Credo di essere nata con un livello medio di disordine, e credo anche di aver passato i primi anni di vita senza alcuna consapevolezza del mio livello di disordine. Non mi ero neppure fatta un’idea particolare su cosa fosse ordinato e su cosa non lo fosse, dunque ho campato piuttosto felicemente. Tutto è cambiato con le elementari: i giocattoli buttati alla rinfusa dentro grosse ceste con l’aiuto delle maestre dell’asilo scompaiono, e arriva una lunga serie di oggetti – matite penne gomme righelli – più o meno piccoli – quaderni diari libri astucci – che vanno a creare – zaino grembiule colletto fiocco – una specie di kit base per il disagio infantile. Infatti questa quantità enorme di cose va sistemata, va conservata e non perduta, va curata e non sporcata.
Sicuramente adesso le elementari sono più giocose e libere, ma negli anni ’90 dalle mie parti eravamo ancora fermi ad amabili maestre settantenni che avevano in lista tra le ultime novità di letteratura per l’infanzia il libro Cuore. Motivo per cui l’assenza di una penna a punta fine o di una matita con la mina dalla giusta durezza poteva crearti la fama di “disordinato”. Bastava una gomma mangiucchiata per passare da buon Garrone a Franti, non cattivo ma, insomma: un po’ problematico.
Da quel momento in poi mi sono trovata – io come molti altri di voi, naturalmente, ma spero tanto che voi siate più bravi di me a ignorare le voci esterne – subissata da un’infinità di regole per gestire la mia vita. Piccole, sensate, troppe regole: prepara lo zaino la sera e non la mattina, assonnata, per essere sicura ci sia tutto; quando torni da scuola appoggia per bene il grembiule sulla sedia così da non trovarlo spiegazzato il giorno dopo, studia le due paginette di sussidiario appena dopo mangiato e non procrastinare fino a fine pomeriggio, e via dicendo.
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