Il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell’ex senatore di Gal, Antonio Caridi, recluso nel carcere di Rebibbia per oltre un anno e otto mesi, nel silenzio pressoché generale della politica e delle istituzioni. Una svolta che sferra un duro colpo all’inchiesta che vede coinvolto l’ex senatore, accusato di essere uno dei componenti del vertice della cupola politico-affaristico-mafiosa che dominerebbe la vita economica e sociale di Reggio Calabria. Un’inchiesta nata ben quindici anni fa, ma che ha portato alla richiesta di arresto ai danni di Caridi solo nell’estate del 2017, sulla base di esigenze cautelari misteriose, vista la distanza dai fatti. Fu il Senato, spinto dai voti del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico, ad autorizzare l’arresto.
Una privazione della libertà che ora sappiamo essere stata infondata. Nei mesi scorsi, il provvedimento di arresto era stato bocciato per ben due volte dalla Corte di Cassazione (fatto probabilmente mai avvenuto prima). Nella sentenza di annullamento dello scorso dicembre, la Cassazione non aveva soltanto stroncato le motivazioni sostenute per la carcerazione preventiva dalla procura di Reggio Calabria (allora guidata Federico Cafiero De Raho, oggi procuratore nazionale antimafia), ma aveva anche demolito nel merito gran parte delle accuse nei confronti del senatore, basate su prove insufficienti, tra cui dichiarazioni di pentiti di dubbia credibilità.
Un’inchiesta nata ben quindici anni fa, ma che ha portato alla richiesta di arresto ai danni di Caridi solo nell’estate del 2017, sulla base di esigenze cautelari misteriose, vista la distanza dai fatti. Fu il Senato, spinto dai voti del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico, ad autorizzare l’arresto
L’ipotesi secondo cui Caridi sarebbe stato a tempo indeterminato un esecutore del programma dell’associazione segreta guidata dall’avvocato Paolo Romeo – scrivono gli ermellini nella sentenza di annullamento con rinvio dell’arresto – «non trova nessun riscontro in atti sul piano della gravità indiziaria»: «Ad eccezione di una conversazione intercettata nel 2014, cioè dodici anni dopo, avente ad oggetto questioni relative alla costituzione della città metropolitana di Reggio Calabria, non è stato indicato nessun altro contatto tra Romeo e Caridi, nessuna intercettazione, telefonica o ambientale, da cui evincere un nesso, un collegamento fra la carriera politica di Caridi e la prospettata struttura segreta che avrebbe fatto capo a Romeo». «Si tratta di un dato del quale il tribunale non ha tenuto conto – si legge nella sentenza – non ha fornito nessuna spiegazione, nessuna ricostruzione alternativa in chiave accusatoria».
Il presupposto di tutta l’indagine, ovvero l’esistenza di una struttura mafiosa e segreta, capace di condizionare la vita pubblica della Calabria – proseguono i giudici di Cassazione – è stato considerato provato, seppur a livello indiziario, con una motivazione strutturalmente monca. Un vuoto riempito dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, «che tuttavia, non solo nulla dicono della struttura segreta, ma riferiscono solo di appoggi elettorali di cosche in cambio di assunzioni e di nomine in società partecipate».
La Cassazione aveva rilevato come l’ordinanza di custodia cautelare del giudice delle indagini preliminari era stata quasi interamente copiata (3.165 righe su 3.200) dalla richiesta stilata dalla procura
Come se non bastasse, già nella prima bocciatura dell’arresto, la Cassazione aveva rilevato come l’ordinanza di custodia cautelare del giudice delle indagini preliminari era stata quasi interamente copiata (3.165 righe su 3.200) dalla richiesta stilata dalla procura. Il 6 agosto 2017, il Senato accolse con 154 sì, 110 no e 12 astenuti la proposta di arresto contro Caridi, con un’improvvisa accelerazione dovuta alla contestata decisione dell’allora presidente d’Aula, Pietro Grasso, di invertire l’ordine del giorno e affrontare subito il voto.
L’allora senatore Pd Luigi Manconi fu tra i pochi del gruppo a sottrarsi alla privazione della libertà nei confronti del collega, sottolineando le «palesi carenze e gravi debolezze delle motivazioni addotte a sostegno della richiesta di arresto». Manconi evidenziò anche l’evidente fumus persecutionis della richiesta di arresto: «Se fossero state sussistenti le necessità cautelari per l’arresto del senatore Caridi, perché non sono state fatte valere quindici anni fa, quando – essendo stato informato di indagini nei suoi confronti per così gravi capi d’accusa – lo stesso Caridi avrebbe potuto inquinare le prove o sottrarsi alle indagini con la fuga? E allora perché il senatore Caridi dovrebbe inquinare oggi le prove che non ha inquinato negli ultimi quindici anni? E perché lo stesso Caridi dovrebbe sottrarsi al giudizio oggi, quando negli ultimi quindici anni è rimasto in Italia a svolgere la sua attività politica nonostante la minaccia di un procedimento penale per associazione a delinquere di stampo mafioso?».
Ora il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha fornito risposta a tutte queste domande: le motivazioni a sostegno dell’arresto di Caridi erano insussistenti, e un ex senatore, cioè un membro del Parlamento italiano, ha così trascorso un anno e otto mesi in carcere senza un perché.