Sorpresa, Papa Francesco è contro lo stato “confessionale”

Bergoglio è in cerca di leader europei, ma li vuole laici. Il vuoto di potere che sta divorando l'Europa e il mondo fa paura al Papa. Che, almeno dal Vaticano II in poi, ha abdicato all'idea di stato confessionale, tanto cara ai cattolici integralisti

«Al giorno d’oggi mancano leader; l’Europa ha bisogno di leader, leader che vadano avanti». È stato forse sottovalutato il giudizio netto espresso nei giorni scorsi da papa Francesco sullo stato attuale del vecchio continente, o meglio, sulla crisi delle sue classi dirigenti. Parole chiare contenute in un’intervista al settimanale belga “Tertio” e poi diffuse dal Vaticano. Ma cosa intende Bergoglio? Il pontefice sta parlando di un’Europa senza leader in grado di cambiare le cose, di lavorare per la pace, sviluppo e il benessere dei popoli.
Non a caso Francesco si richiama nello stesso ragionamento, alla generazione di politici cristiani e cattolici che, nell’immediato dopoguerra, diedero vita al primo embrione di comunità europea. Vengono evocati Schumann, De Gasperi, Adenauer, i quali, spiega il papa, dissero “sinceramente mai più la guerra!” e a partire da questa affermazione trovarono intese economiche e commerciali, aprirono la strada all’integrazione fra nazioni che si erano sempre combattute.

Non è una novità che gli uomini di Chiesa guardino con una certa nostalgia a quella stagione, fra gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, in cui effettivamente alcune grandi personalità politiche di scuola o formazione cattolica, costruirono le fondamenta della pace e del benessere europeo che caratterizzò i decenni successivi. Un analogo sentimento è stato espresso più volte da Benedetto XVI: anche per lui l’Europa cristiana era risorta nel dopoguerra (per poi naufragare, nell’interpretazione ratzingeriana, nel big-bang del Sessantotto). Lo stesso monsignor Nunzio Galantino, all’indomani dell’esito referendario in Italia, ha ribadito che in Europa, e anche nel nostro Paese, mancano appunto dei leader. Rimpianto? Rassegnazione? Semplice constatazione? Un insieme di queste cose e altro ancora.

L’unica istituzione che piace davvero alle gerarchie ecclesiastiche in questi tempi tumultuosi, è la presidenza della Repubblica, quella che incarna l’unità nazionale e la difesa del “bene comune” del Paese

Di fatto il cattolico Matteo Renzi, che pure va a messa con la famiglia ma esalta le unioni civili, certo non è mai piaciuto troppo alla Chiesa, per altro è tutt’altro che democristiano nello stile: fra meriti e difetti che si possono elencare, una cosa è certa: non è l’uomo delle mediazioni, della concordia, della prudenza. Berlusconi fu amato per forza mentre i suoi harem mettevano a disagio l’episcopato, per non dire della sua cultura politica. C’era Angelino Alfano un tempo, ma oltre alle percentuali marginali che ha sempre raccolto, anche lui è diventato a suo modo post-moderno, renziano di complemento; si incontra di tanto in tanto con il cardinale Camillo Ruini ma non basta. Ora è la volta di Paolo Gentiloni, e sui giornali qualcuno scrive che è addirittura cattolico.

Forse per via di quale nome evocativo del mitico patto Gentiloni (e in effetti Vincenzo Ottorino Gentiloni è nell’albero genealogico del Gentiloni attuale), quello che portò i cattolici ad allearsi con i liberali di Giovanni Giolitti nel 1913 per sconfiggere i socialisti; ma il neo presidente del Consiglio è laicissimo, rispettoso sì della Chiesa, ma di certo non cattolico. Il catto-leghismo, poi, è visto con timore per la sua vocazione a trasformare la fede in un’ideologia nazionale, nel collante identitario che fa da base a richieste antisolidali, antistranieri, xenofobe e qualche volta razziste. La Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi, invece, è sempre più universale, sempre più in uscita verso altri continenti e culture, e questo resta il dato profetico e storico che la rende un’istituzione diversa da tutte le altre. Forse per questo insieme di ragioni l’unica istituzione che piace davvero alle gerarchie ecclesiastiche in questi tempi tumultuosi, è la presidenza della Repubblica, quella che incarna l’unità nazionale e la difesa del “bene comune” del Paese, sia essa rappresentata dal laico Ciampi, dal post-comunista Napolitano o dal cattolico Mattarella.

Di sicuro però, il mondo che non c’è più e al quale gli uomini di Chiesa guardano con qualche rimpianto, era anche quello dei grandi partiti cattolici, capaci di incarnare il bisogno di pace sociale e moderazione delle maggioranza silenziose dei paesi occidentali. I conflitti non mancarono neanche allora, ma la società trovava nelle leadership delle risposte – è il pensiero costante della Santa sede – magari parziali, ma comunque in grado di orientare la vita civile evitando il peggio. È stato davvero così? E’ un problema cui risponderanno gli storici, di certo Angel Merkel, che pure ha un ottimo rapporto con papa Francesco, non basta a tranquillizzare i sacri palazzi d’Oltretevere sulle sorti del continente in preda a convulsioni politiche non facili da decifrare.

Per Papa Bergoglio meglio uno Stato laico – non laicista poiché la religione non è una subcultura da estirpare – che uno Stato confessionale; insomma nessun rifugiarsi nell’idea dello Stato integralista, in cui il dogma di fede diventa legge, quindi potere, magari autoritario

Allo stesso tempo papa Francesco ha voluto sgombrare il campo da un equivoco che rischiava di imprigionare la Chiesa e i cattolici impegnati nella vita politica in uno schema superato da tempo. In realtà il pontefice non ha fatto altro che ribadire l’insegnamento del Concilio Vaticano II, e però le sue parole hanno un peso perché guardano al futuro.
Meglio uno Stato laico – non laicista poiché la religione non è una subcultura da estirpare – che uno Stato confessionale; insomma nessun rifugiarsi nell’idea dello Stato integralista, in cui il dogma di fede diventa legge, quindi potere, magari autoritario. «Il Vaticano II – spiegava il papa nell’intervista alla testata belga – ci parla dell’autonomia delle cose, dei processi e delle istituzioni. C’è una sana laicità, per esempio la laicità dello Stato. In generale, uno Stato laico è una cosa buona; è migliore di uno Stato confessionale, perché gli Stati confessionali finiscono male». Tuttavia, aggiungeva Francesco «una cosa è la laicità e un’altra è il laicismo. Il laicismo chiude le porte alla trascendenza, alla duplice trascendenza: sia la trascendenza verso gli altri e soprattutto la trascendenza verso Dio; o verso ciò che sta al di là. E l’apertura alla trascendenza fa parte dell’essenza umana. Fa parte dell’uomo. Non sto parlando di religione, sto parlando di apertura alla trascendenza. Quindi, una cultura o un sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza della persona umana ‘pota’, taglia la persona umana. Ossia non rispetta la persona umana».
Quella persona umana la cui dignità, i cui diritti fondamentali, a prescindere dal paese di provenienza, dal colore della pelle, dalle fede e dalle opinioni, va comunque tutelata e difesa secondo l’insegnamento del papa. Da qui anche l’impegno costante e pressante della Santa Sede in favore della pace che è alla base di questi principi.

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