Meno mimose, più lotte. Quest’anno l’8 marzo, giornata internazionale della donna, si festeggia con uno sciopero globale. Le donne di quasi 50 Paesi (le adesioni aumentano di giorno in giorno) incrociano le braccia e scendono in piazza per protestare contro la violenza e la disuguaglianza di genere. Una rete femminista partita dall’Argentina, che in Italia ha accolto l’invito tramite il gruppo “Non una di meno”, nato in occasione delle manifestazioni di novembre dopo la contestatissima campagna di comunicazione del Fertility Day. Le ultime ad aderire sono state le americane della Women’s March contro il presidente Donald Trump.
«Nel mondo si sta facendo largo un inedito ciclo di lotte il cui fulcro è il pensiero femminista, in tutte le sue mille sfaccettature», spiegano da “Non una di meno”. Le richieste sono trasversali, coinvolgendo diversi settori, da quello sanitario a quello culturale. Nel documento degli 8 punti per l’8 marzo si ribadisce «il rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessimo, razzismo, omo e transfobia». Il tema non è solo la violenza maschile, per la quale l’Italia è stata appena condannata dalla Corte europea dei diritti umani per non aver agito con rapidità per proteggere una madre e un figlio. Si chiede più sostegno ai centri antiviolenza, ma anche la piena applicazione della legge 194 sull’aborto, l’accesso alla pillola abortiva Ru486, una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro (in Italia tra le più basse d’Europa). Allo sciopero hanno aderito diversi sindacati, dai Cobas alla Flc Cgil, con l’astensione dal lavoro nel settore pubblico e privato, che riguarderà anche i trasporti. Sono coinvolti anche gli studenti delle scuole e delle università. Si terranno cortei, flash mob e assemblee nelle piazze, da Nord a Sud, negli ospedali e nei luoghi di lavoro. Nessun centro antiviolenza, in prima linea nella lotta alla violenza sulle donne e spesso senza sostegno pubblico, accetterà gli inviti istituzionali delle manifestazioni rituali dell’8 marzo. «Se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo», è lo slogan.
Assistiamo a una ripresa straordinaria del femminismo degli anni Settanta. Una nuova generazione di giovani donne compare sulla scena pubblica in maniera imprevista
Il movimento internazionale nasce dall’Argentina dove, dopo lo stupro ripetuto e l’uccisione della 16enne Lucia Perez, a ottobre migliaia di donne hanno proclamato lo sciopero. E lo stesso è successo in Polonia contro la legge anti-aborto votata dal Parlamento. Il nome del movimento italiano “Non una di meno” deriva proprio dal gruppo argentino Ni una menos. Le giornate del 26 e 27 novembre a Roma sono state il primo test, con un corteo e un’assemblea nazionale organizzati da tre associazioni femminili italiane: la rete romana “Io Decido”, l’associazione Dire dei centri antiviolenza e l’Udi, Unione donne in Italia. Il summit è proseguito poi il 4 e 5 febbraio scorsi a Bologna, dove nelle aule dell’università sono arrivate quasi 2mila donne – studentesse, lavoratrici, mamme – per la riscrittura dal basso di quello che chiamano il “piano femminista contro la violenza”, alternativo al piano straordinario scritto dal governo. E dopo lo sciopero dell’8 marzo, si daranno di nuovo appuntamento a Roma il 22 e 23 aprile per elaborare entro giugno un testo unico. Che però non diventerà una proposta di legge, precisano.
«Assistiamo a una ripresa straordinaria del femminismo degli anni Settanta», ha spiegato Lea Melandri, presidente della Libera Università delle donne in occasione della presentazione delle manifestazioni milanesi. «Esigenze radicali riguardanti la sessualità, l’aborto, la salute riproduttiva, il lavoro tornano a emergere con maggiore concretezza rispetto al passato. E una nuova generazione di giovani donne compare sulla scena pubblica in maniera imprevista, riuscendo a tenere insieme le tematiche che finora hanno visto il femminismo frammentato e a trovare per la prima volta i nessi tra la violenza maschile privata e la sfera pubblica. C’è un richiamo alle pratiche e alle teorie del femminismo. Magari le giovani non le conoscono, ma è la radice della loro libertà». Con la novità «che non c’è uno scontro generazionale come negli anni Settanta, ma si lavora insieme».
Nelle assemblee si parla di «patriarcato». Le studentesse chiedono «una rivoluzione culturale contro il sistema patriarcale» e un’educazione alle questioni di genere. Si vede anche sventolare qualche pugno chiuso. Si recitano e si preparano slogan e cori. Accanto alle venti-trentenni, siedono quelle con i capelli bianchi che in piazza sono scese tante volte.
«Il femminismo non è morto», dicono, «ma non deve fermarsi all’8 marzo». L’hashtag scelto per i social è #lottomarzo. «Non sarà una giornata di festa, ma di lotta». Da Nord a Sud, a poche ore dalla festa delle donne, nuove città si aggiungono alla lista delle adesioni. E alle 18, allo stesso orario, in tutta Italia partiranno i cortei. «Una manifestazione serale per tenere insieme le esigenze di tutte le lavoratrici», dicono, «anche quelle precarie, che non possono permettersi una giornata di sciopero». Se di nuovo femminismo si tratta, sta di sicuro con i piedi per terra.
Nei video realizzati dalla creative producer Chloé Barreau si immagina come sarebbe il mondo se le donne si fermassero. Ecco un esempio:
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