Blog di una liberaleIl reddito di cittadinanza sono le nuove baby pensioni

Ricordate? Le introdusse il governo Rumor e permisero di smettere di lavorare dopo 14 anni di contributi. Grazie a loro la Dc divenne ancora più popolare, ma ci costano 9 miliardi l’anno ancora oggi. Stesso destino per reddito di cittadinanza e Movimento Cinque Stelle?

Esiste un sistema tutto italiano che da sempre si propone come risposta al malessere della popolazione e ai problemi legati alla povertà, al lavoro, e all’inclusione, ed è quello delle mance politiche. A seconda del partito e dell’occasione vengono chiamate bonus bebè, 500 euro ai diciottenni, 80 euro in busta paga… Per lo più si tratta di misure che hanno un efficacia, (e per fortuna anche una spesa), temporanea. Misure che, come sempre, non risolvono i problemi legati al sussidio, come ad esempio la mancanza di tutele e servizi per le nuove madri, ma forniscono un immediato consenso politico al partito che le ha proposte.

Bella roba, si penserà: spostano soldi da una categoria all’altra solo per prendere voti. In realtà questa non è la parte peggiore della politica: esiste di molto peggio. Esiste il politico ancora più sfacciato, che propone una misura epocale, rivoluzionaria, che non può che accontentare tutti (quello che votano), tranne le generazioni successive, che però non solo non votano, ma magari non sono ancora nate.

Ed è qui che si nasconde il successo i del M5S: promettere alla gente che potrà riceverà dei soldi no matter what, grazie ai poteri straordinari del reddito di cittadinanza. Il problema è che il reddito di cittadinanza rappresenta forse la peggiore delle mance elettorali: non solo non risolve efficacemente il problema della povertà, che deriva dalla disoccupazione e dal costo della vita, ma in più ulteriori conseguenze irreversibili. Il primo è l’incremento esponenziale della spesa dello Stato, con la conseguente e logica impossibilità di garantirne le adeguate coperture, e il secondo è la promozione di un incentivo tossico nel cittadino italiano: quello di non voler lavorare.

Parliamone: perché dovremmo lavorare, subire le angherie del capo, adeguarci a regole e norme, dover prendere un autobus pieno di gente per andare in ufficio o in fabbrica, se possiamo ricevere 780 euro al mese andando in spiaggia ogni giorno con il cane? Se guadagnamo 500 euro al mese e ne riceviamo 270 di integrazione senza fare nulla, quale incentivo avremmo a cercare un lavoro più remunerativo? E quale ulteriore follia sarebbe accettare un lavoro da 40 ore, da 1000-1200 euro al mese, quando stando a casa potremmo, oltre che rilassarci, risparmiare i costi di spostamento, pranzi e la fatica di adattarsi ad un posto di lavoro?

Non solo: al di là del costo per lo Stato, che ammonta, secondo il Movimento 5 Stelle, a 19 miliardi di euro all’anno, un ulteriore problema sorge a causa del nostro welfare state. Questo enorme apparato viene mantenuto, e pure male, grazie al pagamento delle imposte. Ci sorprenderà, ma per pagare le tasse è necessario avere un posto di lavoro, e per avere un posto di lavoro è necessario avere imprenditori, aziende e dipendenti

Non solo: al di là del costo per lo Stato, che ammonta, secondo il Movimento 5 Stelle, a 19 miliardi di euro all’anno (non esattamente delle briciole), un ulteriore problema sorge a causa del nostro welfare state (ovvero l’insieme di tutele che comprende la sanità, l’istruzione, i servizi sociali, le infrastrutture ecc..). Questo enorme apparato viene mantenuto, e pure male, grazie al pagamento delle imposte. Ci sorprenderà, ma per pagare le tasse è necessario avere un posto di lavoro, e per avere un posto di lavoro è necessario avere imprenditori, aziende e dipendenti che rispondano ad incentivi propri del mercato, e che negli scenari immaginati dal M5S forse non esistono. Il consenso politico però, esiste eccome e può garantire rielezioni illimitate per i successivi 20 anni. E questo è un film già visto: ci ricordiamo le “baby pensioni”? Furono varate dal governo Rumor (1974), Presidente del Consiglio espresso dalla Democrazia Cristiana, che consentì a migliaia di persone di accedere alla pensione anche dopo appena 14 anni di lavoro. Un esercito di 100.000 baby pensionati che ancora oggi ci costa 9,45 miliardi all’anno, e pesa su tutte le categorie sociali, ma che aiutò il partito a diventare ancora più popolare. La Democrazia Cristiana fu il partito più votato in Italia per i successivi 20 anni: nel 1976 (38,71%), 1979 (38,30%), 1983 (32.93%), 1987 (34.31%), e 1992 (29.66%).

Un grande successo politico, che sembra riprodursi oggi nella proposta del reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle: misura di grande consenso, che non risolve i problemi, e che crea un solo grande costo: quello imposto alle generazioni successive, che si troveranno, loro malgrado, a dover saldare il conto.

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