Populismi biechi? Liberismi selvaggi? L’alternativa c’è e si chiama Pepe Mujica

L'ex presidente uruguaiano e il suo discorso utopico sono al centro del documentario "Fragil Equilibrio", di Guillermo Garcia Lopez, vincitore del premio Goya 2017 come miglior documentario e in concorso in questi giorni durante la 20esima edizione del festival torinese CinemAmbiente

Cos’ha in comune il terzo mondo popolato da decine di migranti subsahariani che, bloccati nei pressi di Melilla, in Marocco, passano le notti a costruirsi dei ramponi con le scarpe da tennis per superare le reti che li separano dal loro sogno europeo con il primo mondo rappresentato da una coppia di uomini di affari giapponesi che lavora di continuo e che si può permettere di comprare qualsiasi cosa gli passi davanti allo sguardo? E ancora, cosa hanno in comune questi due mondi lontanissimi, con il secondo mondo in cui sopravvive un uomo spagnolo di mezza età che dopo la morte della moglie ha perso tutto, persino la casa, e si ritrova a dormire per strada?

La risposta a questa domanda è il baricentro del documentario di Guillermo Garcia Lopez, vincitore del premio Goya 2017 come miglior documentario e in concorso in questi giorni durante la 20esima edizione del festival torinese CinemAmbiente (sarà presentato proprio questa sera, giovedì 1 giugno, alle 20.15 al cinema Massimo – sala 1 e, alla fine della proiezione, il regista Guillermo Garcìa Lòpez sarà a disposizione del pubblico), ed è anticipato già dal titolo: Fragil Equilibrio, che in italiano suonerebbe come “equilibrio precario”, o “equilibrio instabile”.

Uno dei corollari ai cinque postulati di Euclide, base della geometria che impariamo alle scuole elementari, dice che “Per tre punti non allineati nello spazio passa un solo piano”. Ed è quel piano che Garcia Lopez identifica raccontando tre parabole di vita decisamente non allineate — tra Primo, Secondo e Terzo mondo — e inserendoci gli spezzoni di una lunga e intensa intervista a uno dei politici più disallineati dell’ultimo secolo, ovvero Pepe Mujica, uno che nella vita è passato dal combattere con i Tupamaros, alla prigione, fino a diventare presidente dell’Uruguay.

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Alternando immagini di una forza e di una bellezza impressionanti — merito anche di uno stile documentario che non si limita alle interviste, ma che rappresenta il mondo che vuole descrivere con immagini di altissima qualità fotografica — con il discorso di Mujica, Garcia Lopez costruisce il miglior antidoto da inoculare nelle coscienze di noi europei per combattere sia il populismo delle Le Pen che il nuovo liberismo dei Macron. Quell’antidoto è recuperare il vero significato della democrazia, della partecipazione, della solidarietà umana, ma soprattutto tornare a mettere al centro la vita e il tempo.

L’unica cosa che non possiamo comprare, si rende conto a un certo punto uno dei due uomini d’affari giapponesi in crisi di identità, è il tempo. È l’unica ricchezza che abbiamo, dice Mujica, ma è anche l’unica cosa che non ci possiamo più ricomprare una volta speso. Eppure è proprio dalla riconquista del proprio tempo che passa la rivoluzione gentile e sussurrata di Mujica: riappropriarsi del proprio tempo è l’unico modo di agire con decisione sull’unica parte di mondo che possiamo sperare di cambiare, noi stessi.

Un vecchio proverbio centroamericano dice che il povero non è quello che non ha ricchezze, ma quello che non ha legami, che è solo, privato della comunità. Per questo, nel mondo greco che partorì la prima idea di democrazia l’idea di venire allontanato dalla società, ostracizzato o esiliato, era molto peggio che venire ucciso. Il vecchio guerrigliero Pepe Mujica con i suoi occhi piccoli e lucidi, come se fosse sempre in procinto di commuoversi, e con quei suo baffetti bianchi sottili, da sparviero, punta sempre lì: al tessuto sociale, alla comunità, ovvero a quella ricchezza incalcolabile che, negli ultimi quarant’anni, la società occidentale ha mandato alle ortiche preferendo la libertà del mercato a quella delle persone.

La mancanza di legami sta uccidendo la società umana, soprattutto quella occidentale, ormai atomizzata. C’è gente, Mujica in primis, che lo ripete inascoltato da decenni. Decenni nel corso dei quali ci siamo sempre più isolati, atomizzati, allontanati l’uno dall’altro. L’odio è cugino dell’amore, dice l’ex presidente uruguaiano. Dove quest’ultimo costruisce, il primo distrugge. E l’odio si porta dietro l’egoismo, malattia che in questi ultimi anni sta letteralmente facendo a pezzi a colpi di selfie tutti noi. Quello che si porta dietro l’amore invece è la solidarietà, la comunità, l’alleanza. Forse sarà un pensiero buonista, forse sarà una illusione che si può permettere soltanto un vecchietto che nella sua vita non ha avuto paura. Ma potrebbe anche essere quello che sembra, l’unica strada per uscire dalla palude in cui ci siamo infilati.

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