

Funziona così: ogni giocatore ha un avatar da far muovere in un mondo virtuale che non è altro che il nostro stesso mondo riprodotto grazie a Google Maps. L’obiettivo è andare in cerca di Pokemon e catturarne il più possibile. In Pokemon Go, per muoversi da un punto A a un punto B, bisogna percorrere fisicamente la stessa distanza, come se i Pokemon dovessimo catturarli nel mondo reale. Quando nel gioco si incontra un Pokemon, si ha la possibilità di attivare l’obiettivo della macchina fotografica per riprodurre sullo schermo dello smartphone, insieme al Pokemon raggiunto, anche l’immagine della realtà che circonda il giocatore, dando l’illusione che l’esperienza sia reale. Per proseguire e sbloccare i livelli bisogna combattere con i Pokemon di altri allenatori che si possono trovare nelle cosiddette palestre, spazi virtuali ma che fanno riferimento a luoghi identificabili nella realtà. Quindi, anche in questo caso, se voglio combattare contro una palestra che si trova a Milano in via Tortona, dovrò recarmi effettivamente lì. È per queste caratteristiche che, per descrivere il funzionamento di Pokemon Go, si fa riferimento alla Realtà Aumenta.

Ripassino: che cos’è la Realtà Aumentata? Treccani.it definisce la realtà aumentata (o AR, augmented reality) come “una tecnica attraverso cui si aggiungono informazioni alla scena reale”. Come succede anche nel caso di Pokemon Go, l’esperienza è vissuta attraverso piccoli visori che fungono da supporti immersivi permettendo di vedere la scena reale attraverso lo schermo di un visore (processo detto see-through). Altre fonti focalizzano l’attenzione sulla nostra natura biologica asserendo che la “realtà aumentata, rappresenta l’arricchimento della percezione sensoriale umana (i cinque sensi) tramite l’esplorazione della città”. Ciò avviene tramite uno strumento, ad esempio lo smartphone, che, puntato verso la direzione che si vuole indagare, fornisce informazioni multimediali la cui appropriatezza è garantita da una esatta geolocalizzazione fisica.

Si tratta del nostro caso? Un po’ di differenze, ci sono. Poche, ma sostanziali: gli strumenti sono gli stessi, il processo è simile. Ma la fruizione dei contenuti è inversa.

Il nocciolo della questione sta nell’uso del contenuto saliente che l’interazione tra digitale e reale crea. Per definizione: la AR agisce sulla realtà vera e aumenta effettivamente le informazioni su se stessa. Nel caso di Pokemon Go i nuovi significati generati sono irrilevanti rispetto al contesto fisico: acquistano senso e diventano funzionali per la realtà digitale. Con Pokemon Go, dunque, ci troviamo di fronte a un caso in cui non è più un contesto materiale che, attraverso il digitale, si arricchisce. Ma è il digitale che, attraverso un’esperienza reale/fisica, ottiene nuovi input e contenuti che di nuovo ricadono su sè stesso.

E così è la realtà vera che passa definitivamente in secondo piano, diventa un pretesto, lo strumento funzionale al digitale. Forse è solo una questione di definizione, forse è solo una prospettiva poco indagata, forse uno degli ennesimi segnali che ci indica come la realtà virtuale non sia sempre subordinata o meno importante di quella reale. E quindi chiediamo di inserire nei vocabolari un nuovo termine, subito dopo Augmented Reality: Enhanced Digital.

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