In certe parti del mondo fallire non è un fallimento. Non riuscire a realizzare ciò che si era proposti, o interrompere l’attività che si stava portando avanti per mancanza di mezzi, non porta con sé uno stigma. Al contrario, è proprio l’errore, il fallimento la chiave vera per il successo, secondo l’antico adagio per cui “sbagliando si impara”. E soprattutto, se si sbaglia vuol dire che si è rischiato.
Questo avviene nella Silicon Valley: dove il non riuscire e accantonare progetti sono medaglie sul petto. Addirittura, Google sceglie di premiare con soldi i suoi dipendenti che, alle prese con un’idea strampalata, decidono di rinunciare. È un modo per aiutarli a vincere l’attaccamento alle proprie convinzioni, anche sbagliate, e a far perdere meno tempo all’azienda inseguendo visioni senza fondamento.
In Svezia invece fanno di più: un museo. Apre a giugno a Helsingborg e metterà in mostra i relitti di invenzioni e innovazioni che non hanno preso piede. Dovevano fare il botto e, invece, sono cadute nel dimenticatoio. Il visitatore potrà vedere i Google Glass, una bottiglia di profumo Harley-Davidson, una di Coca-Cola BlāK, al sapore di caffè, le lasagne della Colgate, le penne Bic per ragazze, la macchinina per twittare che però non twittava.
In totale, il museo ospita 80 oggetti. Non tutti, almeno secondo il giudizio di LinkPop, possono essere considerati simbolo di fallimento. Ad esempio il povero Sony Betamax, una tecnologia sconfitta e soppiantata da altre, ma che ha avuto la forza di durare per 40 anni. Non proprio un flop. E lo stesso discorso vale per la fotocamera digitale della Kodak, creata nel 1975 e resistita fino alla fine del secolo.
Come sempre, anche la politica ci mette lo zampino. E tra i fallimenti esposti c’è anche il gioco da tavolo di Donald Trump ispirato al monopoli. Un vero fiasco, che realizzò la metà delle vendite attese. Per la cronaca, fu solo uno dei tanti fallimenti e semi-bancarotte che ha costellato la vita del magnate americano. Il fatto che poi sia diventato presidente degli Usa, però, conferma l’assunto iniziale: fallire aiuta.