Perché non siamo capaci di prenderci le nostre responsabilità

Ci sono motivi culturali, famigliari, ma anche intimamente personali. Eppure l’assunzione di responsabilità è ciò che distingue i protagonisti dalle vittime. E la precondizione di qualunque tipo di successo. Perlomeno, molto più del migliore tra gli alibi

Da profondo conoscitore dell’animo umano Shakespeare (o chi per lui) scrive: “È tutta colpa della luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti”.

É sempre colpa di qualcosa o qualcun altro. Meglio la luna della zanzara, quanto meno è più poetica!

R” come Responsabilità. Da profondo conoscitore dell’animo umano Shakespeare (o chi per lui) scrive: “È tutta colpa della luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti”.

Tutta colpa della luna e della zanzara

É sempre colpa di qualcosa o qualcun altro. Meglio la luna della zanzara, quanto meno è più poetica!

Ricordo un manager che ricopriva un ruolo apicale in un’azienda nostra cliente. Venne a un nostro training qualche anno fa. Nel rivedere la registrazione della sua negoziazione e riascoltare il discorso confuso e a tratti incomprensibile che aveva pronunciato, con funesti effetti sulla trattativa in corso, sentì il bisogno di giustificarsi, dicendo che aveva perso il filo per colpa di una… zanzara.

Una zanzara! Lessi lo sgomento tra i suoi colleghi. Una zanzara. Guai a ucciderla: sennò a che cosa si sarebbe aggrappato nei giorni seguenti?! Che ne sarebbe stato del suo alibi?

Che cosa influenza il nostro rapporto con la responsabilità?

Ci sono, mi sento di azzardare, tre piani di riflessione: uno collettivo, uno famigliare e uno individuale.

Sul piano collettivo e sulla tendenza alla deresponsabilizzazione, abbastanza diffusa nel nostro Paese, penso all’influenza della Chiesa Cattolica e a Lutero. Da una parte l’indulgenza a pagamento che monda da ogni peccato e ci solleva da ogni responsabilità. Dall’altra la dottrina protestante, che di quella responsabilità vuole piena assunzione da parte nostra qui e ora. Poi Dio, dopo, nel caso, perdonerà.

C’è poi un secondo ambito, quello famigliare, di cui è espressione l’educazione ricevuta e quella ricerca spasmodica di amore che ha messo così bene in luce Brène Brown.

Il Senso di Vulnerabilità

Professoressa di Sociologia all’Università di Houston, la Brown ha studiato per anni il tema della negazione, in primis a sé stessi, della propria vulnerabilità e di come ciò costituisca un limite al vivere appieno la propria umanità.

“ll sapere di non sapere” e la libertà di poterlo ammettere sono conquiste che sembrano smarrirsi a mano a mano che si scala la piramide del potere.

Qui l’errore non è consentito e la sua ammissione è un’onta incancellabile, per nascondere la quale sono piuttosto preferibili la deresponsabilizzazione e il ricorso alla negazione dell’evidenza, con comportamenti al limite dell’incoerenza.

“ll sapere di non sapere” e la libertà di poterlo ammettere sono conquiste che sembrano smarrirsi a mano a mano che si scala la piramide del potere. Qui l’errore non è consentito e la sua ammissione è un’onta incancellabile, per nascondere la quale sono piuttosto preferibili la deresponsabilizzazione e il ricorso alla negazione dell’evidenza, con comportamenti al limite dell’incoerenza

Insomma, meglio inventarsi le zanzare che ammettere di aver sbagliato.

L’ansia di rincorsa del successo, di cui vogliamo il riconoscimento, per una umana e irrinunciabile esigenza di connessione, ci blinda nella cortina dell’infallibilità. Ci priva di quello slancio, a tratti salvifico e liberatorio, di vivere serenamente l’errore, nella consolatoria consapevolezza che la comunanza umana sta nell’essere fallaci e non certo perfetti.

Tutto parte molto, certo non solo, dall’educazione ricevuta. La pienezza del diritto di essere amati ed accettati ha origine dalla relazione intessuta con i nostri genitori.

Il timore di perderne l’amore (“tesoro, la mamma ci resta male se fai così”) può averci lentamente, quanto inconsapevolmente, instillato l’abitudine a negare il furto della marmellata o a imputarlo alla zanzara.

Così almeno non perderemo l’amore delle persone a cui teniamo di più. E, crescendo, ci alleniamo a dare di noi una visione di ciò che non siamo.

Per ultimo c’è la terza dimensione: noi, dotati di libertà e di arbitrio. Che qui ed ora possiamo decidere se agire da vittime o da protagonisti.

Scelta che passa attraverso l’assunzione di responsabilità.

Il Manager Responsabile

Se penso al mio manager che agisce da “umano”, lo vedo ammettere i propri errori, circondarsi di persone con pari propensione e appendere un cartello all’ingresso dell’azienda con scritto “Qui lavorano solo persone, il Si impersonale si è licenziato”.

La capacità di pensare, come diceva Hanna Arendt, porta a saper maturare un giudizio morale e a distinguere tra il bene e il male. Assumendosi poi le proprie responsabilità. Per chi non lo avesse visto, “Il Labirinto del Silenzio” sul tema racconta qualcosa.

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