Marzo 2018. Tra un anno esatto, l’Italia potrebbe trovarsi ad essere, di fatto, commissariata. Non è uno scenario da “catastrofisti”, perché, purtroppo, ce ne sono tutti i presupposti e tra un anno potrebbe essere questa l’unica alternativa a disposizione delle leadership uscite dalle elezioni francese e tedesche per evitare che un’”Europa a più velocità” si sostanzi in una (quella sì catastrofica) uscita dell’Italia (e della Grecia) dall’unione monetaria.
Del resto è probabile che, tra un anno, l’Italia si ritrovi alle prese con una delle campagne elettorali più infiammate e più inutili della storia repubblicana: con la certezza che nessuno potrà vincere le elezioni per l’incapacità che il Parlamento uscente avrà dimostrato di trovare una legge elettorale costituzionale e in grado di garantire un minimo di stabilità. E lo spread sarà in crescita dopo la conclusione, sempre più inevitabile, del “Quantitative easing” alla fine del 2017. A quel punto all’Europa potrebbe non restare che l’opzione di un’amministrazione controllata ed il governo italiano non potrebbe che abbozzare non avendo la forza politica di proporre un’alternativa. Anche se tutti, a campagna elettorale in corso, proveranno a minimizzare.
Ma quali saranno le decisioni che un commissario esterno assumerebbe? Se potesse intervenire non più solo sui saldi della finanza pubblica ma sulle sue componenti?
Tra un anno è, infatti, probabile che l’Europa sia molto diversa. Che – rinvigorita da un nuovo asse tra Macron e Merkel, ma realisticamente consapevole della crescita ulteriore dei populismi in Francia, in Germania e in Olanda – tenti con l’Italia un approccio diverso dalla terapia intensiva che è stata senza successo applicata alla Grecia per dieci anni. È probabile dunque che si rendano conto che l’intervento su una società non può essere un salasso. Che bisogna distinguere – Paese per Paese e senza fidarsi dei manuali di economisti pigri – nei tagli delle spese, tra quelli che rischiano di affossare il malato da quelli che, invece, possono restituirgli dinamismo ed efficienza. Chi rischierebbe di più da una revisione della spesa che sia finalmente radicale (in grado cioè di curare in tempi non lunghi) e libera dai condizionamenti di mille lobbies?
Nella primavera del 2018 all’Europa potrebbe non restare che l’opzione di un’amministrazione controllata ed il governo italiano non potrebbe che abbozzare non avendo la forza politica di proporre un’alternativa
L’amministrazione centrale dello Stato e le pensioni con importi superiori a certe soglie e, comunque, superiori ai contributi versati. Sono questi i due tabù che nessuno ha mai, veramente, provato a scalfire. E che, forse, solo dall’esterno, usando criteri razionali, riusciremo a mettere in discussione.
A dimostrare che è l’amministrazione centrale a dover essere il primo capitolo di una revisione della spesa che sia finalmente intelligente, sono i numeri del bilancio dello Stato e i documenti della Ragioneria Generale che lo distribuiscono nello spazio. La spesa per la sicurezza (polizia, carabinieri), quella per la giustizia (tutti i tribunali), per la stessa istruzione e, persino, per i beni culturali, appare consumata per percentuali che variano tra il 20 e il 35% a Roma. Proporzione questa che non si riscontra per altre capitali europee che pure pesano più di quello che Roma pesa sull’Italia (il 5% della popolazione e della ricchezza prodotta). Il problema più grosso del più grade dei problemi italiani è, dunque, l’amministrazione pubblica italiana ha una testa pesante e che, spesso, non funziona. Come evidenziano politiche pubbliche che, a ripetizione, falliscono perché implementate male. Ed è un problema che nessuno dei governi italiani ha, mai seriamente, affrontato visto che, negli ultimi vent’anni, abbiamo eliminato le province (salvo ripensamenti), bastonato i comuni, contenuto le Regioni e, sostanzialmente, salvato le amministrazioni centrali (che, peraltro, sono quelle che disegnano riforme dell’amministrazione pubblica destinate a fallire per palese conflitto di interesse). L’unico contenimento dei costi è arrivato – peri i ministeri così come per gli altri – sotto forma di blocco del turn over che ha fatto uscire il problema dalla finestra facendolo rientrare dalla porta sotto forma di una dirigenza sempre più costosa, anziana e demotivata.
L’amministrazione centrale dello Stato e le pensioni superiori superiori a certe soglie e comunque superiori ai contributi versati. Sono questi i due tabù che nessuno ha mai, veramente, provato a scalfire. E che, forse, solo dall’esterno, usando criteri razionali, riusciremo a mettere in discussione
E poi le pensioni. Per le quali vale un ragionamento analogo. Qualsiasi tentativo di giustizia (tutt’oggi l’Italia paga in pensioni quattro volte di più di quello che investe in scuola e nessuno ha mai dimostrato perché i “diritti acquisiti” siano più intangibili di quelli di un lavoratore in attività) è stato affossato da chi è beneficiario dell’ingiustizia.
Un commissario esterno saprebbe bene dove tagliare. Ed altrettanto chiaro dovrebbe essergli il concetto che qualsiasi risparmio deve essere automaticamente tradotto in minori tasse, minore debito o maggiore investimento in capitale umano per riuscire nel miracolo sfuggito a tutti: crescere… e farsi rieleggere, visto che anche questa appare una missione impossibile per chiunque ci abbia provato dopo aver governato.
Un obiettivo difficilissimo che però diventerebbe facile per chi ci provasse senza condizionamenti. Un miracolo che riuscirebbe anche al Partito Democratico se rompesse gli indugi e provasse – con coraggio – il tutto per tutto che impone il buon senso.