Quattro scuole primarie in quattro città diverse, Reggio Emilia, Napoli, Palermo e Teramo. Millecinquecento genitori, 950 bambini. Con l’affiancamento dei comuni e del terzo settore. È questa la ricetta del progetto “Fa.Ce, Farsi comunità educanti”, promosso dalla “Fondazione Reggio Children – Centro Loris Malaguzzi”, insieme ad Amref, Enel Cuore Onlus e Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, contro la povertà educativa. L’obiettivo è riqualificare gli spazi scolastici e i servizi educativi delle aree scelte, ognuna con esigenze specifiche, attraverso la coprogettazione e la partecipazione degli adulti nella vita scolastica.
Il progetto, ammesso al bando “Prima infanzia”, è sostenuto dal Fondo di contrasto alla povertà educativa, nato da un accordo tra governo, forum del terzo settore e fondazioni bancarie con l’obiettivo di mettere a disposizione 120 milioni di euro l’anno per tre anni per per favorire l’educazione dei minori in difficoltà. Il fondo è gestito dall’impresa sociale “Con i bambini”. E a Reggio Emilia ha visto l’apporto finanziario della Fondazione Manodori, che ha promosso il progetto Fa.Ce sul territorio, con l’intento di far nascere una vera e propria “comunità educante”.
Ma si va oltre Reggio Emilia. Fa.Ce interviene infatti su quattro diversi territori, da Nord a Sud. Contesti differenti, caratterizzati da bisogni e risorse diverse. A Reggio Emilia il territorio coinvolto è la zona nord della città, in cui nel tempo si sono stabilite famiglie straniere di varie etnie, un’area che presenta forti sfide legate alla coesione sociale e all’intercultura. Teramo, invece, sta affrontando una fase delicata per gli effetti post sisma. Il territorio di Palermo individuato è quello della periferia sud, contraddistinto da situazioni di grave degrado sia ambientale, sia economico e socio-culturale. A Napoli si è scelto di agire nell’area di Ponticelli, caratterizzata da alta densità abitativa, assenza di servizi, diffuse forme di illegalità, alta disoccupazione giovanile e basso grado di scolarizzazione. Molti minori abbandonano la scuola, finendo nel tunnel della microdelinquenza.
Dopo aver svolto degli studi nelle quattro città sullo stato dell’arte dei servizi educativi della prima infanzia, il progetto prevede l’interazione con le famiglie per capire quali sono i bisogni educativi del territorio. Si raccolgono così le voci di chi vive la scuola, in modo da ipotizzare le possibili cause di un basso accesso ai servizi da parte delle famiglie e dei bambini. A chiusura del processo, tramite lo sviluppo di percorsi partecipativi che coinvolgono famiglie, scuole, istituzioni locali, servizi sociali, realtà e organizzazioni del terzo settore, si mettono in pratica nelle scuole le azioni pilota che tengono conto delle raccomandazioni raccolte durante il processo di ascolto.
Il progetto prevede l’interazione con le famiglie per capire quali sono i bisogni educativi del territorio. Si raccolgono così le voci di chi vive la scuola, in modo da ipotizzare le possibili cause di un basso accesso ai servizi da parte delle famiglie e dei bambini
Le famiglie avranno quindi l’opportunità di partecipare a incontri individuali con gli insegnanti, incontri di sezione, serate di preparazione e costruzione di materiali didattici, oltre che di approfondimento e intrattenimento. Insieme ai bambini, diventano i protagonisti delle generazione di una nuova comunità educativa. «Fare una scuola amabile, dove stiano bene bambini insegnanti e famiglie, è il nostro approdo. Dargli organizzazione, contenuti, funzioni, procedure, motivazioni e interessi è la strategia che mira a intensificare le relazioni tra i soggetti protagonisti», diceva Loris Malaguzzi, pedagogista e fondatore della filosofia educativa di Reggio Emilia.
Partendo dall’esperienza virtuosa della città emiliana, il progetto Fa.Ce ha in programma poi di realizzare anche incontri a livello nazionale nelle quattro città coinvolte nel percorso per lo scambio di buone pratiche ed esperienze. Una contaminazione positiva che ha l’obiettivo, come dice il nome stesso del progetto, di costituire “comunità educanti” che portino a una ridefinizione delle politiche educative nei territori coinvolti.
Un progetto di primaria importanza per combattere le disuguaglianze nell’accesso all’educazione. Nel nostro Paese, infatti, la dispersione scolastica – cioè la percentuale dei ragazzi che hanno abbandonato precocemente gli studi – nonostante sia calata al 13,8 per cento, resta ancora forte in alcuni territori. Secondo il report realizzato da “Con i bambini”, esiste in Italia una spaccatura Nord-Sud in termini di servizi per minori e giovani, e una minore copertura della domanda potenziale nelle aree montane. Con Sicilia, Campania e Sardegna sopra la media nazionale per quanto riguarda gli abbandoni scolastici.
La povertà educativa è come un circolo vizioso: vivere in una famiglia povera e in contesti privi di opportunità di sviluppo, per molti bambini significa avviarsi a un percorso di istruzione svantaggiato rispetto ai propri coetanei, con conseguenze che nel tempo possono diventare irreparabili, precludendo la possibilità di migliorare la loro condizione di partenza. La logica è questa: la povertà educativa alimenta la povertà economica e viceversa. La lotta alle diseguaglianze parte proprio dalle aule scolastiche. E le “comunità educanti” possono essere la soluzione.