Cronache murzianeL’esperto antiterrorismo: ”Prepariamoci a nuove modalità di attacco”

Leandro Abeille, docente delle forze di sicurezza: «Gli attacchi solitari non cesseranno e noi possiamo solo provare a cambiare prospettiva e modo di ragionare per prevenirli e contrastarli»

Camion, pick up e furgoni lanciati a folle velocità sulla folla inerme, accoltellamenti e spari su chi fugge. Il copione al quale i terroristi islamici ci hanno abituato potrebbe prevedere presto altre modalità di attacco, ancora più subdole, colpendo nelle grandi città italiane.

Ne è convinto Leandro Abeille, sociologo e docente certificato per la formazione antiterrorismo delle forze sussidiarie, che nei suoi corsi disegna possibili futuri scenari e spiega come affrontare la minaccia del terrorismo di matrice religiosa a chi potrebbe trovarsi in prima linea in caso di attacco, non necessariamente organizzato, ma semplicemente ad opera di qualche “lupo solitario”, come accaduto ieri a New York e, prima, in altre città europee.

“Molti credevano che con la disfatta dell’Isis il fenomeno si sarebbe arrestato”, dice, “ma l’invito al martirio combattendo gli americani e i loro alleati che i terroristi islamici continuano a mettere in opera è in una fatwa di Bin Laden del 1998, che riprende un versetto del Corano. Purtroppo gli attacchi solitari non cesseranno e noi possiamo solo provare a cambiare prospettiva e modo di ragionare per prevenirli e contrastarli”.

Cosa intende per cambiare prospettiva?
Faccio un esempio. Nei miei corsi, alla prima lezione, chiedo a tutti i partecipanti di presentarsi. Quando lo fanno, nessuno ritiene mai di dire a quale religione appartiene, se è cristiano o no. E in media il 50% degli stessi, alla mia domanda se sanno dirmi dove è nato Gesù Cristo, rispondono Gerusalemme o Nazareth. Noi occidentali ci rivolgiamo alla religione solo nei momenti di passaggio – battesimo, prima comunione, matrimonio – o chiediamo aiuto a Dio in momenti di bisogno. Per i musulmani tutta la loro vita, anche nel quotidiano, è improntata alla sottomissione a Dio. Il Corano non si interpreta, le sue indicazioni si seguono, anche, come dice la sura 33, versetto 57, nell’infliggere agli infedeli un “castigo avvilente”. Non pensiamo col nostro metro di giudizio: l’interpretazione del Corano è letterale, non allegorica.

Questa sua affermazione potrebbe essere tacciata di islamofobia…
Dico semplicemente le cose come stanno e chiarisco: quando parlo di musulmani non intendo mediorentiali, in una serie di attentati in Iraq otto kamikaze erano occidentali convertiti all’Islam.

Dietro gli attacchi solitari ritiene che ci sia la regia di una delle cosiddette centrali del terrore?
Le centrali del terrore come entità che diramano ordini non esistono. Guardiamo proprio all’attentato di New York: è stato l’attentatore a dichiararsi appartenente allo Stato islamico. Al limite gli attentatori trovano un rafforzamento della propria aspirazione alla jihad negli scritti che l’Isis pubblica anche sulla sua rivista, che tutti possono scaricare da internet nella versione in inglese.

Ha detto che nei suoi corsi spiega che la prima regola deve essere quella di ragionare con la testa del terrorista. Cosa intende?
Che bisogna ragionare in maniera differente rispetto a qualsiasi altro tipo di aggressore. Se mi trovo davanti un rapinatore e ingaggio un conflitto a fuoco, il rapinatore avrà due priorità: non essere colpito e tentare una via di fuga. E nella ipotesi che riesca a colpirmi, il suo interesse non sarà nel finirmi sparandomi un colpo di grazia. La paura di morire e la consapevolezza comunque di aver fatto un’azione sbagliata lo condurranno a questo comportamento. Un terrorista islamico non ha paura di morire, è votato al martirio e, soprattutto, è convinto di essere nel giusto. E’ quello che è successo a Parigi dopo l’attacco a Charlie Hebdo: chi non ricorda l’immagine del poliziotto giustiziato con un colpo alla testa quando ormai era ferito?.

All’inizio della nostra conversazione diceva di temere nuove modalità di attacco. Può dirci quali?
Sono scenari che ipotizziamo nei corsi, frutto anche delle mie missioni in teatri come la Palestina e l’Afghanistan per ragioni di servizio. La pratica dell’accoltellamento ai civili come modalità omicidiaria in un atto terroristico, per esempio, non è una novità. La usavano i palestinesi durante la prima Intifada. Non sto eludendo la domanda, cerco solo di non fornire spunti a un nemico che può annidarsi ovunque.

Lei ha curato una serie di dossier su Islam e terrorismo per la rivista “Polizia e democrazia”, quando ancora il terrore islamista era appannaggio di Al Quaeda e Bin Laden. Sono passati quasi dieci anni da allora. Cosa è cambiato?
Sostanzialmente Bin Laden combatteva una guerra contro i regnanti sauditi ed i loro alleati, colpevoli di cooperare con uno Stato “apostata”, da distruggere e sostituire. Ma, ripeto, il pensiero alla base è sempre lo stesso. Ad esempio il concetto di Califfato, di governo islamico, dell’importanza dei musulmani rispetto alle altre confessioni proviene da Taymiyya, il quale sosteneva che:“i musulmani devono tornare alle fonti originarie della fede islamica, Corano e hadith, per decidere da soli quali siano le migliori azioni da intraprendere per il bene dell’umma musulmana; il Jihad è preminente tra i doveri di un musulmano.

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