“Uomini e Donne” è un programma pomeridiano – per l’esattezza un “dating show” – inventato e condotto da Maria De Filippi, nel quale ci sono figure maschili corteggiate da donne e viceversa. Da poco più di un anno, la produttrice e conduttrice ha introdotto il “trono gay”, dove il gioco del corteggiamento avviene tra omosessuali. Per il 2018, il programma aveva previsto l’esordio del “trono lesbo”, dove a corteggiarsi avrebbero dovuto essere, appunto, donne lesbiche. A casting completato, le concorrenti non se la sono sentita di andare in video e il progetto è stato accantonato.
A Milano, come contraltare alle Sentinelle in piedi, il movimento di cattolici ultratradizionalisti, sono nati tre anni fa I Sentinelli. E’ un gruppo di attivisti che si batte per i diritti civili, molto attento alle tematiche lgbt, privilegiando l’arma dell’ironia (in occasione del recente referendum per l’autonomia della Lombardia, in mille si sono recati a votare alle loro “Secessionarie” in piazza Cordusio, dinanzi a un gigantesco pupazzo ribattezzato “Adinolfo”). Luca Paladini, uno dei fondatori, interpellato da linkiesta, dice: “Nel gruppo promotore c’è soltanto una coppia lesbica”.
In Toscana, a Torre del Lago Puccini, da quindici anni, si svolge Lesweek, una settimana di eventi dedicati alle lesbiche, dove viene eletta Lady Gaia. La manifestazione richiama donne omosessuali da tutta Italia. Fuori dal circuito LGBT sono in pochi, però, a conoscerla.
In moltissime città italiane esiste l’Arcilesbica (roccaforte Bologna, con circa duecento iscritte, mentre nelle altre città la media di attiviste è intorno alla cinquantina), che a dicembre terrà il suo congresso nazionale.
Nonostante tutto, dell’universo lesbico italiano, si conosce sempre molto poco. Al di là delle apparizioni in tv (o del coming out, spesso tardivo, di nomi famosi dello spettacolo), e dell’attivismo politico, esiste una zona grigia di donne che vivono la propria omosessualità continuando a tenerla nascosta. Timore del giudizio e paura di essere emarginate sul posto di lavoro sono le principali cause che portano l’Italia a non essere ancora un paese per lesbiche. Tanto che risulta perfino difficoltoso affrontare l’argomento con i numeri. L’ultima statistica disponibile sull’omosessualità in Italia, infatti, è quella dell’Istat e risale al 2011 (secondo l’Istituto centrale di statistica, in Italia in quell’anno si dichiaravano LGB circa un milione di persone, pari al 2,4% della popolazione residente). Tre anni dopo qualcuno ha cercato di aggiornare quei numeri utilizzando come fonte la targettizzazione che Facebook elabora per la propria utenza pubblicitaria . Ne ha ricavato che “a livello di genere, in termini assoluti gli uomini gay o bisex iscritti su Facebook sono il 6% in più delle donne lesbiche o bisex. In termini relativi, tuttavia, i primi sono il 3,54% degli uomini che dichiarano un orientamento sessuale, mentre le seconde sono il 4,72%”.
I social hanno favorito negli ultimi sei, sette anni un cambio di mentalità secondo Milena Cannavacciuolo, che nel 2011 partecipò al progetto del film documentario “Diversamente etero”, sulla condizione delle lesbiche in Italia, e che oggi dirige il sito lezpop.it, nato proprio in seguito a quella esperienza.
Dice la Cannavacciuolo: “Qualcosa è cambiato, proprio grazie a internet: sono cambiati sicuramente i modelli di riferimento, la ‘rivoluzione’ è partita dalle nuove generazioni. Resta ancora molto da lavorare sulla percezione comune, quella che porta l’uomo a ricondurre un rapporto lesbico quasi sempre al porno. Ma questa non è una questione legata all’orientamento sessuale, quanto piuttosto al ruolo dell’uomo nella società. Sono gli stereotipi a farci credere che la femminilità si possa esprimere in un unico modo. Per tanti anni le uniche lesbiche visibili sono state quelle con un determinato aspetto (sia nell’abbigliamento che nel modo di porsi), laddove il rifiuto di una certa femminilità stereotipata era un gesto anche politico”.
«Le lesbiche, statisticamente, dovrebbero essere di più degli uomini, visto che le donne sono in numero maggiore, ma sono rese invisibili anche da politiche sessiste, patriarcali e maschiliste. Se le donne, in generale contano poco e nulla, figuriamoci le lesbiche!»
Per Imma Battaglia, storica attivista del movimento LGBT in Italia, “la situazione è in linea con la disattenzione del paese sul tema delle donne; l’universo lesbico fa parte del pianeta femminile in generale e come tale assume tutte le caratteristiche di invisibilità che caratterizza tale parte dell’umanità; le donne sono più schive, riservate e intimidite dalla paura di esporsi, perdere il lavoro o perdere qualche opportunità, così le ricerche diventano più difficili, seppur esistenti in ambito di ricerche universitarie”.
La senatrice Monica Cirinnà, alla quale si deve la legge sulle unioni civili in Italia, sostiene che “forse bisogna fare di più per uscire da un pubblico ancora di nicchia e arrivare a una platea più popolare. Del mondo lesbico in Italia se ne sa poco perché non si fa abbastanza cultura sulle tematiche di genere e troppo spesso la formazione è delegata per la maggior parte dei casi alle associazioni LGBT. L’uguaglianza, la non discriminazione e l’integrazione sono valori che devono riguardare invece tutta la società”.
Sulla scelta del basso profilo, per la Battaglia, l’interpretazione è che “nelle già tante difficoltà che le donna hanno a trovare lavoro, vedere riconosciute le proprie professionalità e competenza, a vedere riconosciuto il proprio ruolo nella società in generale, figuriamoci le relazioni personali”. Per lei, ”studiare l’universo lesbico non può prescindere dall’analisi dell’universo femminile, perché è questo il contesto antropologico in cui ci si muove. In questo contesto le donne sono da sempre più riservate, meno esibizioniste, più impegnate a vivere l’amore come una sfera privata e personale meno politica”.
“Le lesbiche”, aggiunge, “individuano nella visibilità individuale l’ambito di lotta collettiva e lasciano alla sfera del privato l’amore di coppia. Le lesbiche, statisticamente, dovrebbero essere di più degli uomini, visto che le donne sono in numero maggiore, ma sono rese invisibili anche da politiche sessiste, patriarcali e maschiliste. Se le donne, in generale contano poco e nulla, figuriamoci le lesbiche!“.
Affermazioni condivise da Monica Cirinnà: “Non credo che le donne siano in numero inferiore rispetto agli uomini, né che tendano a mimetizzarsi più facilmente. Ogni persona è ciò che vuole essere, non ciò che appare agli altri. La percezione è dell’osservatore, non del protagonista. Varrebbe la pena sottoporre nuovamente un questionario per censire gli omosessuali in Italia e aggiornare i dati parziali del lontano 2011. Chissà che con la legge sulle unioni civili, molte persone non trovino il coraggio di dichiararsi anche pubblicamente”.
“Certamente in questo momento di grande rivoluzione culturale e sociale”, interviene ancora la Battaglia, “il rafforzarsi di una figura di donna indipendente, sicura, libera di amare chi vuole e libera di costruire la famiglia e la maternità indipendentemente dal maschio, rende ancora più fragile e insicuro l’universo maschile che sta reagendo sempre peggio a questi cambiamenti”.
“Forse quello che spaventa la nostra società”, incalza la senatrice Pd, “è la libertà sessuale e la consapevolezza delle persone gay e lesbiche del loro desiderio. Perché dovrebbe esserci una differenza tra uomini e donne omosessuali? L’unico scoglio da superare è solo e sempre il pregiudizio”. Resta il dato, incontrovertibile, che in Italia è più facile per un uomo dichiararsi gay che per una donna lesbica.
“Purtroppo ci sono poche figure pubbliche lesbiche per cui il processo di identificazione e di idolatria che accelera, sostiene e spinge fortemente il coming out non è stato così significativo come per gli uomini; i personaggi pubblici femminili che hanno fatto coming out e che sono riconosciuti nei ruoli che occupano sono sempre di meno rispetto a tutte le donne che, al contrario, ancora lo nascondono con tutte le conseguenze che ciò comporta sulla visibilità collettiva delle comunità lesbica”, chiosa Imma Battaglia. Le fa eco Monica Cirinnà: “In entrambi i casi si va contro delle aspettative sociali legate all’identità di genere alla quale si presume legato un orientamento eterosessuale. Non credo sia ‘facile’ dichiararsi in nessun caso. Ogni vita, ogni esperienza, ogni coming out hanno un percorso personale”.