*** Spoiler free! Se non avete letto Harry Potter and The Cursed Child, potete leggere questo articolo senza temere spoiler. Gli avvenimenti relativi ai sette libri di Harry Potter usciti fino al 2007 si considerano ormai cultura generale e non possibili spoiler. ***
Mentre stavo leggendo compulsivamente The Cursed Child e gli altri tre eBook di aneddoti passati su Hogwarts, i suoi buoni e i suoi cattivi, ho visto sul New Yorker questa vignetta, intitolata J.K. Rowling and the Chamber of too Much Information. Mi sono quindi ritrovata a riflettere sul senso dell’operazione editoriale che riassumerò per chi abbia vissuto fuori dal mondo o non sia mai entrato in una libreria durante gli ultimi mesi: il 31 luglio 2016 (il 23 settembre in Italia) è uscito un libro intitolato Harry Potter and The Cursed Child, Part I and II, ovvero, per semplificare, l’“ottavo libro della saga di Harry Potter”.
In realtà non è proprio così: il libro non è un romanzo nel vero e proprio senso del termine, ma il testo dell’omonimo spettacolo teatrale al momento in scena al Palace Theatre di Londra. La Rowling, Jack Thorne e John Tiffany sono gli autori della storia, lo stesso Thorne ha firmato l’opera teatrale. E la trama? Il protagonista non è in realtà Harry Potter, maghetto che ha scalato le classifiche in libreria (e al cinema) e che abbiamo conosciuto bambino per lasciarlo adolescente. Bensì, è il suo secondogenito, Albus, menzionato nel flashforward in cui J.K. Rowling ci aveva proiettato sul finale del settimo libro della saga originale, uscito nel 2007. Quindi, secondo i puristi (tra i quali mi annovero) non si può parlare di “ottavo libro della saga di Harry Potter”; è invece più corretto parlare di uno spin-off che narra le vicende di un Potter di generazione successiva.
Oltre a The Cursed Child, il 6 settembre sono usciti tre eBook: Hogwarts: an uncomplete and unreliable guide , Short stories from Hogwarts: of Power, Politics and Pesky Poltergeists , Short Stories from Hogwarts: of Heroism, Hardship and Dangerous Hobbies. Gli eBook scavano nella storia di alcuni personaggi della serie “secondari ma non troppo” (Minerva McGrannitt, Remus Lupin, Mirtilla Malcontenta e altri) e scendono nei dettagli su alcune amenità, tipo la ricetta della pozione polisucco e le caratteristiche della fauna marina che vive nel lago non lontano dal castello di Hogwarts. I tre eBook sono “editi” da Pottermore, il sito interattivo lanciato dalla Rowling nel 2012 per continuare a nutrire i suoi fan con contenuti legati al mondo da lei creato.
Ritorniamo alla vignetta del New Yorker. Il fan di J.K. Rowling, arrivato per chiedere un autografo, fugge perché non vuole vedersi rovesciare addosso informazioni casuali e non richieste sui personaggi che hanno accompagnato la sua infanzia. Questo comportamento si può spiegare in maniera abbastanza semplice: parte della magia di un romanzo sta anche nel non-detto: conoscere troppo a fondo un personaggio porta ad un eccesso di informazioni che ce lo fa apparire immediatamente meno affascinante. È come quando conosciamo una persona per la prima volta e ci infatuiamo perché ci restano ancora tante cose da scoprire; allo stesso modo vogliamo arrivare a poco a poco a farci un’idea personale sui personaggi letterari, per poi poter discutere con gli amici circa l’ambiguità di Piton, come abbiamo fatto fino all’uscita del settimo libro, provare a capire i segreti dell’infanzia di Voldemort, che ci sono stati svelati nel corso della saga, o immaginare quale sia stato il percorso di personaggi che trovano meno spazio ma a cui finiamo per affezionarci, come, appunto, la McGrannitt. Queste figure sono come le persone che incontriamo nel quotidiano ma che non saranno mai parte integrante della nostra vita: un professore con cui abbiamo un rapporto di reciproca stima, ma di cui non conosciamo la sfera personale se non per sommi capi, un amico di amici che incontriamo una volta all’anno e che spesso sentiamo nominare, ma che è destinato a non diventare un nostro amico personale, il barista del bar di fronte all’ufficio, con cui scambiamo quotidianamente quattro chiacchiere ma che resta un “conoscente”. Ma va bene così, non abbiamo bisogno di conoscerle del tutto, anzi, è meglio continuare a navigare in quel limbo tra simpatia e distanza che ci permette di ritenerle più interessanti, un po’ come gli sconosciuti che incontriamo sistematicamente sull’autobus sui quali, secondo il cliché, fantastichiamo inventando mentalmente le loro storie.
Assimilate queste riflessioni, si passa a considerare il lato consumistico dell’operazione editoriale: il prezzo di Harry Potter and The Cursed Child (e la maledizione dell’erede, nella traduzione italiana) è intorno ai 20 €, mentre i tre eBook, ancora non disponibili in italiano, si trovano online al prezzo di 2,99 € ciascuno. L’acquisto combinato di questi testi prevede dunque un investimento di circa 30 €, e il loro lancio arriva più o meno tre mesi prima di Natale e due mesi prima dell’uscita di Fantastic Beasts and Where to Find Them, film basato su un “libello” fatto uscire da J.K. Rowling nel 2001 presentato come un libro di testo sulle creature magiche appartenuto a Harry Potter. La nuova edizione del libro, Fantastic Beasts and Where to Find Them: The Screenplay sarà pubblicato a marzo e può essere pre-ordinato online per circa 16 €, mentre la vecchia edizione è ormai introvabile e su internet è disponibile a prezzi sopra i 40 €. Insomma, c’è molta carne al fuoco e l’uscita contemporanea di tutti questi nuovi prodotti editoriali e cinematografici legati alla Rowling sembra fatta apposta per svuotare i portafogli dei fan storici e pescarne di nuovi.
All’accusa di aver prodotto spin-off su spin-off “rovinando” l’atmosfera dell’opera originale, si può dunque aggiungere un’altra critica: quella del cercare di far girare ancora quella macchina da soldi che, innegabilmente, la saga di Harry Potter ha rappresentato e rappresenta tutt’ora. Eppure, anche se riconosco che nulla sarà più come nei 2000, quando l’attesa di un nuovo capitolo di Harry Potter generava brividi di impazienza nella mia generazione, mi sento di difendere JKR per le sue scelte. Per spiegarvi il motivo, devo tornare un momento indietro nel tempo (una giratempo farebbe forse comodo).
Nel 2003 internet era un posto un po’ diverso, non avevo ancora compiuto 18 anni e mi ero iscritta a un paio di forum a tema Harry Potter su ForumFree. Gli amministratori erano persone sui 30 anni, che avevano pseudonimi e avatar legati ai personaggi della saga, e mi facevano anche un po’ paura («A 30 anni non passerò il mio tempo a discutere con le persone su internet, né mi piacerà ancora Harry Potter», pensavo. E invece). Ho scoperto così l’esistenza delle fan fiction legate al mondo creato dalla Rowling: vere e proprie storie a puntate , a volte anche scritte bene (altre volte meno), che partivano generalmente dai personaggi principali e da ciò che ci era noto di Hogwarts fino a quel momento, immaginando tutto il resto: coppie, alleanze, battaglie e futuri possibili. Una base enorme di storie alternative, pubblicate in tutte le lingue e diffuse attraverso il passaparola sui forum a tema: c’erano potenziali spin-off, prequel, sequel, corredati a volte da artwork in stile manga con gradazioni che andavano dal kawaii al porno. Dunque, in realtà, un universo di ulteriori storie e informazioni aggiuntive sui personaggi di Harry Potter è ciò che i veri appassionati hanno sempre desiderato, a giudicare dal successo di queste fan fiction: gli appassionati ancora non sapevano che Hermione si sarebbe messa con Ron, chi fosse realmente Piton e come sarebbe finita tra Harry e Voldemort, e già stavano provando a immaginare come sarebbe stata la vita a cavallo tra Londra e Hogwarts nel 2020, chi sarebbe stato il Ministro della Magia, e chi avrebbe avuto figli da chi.
Se esisteva questo sottobosco, che da qualche parte continua a proliferare, perché non dare ai fan l’occasione di avere tantissime informazioni e storyline aggiuntive in più, con la sicurezza che fossero certificate dal marchio produzione DOC di J.K. Rowling?
Bisogna ammettere che Harry Potter è una saga particolarmente riuscita, in cui molti dei personaggi “secondari” sono caratterizzati talmente bene da invogliare il lettore ad affezionarsi. Questo personaggi tornano di volume in volume, così agli appassionati è permesso tracciare le loro storie, conoscere qualche dettaglio del loro passato, immaginare i modi in cui si riscatteranno in futuro. È in questo modo che, da essere comprimari, questi personaggi diventano in realtà una parte fondamentale dell’affresco più grande; il lettore finisce per affezionarsi a loro, interessandosi al loro destino. L’affetto cresce ad ogni piccola ma significativa apparizione del personaggio nel corso della saga, ed accade la stessa cosa che succede nella vita reale quando ci affezioniamo a una persona, e siamo desiderosi di conoscerla sempre meglio, e riusciamo ad emozionarci per ogni piccolo dettaglio in più che scopriamo su di lei, anche dopo parecchi anni. Se i fan, da circa un decennio, stavano già riempiendo internet di teorie, finali alternativi e spin-off sui buoni, sui cattivi e sui buoni che sembrano cattivi ma in realtà sono buoni, è anche perché un desiderio di avere più dettagli su tutto ciò che era rimasto in sospeso, c’è sempre stato. Quando la Rowling (e i suoi editori) hanno deciso di continuare il progetto editoriale, probabilmente consapevoli che si sarebbero tirati addosso le critiche di cui abbiamo già parlato, in parte hanno accontentato i fan “affamati” di nuovi dettagli sulla storia, e in parte hanno deciso di dare una risposta ad alcune delle domande che erano rimaste aperte, pubblicando le versioni autentiche di prequel, sequel e spin-off, ovvero quelle con il marchio in ceralacca “JKR”. In fondo era prevedibile: non potevano lasciarsi sfuggire una ghiotta opportunità di business che avrebbe generato in gran parte consensi, perché, come ci ha insegnato Stranger Things, puntare sulla nostalgia vince sempre, quindi creare Pottermore e poi pubblicare un “ottavo Harry Potter” circa dieci anni dopo la chiusura della saga può far indignare una piccola parte dei fan, ma finirà per conquistare tutti gli altri.
C’è anche da dire che in The Cursed Child ci sono elementi apprezzabili, primo tra tutti proprio quello di voler rendere protagonista Albus, anziché Harry, e di mostrare un Harry non perfetto, a disagio con il ruolo di padre. La storia è costruita in maniera intelligente, anche se ha finito per ricordarmi The Butterfly Effect, un film con Ashton Kutcher del 2004. Giocarla sul ritorno indietro nel tempo è infatti un’arma perfetta per andare dritto al cuore degli appassionati della prima ora, e per rendere necessaria la lettura dei primi sette libri prima di potersi godere quest’ultima uscita. Quindi,Cursed Child realizza appieno la doppia ambizione: è allo stesso tempo revival e aggiunta di qualcosa di nuovo per i fan dell’età dell’oro, e arrembante operazione editoriale per conquistare nuovi lettori. All’inizio ho storto il naso e qualche dettaglio nella genesi di questo erede maledetto tutt’ora non mi convince, eppure alla fine mi sono detta che il libro «non era così male» (anzi, sarei curiosa di scoprirne di più su alcuni degli scenari che vi compaiono), ho rincarato la dose leggendo i tre eBook, e sicuramente finirò per andare a vedere Fantastic Beasts, perché in fondo hanno ragione loro: bisogna battere il ferro finché e caldo e i fans, appena si riaccende il loro fuoco sacro, vogliono sempre di più.
Per quanto riguarda i soldi che ho speso per Harry Potter da quando ho raggiunto la maggiore età a oggi, essi superano sicuramente quelli spesi per qualsiasi altra saga letteraria o per qualsiasi altra mia passione; tuttavia non li ho mai rimpianti. Probabilmente è così per molti, quindi non mi sento di accusare la Rowling di voler lucrare sul fulgore delle sue opere passate (senza contare che l’autrice è recentemente uscita dalla lista dei miliardari su Forbesin seguito alle sue importanti donazioni alle charity, tra cui l’associazione Lumos, da lei stessa fondata); anche se fosse, lo fanno in tanti e per prodotti di intrattenimento di gran lunga peggiori. Infatti, ciò che la Rowling ha saputo inventare resta a mio parere un’opera di qualità straordinaria, e se il risultato di queste nuove pubblicazioni è che i primi fan ormai adulti possano continuare a tenere vivo il mito di Harry Potter, mentre nuove generazioni si lasciano conquistare, questa non può essere che una buona notizia.