Il post referendum nella stampa europea

Italia “pollaio”? Italia immobile o l’Italia/laboratorio di movimenti politici nuovi? Così la stampa europea racconta il post referendum, e il post Renzi

A sentire Jacopo Barigazzi di Politico Europe, gli italiani si sono confermati un popolo incapace di grandi cambiamenti istituzionali. Nell’ultimo quarto di secolo l’Italia ha visto approvare 13 leggi di revisione costituzionale, ma in tutti i casi si è trattato di piccoli aggiustamenti della struttura istituzionale. Barigazzi sottolinea il fatto che corteggiare l’elettorato euroscettico è un affare rischioso, se a farlo è un leader politico con un track record di posizioni europeiste. John Lloyd sul Guardian si chiede se arriverà mai qualcuno davvero in grado di governare il Belpaese. Si può pensare all’Italia come a una sorta di laboratorio dove si sperimentano nuove forme di movimenti politici, e in questo senso –sottolinea Lloyd– la parabola del Movimento 5 Stelle non è nemmeno troppo sorprendente.

Nonostante molti opinionisti abbiano cercato di separare l’esito del referendum italiano dal più ampio scenario del futuro dell’UE, su Carnegie Europe Judy Dempsey la vede diversamente: gli effetti di questa crisi su uno degli stati cardine dell’UE vanno a toccare le fondamenta su cui poggia l’edificio europeo. Secondo Dempsey se i partiti anti-EU usciranno vittoriosi dai prossimi appuntamenti elettorali, l’Unione attraverserà un periodo di crisi profonda. In più nel caso dell’Italia l’incertezza politica ha radici più profonde rispetto ad altri paesi –ad esempio la Gran Bretagna, o la Grecia. Il punto di vista di Dempsey è condiviso da Jonas Bergan Draege (EUROPP – LSE) che osserva che il Movimento 5 Stelle e la Lega sarebbero i maggiori beneficiari di eventuali elezioni anticipate.

Dalle colonne dell’Independent James Newell sostiene che non sia possibile individuare un vincitore netto del voto di domenica e che ci sia bisogno di un’analisi approfondita delle posizioni e delle istanze di tutti i partiti e movimenti che compongono il variegato fronte del No. Secondo Newell l’esito del referendum “è espressione di diversi tipi di ‘No’: un ‘No’ alla specifica proposta di revisione costituzionale […], un ‘No’ rivolto alle élite politiche in generale, un ‘No’ espressione dell’attuale malessere economico e sociale e infine –e probabilmente in misura preponderante– un rifiuto del governo Renzi”.

Sempre sull’Independent, Alessio Colonnelli fa un parallelo tra le elezioni in Austria e il voto italiano, sostenendo che se i cittadini austriaci hanno affrontato il ballottaggio “con in mente l’Europa”, gli italiani non hanno fatto lo stesso. Il ‘No’ italiano si può leggere come un ‘No’ all’UE, e i paesi dell’Europa meridionale “non sono in grado di raccogliere la sfida e diventare pilastri della costruzione europea”. L’articolo si conclude su una nota di pessimismo: l’esito del referendum italiano non è che un segnale di una crisi che deve ancora manifestarsi.

Su Europp-LSE il politologo Valentino Larcinese sostiene che il referendum italiano è stato un trionfo della speranza sulla paura: andando controcorrente rispetto all’interpretazione più comune, secondo Larcinese il voto di domenica è stato un successo per quanti richiedono più partecipazione in Europa. È importante inoltre che il referendum non sia interpretato come una decisione sull’UE o sull’euro, ma allo stesso tempo è meglio che “i tecnocrati ortodossi” di Bruxelles colgano la palla al balzo per riformare le istituzioni europee.

In un’intervista a Euronews, il sociologo Luca Ricolfi sostiene che se la Brexit, l’elezione di Trump e il referendum costituzionale italiano si possono leggere attraverso la lente del populismo crescente, non sono si possono tuttavia mettere sullo stesso piano. Secondo Ricolfi, è lo stesso Renzi che si è comportato da leader populista negli ultimi anni, commettendo l’errore di gestire la campagna per il Sì “senza dare ascolto a nessuno, intellettuali o giornalisti”. Angelo Martelli, su EUROPP – LSE, aggiunge un pezzo al puzzle della sconfitta di Renzi: il ritmo fiacco della ripresa economica in Italia potrebbe aver giocato un ruolo importante.

Il quotidiano economico tedesco Handelsblatt –commentando la situazione post-voto– paragona lo scenario politico italiano a un “pollaio” dove si fa un gran sbattere d’ali. Dalle stesse colonne, Volker Wieland –membro del Consiglio degli Esperti Economici, un organo consultivo tedesco– afferma che l’Italia dovrebbe entrare in un programma di salvataggio per risolvere i problemi legati al debito pubblico. Secondo Silvia Merler (EUROPP) dobbiamo attenderci un periodo di incertezza poltica ed economica, con ricadute negative sul settore bancario.

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