Lo Strega cambia per non cambiare niente (e per i piccoli editori è sempre più dura)

L'obiettivo dichiarato della Fondazione Bellonci è facilitare l'accesso dei piccoli editori al Premio e, insieme, aumentare il potere degli Amici della Domenica, ma per ora l'effetto sembra esattamente l'opposto

Lo scorso 6 febbraio, il direttore della Fondazione Bellonci Stefano Petrocchi ha annunciato alcune sostanziali modifiche al regolamento del Premio Strega, il premio italiano letterario più importante e, contemporaneamente, il più foriero di polemiche. La prima: da quest’anno ognuno dei 400 Amici della Domenica potrà presentare la propria candidatura in maniera totalmente indipendente. La seconda: il comitato, dopo averle ricevute tutte entro il 31 marzo, non soltanto potrà scegliere come al solito i dodici candidati ufficiali, ma potrà anche scegliere a propria discrezione di aggiungere altri titoli.

Nelle speranze dichiarate dalla Fondazione, le modifiche attuate al regolamento dovrebbero facilitare l’accesso dei piccoli editori al Premio e, insieme, aumentare il potere degli Amici della Domenica, ovvero di coloro che hanno il diritto di proporre dei candidati, un gruppo composto da 400 tra giornalisti, scrittori, poeti, intellettuali, politici ed editori, tornando a far pesare il ruolo culturale del premio, piuttosto che quello commerciale, negli ultimi anni sempre più dominante.

Fino a qui, tutto bene, verrebbe da dire citando la frase ritornello che recita la voce narrante dell’Odio di Mathieu Kassovitz. Eppure, a dispetto degli obiettivi della riforma attuata dalla Fondazione, i risultati delle modifiche apportate potrebbero non essere esattamente in linea con la nobiltà delle istanze che ne hanno portato l’attuazione. Anzi, potrebbero addirittura avere i risultati opposti, dando sempre più potere al Comitato direttivo e mettendo in difficoltà le piccole e medie case editrici, il cui lavoro di selezione di uno solo dei propri titoli su cui concentrare le proprie scarse forze diplomatiche ed economiche, rischia di venire minato.

«Con il precedente regolamento e la necessaria presenza di due Amici della domenica per presentare un libro, il boccino delle presentazioni era nelle mani dell’editore», aveva dichiarato Petrocchi a febbraio in una intervista concessa al Libraio, lasciando intendere che il disarticolare la presentazione dei candidati dalla convergenza di due Amici avrebbe tolto potere alle case editrici, ridandolo ai giurati.

Negli ultimi anni il Premio Strega, tra allargamento della giuria degli Amici e modifiche dei regolamenti, sembra aver cambiato totalmente pelle, la realtà è diversa perché la democratizzazione resterà paradossalmente soltanto nella moltiplicazione inutile di fascette in libreria

A giudicare dall’elenco dei titoli fin qui candidati e che quando mancano ancora tre giorni alla scadenza sono già trenta — l’anno scorso erano state 27 — le cose sembrano apparire leggermente diverse. Se infatti l’anno scorso, tra le 27 proposte, solo 2 erano di titoli afferenti al gruppo Mondadori, ovvero alla più grande concentrazione editoriale italiana, mentre le altre 25 venivano dal cosiddetto mondo della piccola e media editoria — rispettivamente 12 erano di editori e gruppi di media grandezza e 13 delle piccole e micro case editrici — quest’anno addirittura 8 titoli vengono dalla galassia Mondadori, mentre alle medie e piccole sono rimasti 22 titoli.

È entrando nel dettaglio, però, che si capisce meglio la dimensione della fregatura per i piccoli e medi editori. Perché se a rappresentare la galassia Mondadori ci sono 8 titoli spalmati su 4 editori (Mondadori, Einaudi, Rizzoli e Frassinelli), tra quelli che dovrebbero rappresentare le medie e piccole di doppioni ce ne sono tanti: 3 titoli Bompiani, 3 Neri Pozza, addirittura 2 per Tunué, che di romanzi all’anno ne pubblica 4. Insomma, contando che per ogni libro partecipante a partire dalla seconda fase, quella della dozzina, la casa editrice è tenuta a fornire 450 copie gratuite — con un investimento economico di svariate migliaia di euro — la bibliodiversità delle proposte è soltanto apparente.

Di più, se fino alla scorsa edizione queste case editrici avevano l’opportunità strategica di puntare tutto su un titolo che sceglievano loro calcolando una valanga di fattori che con la letteratura c’entrano relativamente — il peso politico dell’autore, i contatti dello stesso con altri amici della domenica, etc — ora rischiano di dover puntare tutto su un cavallo che sanno di non poter portare in fondo e che, oltretutto, verrà deciso dal Comitato.

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», diceva Tancredi nel Gattopardo, uno dei più celebri libri vincitori del Premio Strega. E se è certamente vero che negli ultimi anni il Premio Strega, tra allargamento della giuria degli Amici e modifiche dei regolamenti, sembra aver cambiato totalmente pelle, la realtà è diversa perché la democratizzazione resterà paradossalmente soltanto nella moltiplicazione inutile di fascette in libreria con scritto “presentato al Premio Strega”, mentre in fondo, a giocarsi le migliaia di copie che la fascetta del vincitore promette di far vendere, rimane sempre la solita cricchetta.

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