Cesena, dove lo scheletro contadino ha salvato la città dalla crisi

Il Grande Viaggio in Italia di Conad fa tappa a Cesena, dove a tenere in piedi la città non è il capitale finanziario ma quello sociale. Aldo Bonomi: «Qui non servono i dati del Pil, ma quelli del Bes, il Benessere equo e solidale dell’Istat»

«È stato lo scheletro contadino a salvare Cesena». Così Aldo Bonomi, dal palco del teatro Verdi, ha raccontato la resilienza della città romagnola. È il sociologo valtellinese l’animatore del Grande Viaggio in Italia di Conad, un percorso di incontro e di dialogo con i territori italiani organizzati dalla storica cooperativa di dettaglianti bolognese, a oggi il più grande e capillare attore della grande distribuzione organizzata italiana. Ed è a lui, che di tappa in tappa, tocca l’onere di raccontare vizi e virtù del Belpaese. Un racconto, questo, che a Cesena parte da un numero che, dice Bonomi, assomiglia a un «dato che non torna»: la città romagnola, infatti, si posiziona al terzultimo posto per reddito pro-capite in Emilia-Romagna, 5.550 euro annui in meno rispetto al reddito medio bolognese.

Non torna, il dato, perché a Cesena la crisi sembra essere davvero alle spalle – Cesena è la città che presenta il maggior numero di imprese resilienti, società capaci di recuperare e superare i livelli pre-crisi sia in termini di fatturato che di occupazione – nonostante la crisi della Cassa di Risparmio della città. E il contesto sociale sembra reggere, a dispetto di una condizione economica non certo migliore rispetto a quella delle province emiliane: «Questo territorio è un diesel, non una Maserati. Qui a tenere non è il capitale finanziario, ma il capitale sociale. Qui il capitale sociale regge anche dentro la crisi delle banche». Capitale sociale resiliente, spiega Bonomi, figlio di altri due numeri: il 20% degli addetti che operano in agricoltura, la percentuale più alta in regione; e il 40% degli addetti impiegati nel contesto della cooperazione e del mutualismo. Eccolo, insomma, lo scheletro contadino: «Qui non servono i dati del Pil – rincara la sua tesi Bonomi – ma quelli del Bes, dell’indicatore del benessere equo e sostenibile dell’Istat».

Benessere è la parola chiave per leggere la traiettoria di sviluppo cesenate, insomma. E non solo perché è qui che c’è la Wellness Valley di Technogym, vera e propria eccellenza del territorio, idea olivetttiana del suo fondatore Nerio Alessandri, che nel cuore della sua impresa ha voluto insediare il primo distretto internazionale di competenze nel benessere e nella qualità della vita delle persone partendo dalla valorizzazione del patrimonio umano, sociale, storico, artistico, naturale ed enogastronomico del territorio. Benessere, qui, vuol dire anche «tenersi assieme, per far tenere il sistema cooperativo, nella crisi della politica», come racconta sempre Bonomi citando le parole di uno dei dettaglianti che ha intervistato.

Questo territorio è un diesel, non una Maserati. Qui a tenere non è il capitale finanziario, ma il capitale sociale. Qui il capitale sociale regge anche dentro la crisi delle banche


Aldo Bonomi

O, per dirla con le parole di Monica Fantini, animatrice delle settimane del buon vivere di Forlì, dedicata alla riflessione sulle forme di convivenza e della qualità delle vita, manifestazione culturale di rilievo nazionale di un territorio sempre più riferimento sui temi del “benessere sostenibile” e dell’“economia della relazione”, «qui il competere si fa forte dell’etimologia della sua parola: fare assieme, per raggiungere un obiettivo».

Non c’è solo il wellness e l’agricoltura, nella terra del benessere. La riviera ha registrato un +15% di presenze, mentre c’è un +10,5% che interessa le città d’arte e un importante +4,5% di turismo che guarda all’Appennino. C’è un’importante realtà della ricerca medica in campo oncologico come l’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori di Meldola. E poi le medie imprese molla, come Amadori, grande player della filiera avicola con migliaia di addetti, che ha esteso la sua produzione di qualità unificando la filiera dalla terra fino alla trasformazione dell’alimento base in prodotto culinario. O la Orogel, 2.600 dipendenti, 360 milioni di euro di fatturato, leader nella catena del freddo alimentare di iperqualità, ma anche una realtà che ha realizzato a beneficio dei dipendenti strutture di social housing, servizi per il doposcuola, un set di intervento sulle emergenze sociosanitarie, la possibilità di accedere a forme creditizie di vantaggio. C’è il gruppo Trevi, tra i leader mondiali nell’ingegneria del sottosuolo, e pure un’importante cluster della moda. Brand quali Giuseppe Zanotti, Baldinini, entrambe con sede a San Mauro Pascoli, Campomaggi & Caterina Lucchi, con sede a San Carlo di Cesena, realtà imprenditoriali proiettate all’estero tutt’altro che secondarie nel delineare le prospettive di futuro economico dell’area.

Il rischio, semmai, è quello di un territorio che finisca per innamorarsi del proprio scheletro contadino, del proprio benessere sostenibile, delle proprie radici, col rischio di perdere di vista le fronde: «Le radici sono una bellissima cosa, ma ti inchiodano al territorio – racconta Luca Lorenzi, bancario, direttore generale di Bac, gruppo bancario sammarinese –. Ci vuole coraggio, per volare via. E, ve lo dico da bancario che spesso ha cercato sul territorio delle figure professionali per le banche in cui lavorava, far spostare un cesenate o un forlivese dal suo territorio è impossibile, o quasi». Ed è quel coraggio che serve oggi, passata la fase della resistenza, della tenuta e della resilienza, per consentire a Cesena e al suo territorio di passare alla fase della crescita e dello sviluppo diffuso. L’unica strada, questa, per mantenere il benessere e la coesione sociale, per tramandarlo alle generazioni future.

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