I punti deboli del mercato del lavoro sono due: giovani e donne. Il che è paradossale, considerando che giovani e donne sono gli elementi più vitali e potenzialmente più preziosi per le imprese (e non solo). Purtroppo invece queste due “categorie” registrano regolarmente, sopratutto in Italia, punteggi statistici sconfortanti – tassi di occupazione troppo bassi, tassi di disoccupazione troppo alti. Perché?
Perché scontano decenni, se non secoli, di pregiudizi duri a morire. Che i giovani debbano fare “gavetta”, per dirne uno, e che la gavetta debba essere possibilmente anche un po’ vessatoria (leggi: stage gratuiti, lavori precari e malpagati), in modo da educare all’umiltà e alla gerarchia, in attesa che gli anni passino in modo da poter acquistare un posto dignitoso nel mondo del lavoro per via anagrafica. Che le donne starebbero meglio a casa, per dirne un altro – e se proprio devono lavorare, che farebbero meglio a farlo in posizioni subordinate, senza troppe pretese di carriera o retribuzione, e senza rompere le scatole o aspettarsi aiuti per conciliare figli e lavoro.
Ma no, non è più così! I tempi sono cambiati!, qualcuno potrebbe obiettare. Purtroppo questi sono ancora tempi, invece, in cui un esimio giornalista, già direttore di quotidiani, può scrivere (e veder pubblicato) un abominio come il seguente: «Le donne che pretendono di avere lo stesso stipendio degli uomini hanno una sola via di uscita: evitino di sposarsi e di diventare madri ad ogni costo, rifiutando i “suggerimenti” del cosiddetto orologio biologico che le convince a riprodursi». (Notoriamente, si sa, le donne si riproducono per partenogenesi, senza la collaborazione degli uomini; altrettanto notoriamente, la denatalità è un problema che non affligge le società avanzate, e che non rischia di generare insormontabili problemi sociali e previdenziali in capo a qualche decennio).
Dunque di valorizzazione sul lavoro bisogna ancora parlare, e molto, perché la strada è ancora evidentemente in salita. Per stimolare le imprese a comportarsi correttamente coi giovani la Repubblica degli Stagisti lavora ogni giorno da quasi un decennio, senza stancarsi di sottolineare quanto si tratti non di bontà di cuore ma di lungimiranza imprenditoriale: i giovani valorizzati da stage di qualità e assunti con buoni contratti e dignitose retribuzioni sono più produttivi, più felici al lavoro, più efficienti.
Sul fronte donne, per confutare i deliri di cui sopra (la paternità dello sproloquio anti-mamme lavoratrici è di Vittorio Feltri, per la cronaca), per fortuna da un paio d’anni esiste Maam: una piattaforma che insegna alle madri e ai padri a trasformare le esperienze di genitorialità in competenze utili anche in ufficio. Un’idea rivoluzionaria che ribalta il concetto caro a Feltri («è assurdo asserire che le signore guadagnano meno, semmai lavorano meno ed è normale che abbiano una busta paga più magra. Le prestazioni in fabbrica o in ufficio si retribuiscono in base alla qualità e alla quantità, come è giusto che sia. Non esiste soluzione per una parificazione degli emolumenti, e non è il caso di gridare allo scandalo se le mamme sono penalizzate rispetto ai papà. La natura non è democratica»).
Le donne che vanno in maternità, e i loro partner che vivono la paternità, imparano da questa esperienza. E se ben guidati possono rientrare al lavoro con più capacità di delegare e di gestire del tempo, per dire. Con più empatia verso colleghi e collaboratori. Con più fantasia nel problem solving. Più bravi ad ascoltare, a comunicare, a creare alleanze, a governare la complessità. Insomma, professionisti potenziati dall’esperienza di vita vissuta.
Le donne che vanno in maternità, e i loro partner che vivono la paternità, imparano da questa esperienza. E se ben guidati possono rientrare al lavoro con più capacità di delegare e di gestire del tempo, per dire. Con più empatia verso colleghi e collaboratori. Con più fantasia nel problem solving. Più bravi ad ascoltare, a comunicare, a creare alleanze, a governare la complessità. Insomma, professionisti potenziati dall’esperienza di vita vissuta: non a caso il principio base di Maam è proprio il “life-based learning”. Lungi dall’essere un peso per le aziende presso cui lavorano, le tanto spesso colpe volizzate e mobbizzate madri (che hanno sconsideratamente prestato orecchio al loro orologio biologico, ingrate!) dunque posseggono, il più delle volte senza saperlo, un formidabile potenziale di crescita professionale: basta rendersene conto, e dare ad esso la possibilità di sbocciare.
Curiosamente le due categorie penalizzate dal mercato del lavoro, i giovani e le donne, hanno molte cose in comune. Tra queste, le aziende capaci di dar loro attenzione e valore. Spesso accade cioè che un’azienda che si impegna ad adottare una policy virtuosa con i giovani, prevedendo per esempio buone condizioni di stage e procedure di recruiting trasparenti, sia incline ad avere una buona policy anche per quanto riguarda le donne – e nello specifico le mamme – in azienda.
Non si tratta di pura coincidenza. La lungimiranza in campo di Risorse umane non funziona quasi mai a compartimenti stagni. Se un’azienda si rende conto di cosa vuol dire investire in capitale umano, considerando i propri dipendenti come un asset strategico e non come un peso, è molto probabile che valorizzerà i giovani all’ingresso, offrendo buoni percorsi di formazione e di inserimento, formando i talenti e aiutandoli a sviluppare il proprio potenziale, e andando in una direzione diametralmente opposta rispetto a quelle che invece cercano di arraffare il più possibile, proponendo offerte al massimo ribasso e usando i giovani come Kleenex, via uno avanti l’altro, senza la minima intenzione di investire tempo, persone e risorse economiche per far crescere la professionalità del giovane.
Allo stesso modo, è molto probabile che gestirà bene quel normale accadimento nella vita delle persone che si chiama nascita di figli, anche se questo accadimento per le donne vuol dire uno stop di qualche mese alla presenza in ufficio. Un’azienda di questo tipo considera la vita professionale dei suoi (e delle sue) dipendenti come un continuum lungo anni, se non decenni: e cosa sono i pochi mesi del congedo maternità di fronte a un orizzonte temporale tanto lungo? Anzi – e qui entra in gioco Maam – è possibile che l’esperienza della genitorialità apporti nuova linfa vitale alle persone, permetta loro di svilupparsi, ampliare i propri orizzonti, tornare in ufficio ancor più carichi di esperienza e capacità.
Dunque, non dovrebbe sorprendere che di solito le aziende più attente ai giovani siano anche quelle più attente alle donne, e viceversa. Su questa base è nata qualche mese fa una speciale partnership tra Repubblica degli Stagisti e Maam, e vi sono già due aziende – BIP, la più grande società di consulenza di matrice italiana, e Danone Company, il colosso francese che comprende anche il marchio Mellin – che hanno acquistato Maam proprio sulla spinta propulsiva di questa partnership.
Perché i pregiudizi si smontano così, passo dopo passo, con azioni concrete e pubbliche, per dimostrare che sono sbagliati. Con buona pace del 75enne Feltri, il mondo per fortuna va avanti.