«Piuttosto che essere assolto per un aiuto giudicato irrilevante, mentre è stato determinante, preferirei essere condannato. Altro sarebbe essere assolto per incostituzionalità del reato». Marco Cappato, leader dell’Associazione Luca Coscioni, lo aveva scritto nero su bianco, dopo che la pm milanese Tiziana Siciliano a gennaio ha chiesto per lui l’assoluzione nel processo in cui è imputato per aver aiutato Fabiano Antoniani, conosciuto da tutti come dj Fabo, a raggiungere la Svizzera per ottenere l’eutanasia. Ora, il 14 febbraio, la Corte d’Assise di Milano si pronuncerà in «una sentenza che può avere una portata storica per la legislazione italiana», dice Cappato a Linkiesta. «Quello che c’è in gioco è il diritto del malato affetto da una patologia irreversibile e costretto a sofferenze insopportabili di poter morire a casa sua, in Italia». La tesi del pm per la richiesta di assoluzione è che il ruolo di Cappato non sarebbe stato rilevante per la morte del dj. Ma la risposta del Radicale è stata subito chiara: “Assolvetemi per il diritto di Fabo a morire o condannatemi”.
Dj Fabo, paraplegico e cieco dopo un incidente d’auto nel 2014, nel gennaio 2017 aveva chiesto aiuto a Cappato per raggiungere la Svizzera, dove un anno fa ha ottenuto l’eutanasia attraverso il suicidio assistito. Al ritorno in Italia, Cappato, sfidando la legge italiana, si è autodenunciato e successivamente è stato rinviato a giudizio (dopo aver chiesto il giudizio immediato). Imputato per “istigazione o aiuto al suicidio”, sulla base della articolo 580 del Codice Penale. Un reato che è punito, se il suicidio avviene come è stato, con la reclusione da cinque a dodici anni.
La Corte di Assise di Milano ha fissato per il 14 febbraio l’udienza in cui emetterà la sentenza. Oltre alla richiesta principale di assoluzione, sia il pm sia la difesa hanno proposto di aprire la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 davanti alla Consulta.
Gli esiti possibili sono diversi: la condanna di Cappato; l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, con il rinvio alla Consulta; o l’assoluzione – per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato. In questo secondo caso rappresenterebbe una sentenza storica, «che andrebbe a creare un precedente giurisprudenziale perché aprirebbe la strada all’assistenza medica a una morte volontaria senza sofferenze anche nel nostro Paese, senza bisogno di dover andare in Svizzera».
Cappato, quindi cosa dobbiamo aspettarci?
In caso di assoluzione, sarà importante vedere quali saranno le motivazioni. Questa sentenza può creare un precedente, la cui ampiezza dipenderà proprio dalle motivazioni. In caso di condanna, invece, si potrà avviare un percorso che ci porterà sicuramente davanti alla Corte europea di Strasburgo.
Quale esito preferirebbe?
La cosa più importante sarà l’affermazione dell’incostituzionalità dell’articolo 580 del Codice Penale, laddove non si fa distinzione tra le condizioni dei malati. Il rinvio alla Corte Costituzionale sarebbe importante perché una sentenza della Corte avrebbe valore legislativo. La decisione del giudice invece rappresenterebbe sì un precedente, ma un altro giudice potrebbe decidere di non applicare lo stesso principio. È quello che potrebbe accadere, ad esempio, nel processo sulla morte di Davide Trentini, in cui io e Mina Welby siamo stati rinviati a giudizio.
Cosa c’è in gioco?
Quello che c’è in gioco è il diritto del malato affetto da una patologia irreversibile e costretto a sofferenze insopportabili di poter morire a casa sua, in Italia. Su questo punto andremo avanti comunque, qualunque sia la sentenza in tribunale. Noi stiamo continuando ad aiutare le persone che si rivolgono a noi: abbiamo richieste quotidiane di informazioni per poter morire con dignità, e dopo la legge sul biotestamento c’è un flusso continuo di richieste per l’interruzione delle terapie.
A conti fatti, saranno ancora una volta i tribunali a stabilire le regole?
C’è una proposta di legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale che abbiamo depositato nel settembre 2013, che non è mai stata discussa in quattro anni e mezzo di legislatura! Le leggi di iniziativa popolare sono valide per due legislature, per cui stiamo già iniziando a chiedere ai candidati la disponibilità a portarla avanti. Stiamo raccogliendo diverse adesioni che renderemo pubbliche a breve. La speranza è che la sentenza del 14 febbraio possa recepire il diritto dichiarato nel testo della proposta di legge. L’obiettivo è modificare i divieti del codice penale, perché venga approvata finalmente una normativa sul fine vita.