«Quando pensiamo al sistema fiscale, così come quando pensiamo a un paio di occhiali, ci dovrebbe venire in mente che sia qualcosa di funzionale al benessere del genere umano. E invece no: ci sono cose che si mettono a vivere di vita propria e sono funzionali solo a se stesse». Luciano Quarta è avvocato amministrativista e tributarista con esperienza ultraventennale ed esperto di contenzioso tributario, nonché fondatore del CeSFI, il Centro Studi sulla Fiscalità Internazionale. Soprattutto, però, è uno che il fisco cerca di capirlo davvero, nelle sue distorsioni ontologiche, così come tra le pieghe delle sue infinite contraddizioni, per aiutare il consumatore in quello che definisce senza troppi eufemismi «un inferno fiscale». L’ha fatto, recentemente, con un libro intitolato “Difendersi dal fisco – Manuale di sopravvivenza ad uso e consumo del contribuente”, in edicola abbinato al quotidiano la Verità, che offre uno spaccato vivido del disastro fiscale italiano, ma che nel contempo offre al cittadino pagatore un po’ di armi per difendersi dallo «Stato di polizia fiscale» in cui vive: «Dal 730 al modello più oscuro – spiega Quarta a Linkiesta -, il fisco segue regole di struttura che col contribuente e col suo benessere non c’entrano nulla. E che, a loro volta, creano un piccolo universo chiuso in cui ogni tanto viene sparata una piccola circolare interpretativa che arriva quasi a superare le leggi, per importanza. Vive di vita propria, quindi, e viene usato, semplicemente, per risolvere le esigenze di cassa di questa entità astratta che chiamiamo Stato».
Non è una questione né astratta, né di poco conto. Perché se lo scopo è questo, gli effetti sono quelli che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente: «In materia di fisco – spiega ancora Quarta – il legislatore italiano ragiona per toppe. Metti lì una toppa, mettila di là per rispondere alle esigenze di brevissimo termine del Paese. C’è un bisogno di soldi? Inventiamoci un altra tassa. C’è una categoria che rompe le scatole? Inventiamoci uno sgravio. Un settore produttivo va a picco? Inventiamoci un bonus. Secondo voi, qual è la ragione per cui paghiamo ancora la guerra in Abissinia nella benzina?».
A problema si aggiunge problema: «Ci ritroviamo in una situazione ai limiti dell’assurdo – attacca Quarta -: non c’è Paese che ramazza più denaro dal privato al pubblico di quanto non lo faccia lo Stato italiano. Siamo nei primi sei in termini di gettito assoluto, tra i Paesi Ocse. Il problema, però, è che ci contendiamo il primato con realtà che hanno servizi che ci scordiamo. La Germania ha servizi di eccellenza: per avere una licenza a costruire ti basta un giorno, ad esempio. Il problema è che in rapporto al Pil raccoglie molto meno di noi». Ricapitoliamo: abbiamo un sistema molto complicato, con un gettito molto elevato, che finanzia servizi scadenti. Non male.
«Il legislatore italiano ragiona per toppe. Metti lì una toppa, mettila di là per rispondere alle esigenze di brevissimo termine del Paese. C’è un bisogno di soldi? Inventiamoci un altra tassa. C’è una categoria che rompe le scatole? Inventiamoci uno sgravio. Un settore produttivo va a picco? Inventiamoci un bonus. Secondo voi, qual è la ragione per cui paghiamo ancora la guerra in Abissinia nella benzina?»
Non dovrebbe stupire, al netto di ogni giudizio morale sul tema, che in Italia vi sia un’alta propensione a evadere le tasse: «Talvolta, per famiglie e piccole imprese è l’unico modo per far quadrare i conti», spiega Quarta. Tuttavia, se ciò accade, non è a causa delle maglie larghe dei controlli. Dipendente com’è dai soldi dei suoi cittadini, lo Stato italiano ha ormai introdotto una serie di controlli «che l’unico modo di evadere le tasse è non esistere per il fisco». Tanto più, continua Quarta, nel momento in cui sussiste il rischio di finire tra le maglie dell’ultimo girone dell’inferno, quello della giustizia tributaria «il cui quadro di incertezza normativa e la cui endemica lentezza complicano ulteriormente le cose».
Come sopravvivere, allora, se arriva una contestazione dell’amministrazione tributaria? Quarta offre un sostegno più psicologico che pratico, nel suo libro: «Se arriva una contestazione? Bisogna contare fino a 10 e delegare la questione a un collaboratore fidato, innanzitutto – spiega – Gestire lo stress psicologico di una situazione del genere è fondamentale. Soprattutto, però bisogna capire che anche quando sembra veramente brutta, non è detto che lo sia. L’amministrazione tributaria va spesso sotto: se si calcolano tutti i contenziosi, alla fine il cittadino ha ragione tre volte su quattro».
Cita, a mo’ di esempio, la sentenza 6443 emessa dalla Sezione 40 della Commissione tributaria provinciale di Milano e depositata il 22 luglio 2016, quella secondo cui la showgirl Belen Rodriguez è riuscita a documentare che, come libera professionista e imprenditrice di sé stessa, gli abiti e i mobili utilizzati per arredare casa sua vengono riconosciuti come «strumenti» professionali, e quindi soggetti a detrazione (cosa che le era stata contestata dall’Agenzia delle Entrate): «Il caso di Belen è la prova che di fronte al fisco cattivo ci lasciamo sopraffare senza lucidità», spiega Quarta. Che ha anche ricette per fare dell’inferno fiscale italiano un posto un po’ più sopportabile: «La fine di Equitalia non serve a nulla. Nemmeno le azioni di polizia anti-evasione tipo Cortina sono irrilevanti, niente più che boutade coreografiche. Così come lo sono proposte elettorali balzane come la flat tax: semplicemente, si passa da un esigenza di fare cassa a quella di fare voti. L’interesse dei cittadini non è mai nel radar di chi parla di fisco». Difficile dargli torto.