Il 2018 è l’anno dei dazi. Quelli annunciati e quelli effettivi, quasi sempre arbitrari e limitanti, spavento dei mercati mondiali e stendardo di politici rampanti le tariffe sul movimento delle merci da un paese all’altro sono diventati argomento comune anche fra chi, abituato al commercio online, pensava di aggirarsi in un limbo dorato. Se, da un lato, il rimpallo di tasse fra Stati Uniti e Cina su acciaio, alluminio, automobili, microchip, carne di maiale e tutta una serie di altri prodotti (per un conto complessivo che alcuni analisti calcolano intorno ai 60 miliardi di dollari qualora le “minacce” fossero rispettate in pieno) sembrano relegati alla sfera dell’economia geopolitica, dall’altro ogniqualvolta si compra un articolo sui marketplace online proveniente da una nazione extra-Ue lo scontrino si appesantisce. E spesso diventa difficile preventivare quanto, alla fine, il cliente digitale debba pagare.
Per farsi un’idea, si deve prima passare attraverso la nomenclatura doganale. Un’espressione dietro cui si nascondono due sigle: Taric e Tdc. La prima si riferisce alla Tariffa Integrata Comunitaria, uno strumento d’informazione che serve a tutti gli operatori interessati agli scambi commerciali internazionali per il calcolo dei dazi sui prodotti importati in Italia con specifiche direttive in base alla categoria merceologica del prodotto in questione. Insomma, un documento che contiene tutte le disposizioni, gli obblighi e la legislazione tariffaria utilizzata per identificare – da un punto di vista fiscale – tutti gli articoli introdotti nel mercato unico europeo (a cui va ad aggiungersi l’applicazione dell’Iva). Alla fine, per capire quanto sia l’importo da pagare si possono consultare le tariffe pubblicate sul sito dell’Agenzia delle Dogane o l’omologo database dell’Ue (denominato Itv, Informazioni Tariffarie Vincolanti).
La seconda nomenclatura, come detto, è la Tdc (Tariffa Doganale Comune). In sintesi, è una nomenclatura condivisa da tutti i membri dell’Ue che serve ad armonizzare le tariffe doganali dei singoli Paesi così da rendere inesigibile il dazio se uno Stato ha già sdoganato un bene. Detto altrimenti, la Tdc unifica i sistemi di classificazione e codificazione delle merci associando ad ognuna un codice identificativo.
Si capisce perché fino a poco tempo fa un colosso come Amazon fosse presente in Europa siti dedicati piuttosto che con una versione multilanguage del proprio sito originario Made in Usa
Fatta questa premessa burocratica, bisogna fare qualche conto. I dazi si pagano sull’importo totale dell’ordine comprendente il costo dell’articolo e le spese di spedizione. A questi costi si aggiunge la somma della Taric in base alla specifica categoria merceologica. Il totale viene poi sottoposto all’Iva che varia in percentuale sempre in base alla categoria merceologica. Non è finita qui: se la transazione avviene fra privati, le tasse si pagano solo per importi superiori ai 45 euro, mentre se la transizione avviene fra un privato e un commerciante la soglia si abbassa ai 22 euro. Superato questo limite, si applica l’Iva se il valore rientra nei 150 euro, mentre si aggiunge la Taric per importi superiori. Ulteriori spese, poi, vanno sotto la voce “diritti dello spedizioniere” e sono appannaggio di chi effettivamente realizza lo spostamento della merce (tipo Poste Italiane o corrieri privati).
Aggiungendo a burocrazie e calcoli il fatto che basti un piccolo errore per vedersi trattenere l’articolo acquisito alla dogana, si capisce perché fino a poco tempo fa un colosso come Amazon fosse presente in Europa siti dedicati piuttosto che con una versione multilanguage del proprio sito originario Made in Usa, rendendo possibile il commercio di prodotti americani grazie all’intermediazione di terze parti europee.
Da metà aprile, però, le cose sono cambiate: Amazon ha deciso di mettere direttamente a disposizione dei propri clienti il ventaglio completo di oltre 45 milioni di referenze in vendita sul proprio sito a stelle e strisce, garantendo peraltro la consegna entro cinque giorni attraverso il servizio Global Priority Shipping (disponibili solo per prodotti venduti e distribuiti da Amazon stessa). Un allargamento del proprio bacino di clienti che può basarsi su una logistica all’avanguardia. Ma che non riuscirà comunque a schivare l’occhio attento (e la calcolatrice sempre attiva) del doganiere.