Divide et impera, separa e comanda. Con questo motto i romani crearono un impero rompendo le alleanze dei loro nemici per poi conquistarli uno a uno. Francia e Germania si preparano a fare lo stesso per rilanciare la loro leadership nell’Unione europea. L’obiettivo è disunire il blocco che da anni frena qualsiasi tentativo di riforma: il gruppo di Visegrad. Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia si sono opposte alla riforma di Dublino III, il regolamento europeo che dal 2013 obbliga gli Stati membri a trattenere tutti i migranti che sbarcano nei loro confini in attesa di esaminare le domande di protezione internazionale.
Il gruppo di Visegrad si è sempre opposto anche al programma di ricollocamento dei migranti promosso dalla Commissione europea a discapito di Italia e Grecia, mete principali degli sbarchi. Negli ultimi tre anni, prima con Matteo Renzi e ora con Paolo Gentiloni, l’Italia ha cercato diplomaticamente di risolvere la questione, senza riuscirci. Il nostro Paese non ha la forza per convincere da sola gli altri Stati membri a riformare la Convenzione di Dublino. Come sempre per realizzare i suoi obiettivi europei ha bisogno dell’appoggio dei due motori dell’Unione: Francia e Germania.
Sulla mappa politica si è delineata una nuova alleanza: non più Paesi del Nord contro quelli del Sud, ma i grandi Stati del Centro-Ovest contro quelli dell’Est. O se preferite, Paesi che vogliono riformare l’Unione e aumentare l’integrazione contro quelli che vogliono rimanga così com’è. La nuova “santa alleanza” che per ora vede insieme Germania, Francia, Spagna e Italia è nata durante il summit sull’immigrazione all’Eliseo del 28 agosto. Lì, i quattro grandi hanno promosso il modello Italia-Libia, il contestato accordo di Roma con 14 tribù libiche che pattugliano altrettante rotte dei migranti verso il nostro Paese, in cambio di aiuti economici.
Il superamento della convenzione di Dublino conviene sia ad Angela Merkel che a Emmanuel Macron. La cancelliera tedesca è pronta a vincere il 24 settembre la sue quarta elezione di fila dal 2005, e si sta preparando per un’ultima legislatura più europeista. Ancora più impaziente di diventare il salvatore dell’Europa ė il presidente francese. La scorsa settimana ha incontrato a Vienna i premier di Slovacchia e Cechia. Un messaggio politico chiro: disunire il gruppo di Visegrad, snobbare diplomaticamente Ungheria e Polonia, considerate ormai “cause perse” per via dei loro leader sovranisti ed euroscettici e offrire una sponda agli altri due membri di Visegrad impauriti dalla prospettiva di rimanere isolati.
Il premier slovacco Robert Fico dopo le elezioni dello scorso anno ha attenuato la sua politica anti migratoria, mentre la Cechia che andrà al voto a ottobre, ha chiesto di poter partecipare come osservatore esterno alle riunioni dell’Eurogruppo, l’organo che riunisce i ministri delle Finanze dei Paesi con l’euro, pur avendo ancora una moneta nazionale.
Sono due segnali che vanno in una direzione precisa: non perdere il treno a trazione Berlino-Parigi verso la nuova Europa. In cambio dell’appoggio, Macron vuole un accordo per riformare il regolamento Ue sui lavoratori distaccati, cioè i cittadini europei che lavorano in altri Stati dell’Unione. A oggi godono dello stesso salario minimo dei lavoratori locali, ma pagano meno i contributi sociali e previdenziali. Macron che punta tutto sulla riforma del lavoro, vuole gettare una carota all’opinione pubblica francese per far digerire il jobs act alla transalpina, visto che i sindacati già mugugnano e il gradimento di monsieur Le President è sceso di 12 punti percentuali.
Con il ritorno di Slovacchia e Cechia nel gruppo di Paesi riformisti, e la rottura del gruppo di Visegrad, Ungheria e Polonia rischiano di diventare la pecora nera dell’Unione europea. Due Paesi alla deriva populista e nazionalista sempre più distaccati dagli altri Stati Ue. Prova di questo scollamento è la richiesta ungherese di 400 milioni a Bruxelles per pagare metà del muro anti migranti eretto al confine con Croazia e Serbia. A spingere all’angolo la Polonia ci ha pensato invece mercoledì 30 agosto Angela Merkel quando a Berlino ha dichiarato che «non possiamo morderci la lingua e non dire niente per mantenere la pace» riferendosi alle leggi contro l’indipendenza dei giudici approvate da Diritto e Giustizia (PiS), il partito sovranista al governo in Polonia.
A nove mesi dal rinnovo delle istituzioni europee e a quasi un anno dalla fine del negoziato Brexit, l’isolamento di Polonia e Ungheria potrebbe portare a una nuova crisi europea. Ma è un prezzo che in molti sono disposti a pagare pur di non rimanere immobili.