«La letteratura ha fin troppo influenzato il giornalismo italiano, tanto che spesso il buon giornalista, in Italia, è il letterato mancato, o addirittura il letterato in prima persona». A parlare è lo scrittore Edoardo Albinati — premio Strega 2016 con il romanzo La scuola cattolica edito da Rizzoli — che nel weekend scorso è stato al centro dell’ultima edizione de L’immagine e la parola, un weekend di masterclass e proiezioni organizzato dal Locarno Festival, sulle rive svizzere del lago Maggiore.
«Negli ultimi anni, soprattutto in Italia, il giornalismo ha sempre più la tendenza a usare il linguaggio allo scopo di persuadere, commuovere, emozionare, convincere il proprio lettore, piuttosto che usare i fatti per informarlo», continua Albinati, «per questo io non scrivo per i giornali, a parte pochissimi casi di reportage, perché il giornalista letterato che parte, con la lancia in resta, contro qualcosa o per qualcosa, a me ha sempre lasciato molto freddo. Quindi no, non credo che la letteratura possa aiutare il giornalismo, anche perché mi sembra che fino ad ora lo abbia, al contrario inquinato. O meglio, lo ha reso in qualche modo didascalico e accessorio».
E invece quale dovrebbe essere il ruolo del giornalismo?
Dovrebbe informare, astenendosi dal provocare sentimenti, senza retorica e senza fini altri che dare ai lettori le informazioni necessarie per capire la realtà che li circonda e i fatti che accadono attorno a lui.
E perché non lo fa?
Perché, almeno qua in Italia, ormai i giornali puntano a confermare le idee dei propri lettori, più che a metterle in discussione. E infatti i pochi che ancora vanno in edicola, scelgono il quotidiano come si sceglie una bandiera o una squadra di calcio. Nessun lettore vuole uscire dalla propria bolla, in fondo, nessuno si mette a cercare qualcosa che potenzialmente metta in crisi le proprie convinzioni e in questi anni non sono certo i giornali che, di loro iniziativa, cercano di farlo.
In letteratura, la verità e la realtà, per diventare comprensibile e credibile deve essere finta, deve farsi menzogna, come diceva Manganelli. Quindi si può arrivare alla verità anche passando dalla finzione?
Sì, ma nella letteratura e solo nella letteratura. Nel contesto estetico letterario la finzione può essere un ottimo modo di approfondire la realtà senza per forza tradirla. Però, ripeto, solo nella letteratura, non nel giornalismo. Per questo credo che si debba mantenere distaccato nettamente il primo dalla seconda, stando attendo a non mescolarle anche come luogo di fruizione: i giornali, i libri, le riviste.
Negli ultimi anni sta diventando la normalità l’uso della prima persona nel giornalismo. Cosa ne pensa lei, da scrittore?
Non è che il giornalismo attinga allo statuto di verità più profondamente della letteratura soltanto perché presuppone di raccontare solo il vero, perché esistono diversi livelli di vero e di reale. E quindi non è detto che il giornalismo non possa attingere alla prima persona. Pensa a tutto il gonzo journalism, che è arrivato ben prima di Vice e ben più in alto. Bene, quelli erano grandissimi pezzi di giornalismo lo stesso e te ne accorgi molto bene quando li togli dal loro contesto giornalistico e li raccogli, pubblicandoli in un libro. Ma anche al di là del gonzo, prendi per esempio uno come Kapuscinski. Lui era un grandissimo giornalista, ma anche un grandissimo narratore. E allora cos’è? Non è più un giornalista? Direi proprio che lo è, e uno dei più grandi. Che poi molti tra i giornalisti contemporanei abbiano totalmente superato l’idea della corrispondenza coi fatti di ciò che scrivono, questo si deve a un fenomeno che va ben oltre il giornalismo stesso.
Quale fenomeno?
Oggi qualsiasi cosa venga scritta o detta può fare il giro del mondo in pochi secondi, un tempo che rende impossibile qualsiasi tentativo di verifica. E se questa tendenza sarà sempre più confermata nella pratica e il giornalismo continuerà a perdere credibilità e aderenza con la realtà, be’, allora sì che preferirò una menzogna profonda e scritta bene, piuttosto che una verità superficiale e scritta anche male.
L’etichetta di post verità, presupponendo l’esistenza di una verità, potrebbe essere pericolosa? In fondo la verità esiste solo nelle religioni o nei totalitarismi…
Il fatto che con la parola si possa aderire alla verità è un’illusione. Ci si può approssimare. La parola è sempre una approssimazione alla realtà, come ogni rappresentazione. Non per niente Kafka scrisse che quando arriviamo in prossimità della verità la travolgiamo di parole, invece di guadagnarla la uccido definitivamente.
Quindi le parole non sono così importanti?
No, aspetta, la parola, per quanto strumento ricchissimo, è solo che è limitato. Non si può illudersi di poter arrivare alla verità con le parole. Però, c’è un’altra cosa ancora che riguarda il giornalismo in senso politico e la letteratura in senso artistico. Come ho scritto nella quarta di copertina del mio ultimo libro, il vero problema della verità è se dirla o non dirla. Quindi, per quanto approssimata possa essere, la questione in Italia in questo momento è se si vuole raccontare o meno, se si è pronti a rischiare o no.
Quindi abbiamo un problema di autocensura?
L’autocensura è un grande tema, sia nel giornalismo che nella letteratura. Per il giornalismo basta pensare a che cos’è e cosa serve per capire quanto sia normale che sia così.
In che senso?
Il giornalismo è sempre servito e serve ancora oggi come ieri per proteggere alcuni interessi e per attaccarne altri. Infatti la cosa interessante non è quasi mai quello che i giornali pubblicano, ma quello che non pubblicano. Bisognerebbe fare le rassegne stampa scrivendo cosa non hanno scritto, cosa hanno nascosto.
E nel mondo letterario?
È la stessa cosa. Se devo fare un rimprovero al mondo letterario italiano devo dire proprio questo, che ha un serio problema che riguarda quel che non racconta perché, se lo facesse, racconterebbe una realtà sgradevole, cruda, devastante. Per questo la letteratura italiana evita la verità, ma mica solo la letteratura, anche il cinema, come dimostra la produzione attuale italiana, che anche quando trasforma la realtà in fiction lo fa oscurando la verità.