L’Italia agli italiani: quando anche il turismo torna “sovranista”

L'ultimo rapporto stilato da Federalberghi dice che 4 italiani su 5 quest'estate non usciranno dall'Italia, percentuali che non si vedevano da 20 anni. Ecco perché potrebbe essere l'ennesima spia di un problema serio: il sovranismo

ludovic MARIN / AFP

Che sia per il fattore sicurezza, visto che in Italia di attentati di matrice islamica non ne sono mai accaduti? O che sia per gli effetti della crisi sul portafoglio degli italiani, i cui risparmi si assottigliano sempre di più? Oppure, forse, è semplicemente l’effetto del clima politico, sempre più nazionalista e, come si dice ora, sovranista? Difficile dirlo, sta di fatto che, per la prima volta dai lontani anni Novanta, la percentuale di italiani che prediligono la madre patria e il turismo tricolore per le loro vacanze estive è tornata al di sopra dell’80 per cento. 4 italiani su 5, insomma, preferiscono aiutarsi a casa propria e fare le proprie vacanze tornando ai luoghi natii, un po’ come i salmoni.

L’ultima volta che si era sfiorata una percentuale del genere era stato nel 1998, quando la percentuale degli italiani che passarono le vacanze in Italia si era attestata però al 79,2, con gli “internazionalisti” a superare il 20 per cento, proseguendo una tendenza che, nel giro di poco più di una decina di anni, dagli Ottanta ai Novanta, aveva portato per la prima volta il turismo italiano di massa a guardare seriamente all’estero, con aumenti da tripla cifra.

A guardare infatti la serie di dati storici dell’Istat, che parte da misurazioni del 1965 per arrivare fino agli ultimi anni, emerge abbastanza nitida una tendenza: gli italiani, dopo un ventennio a cavallo tra i Novanta e questi anni Dieci in cui si stavano imborghesendo e puntavano più decisamente all’estero, non solo tra le classi abbienti, in questi ultimi due anni stanno tornando alle abitudini di una volta: fare le vacanze in Italia.

D’altronde, l’ha ribadito anche il presidente degli albergatori italiani Bernabò Bocca proprio commentando gli ultimi dati pubblicati da Federalberghi su La Stampa. Gli italiani sono «un popolo che ama viaggiare nel proprio Paese. La nostra indagine rivela che è aumentato il numero dei connazionali che faranno la loro vacanza principale in Italia: l’80,2% resterà nel Belpaese contro il 78,6% dello scorso anno». Insomma, dopo vent’anni in cui le mete internazionali stavano insidiando le vecchie e care abitudini degli italiani, — probabilmente grazie alla spinta dei giovani, delle mete turistiche superpop come il Mar Rosso, le Baleari o le Cicladi e dei voli low cost — ora la tendenza si è invertita.

«Gli italiani sono un popolo che ama viaggiare nel proprio Paese. La nostra indagine rivela che è aumentato il numero dei connazionali che faranno la loro vacanza principale in Italia: l’80,2% resterà nel Belpaese contro il 78,6% dello scorso anno»


Bernabò Bocca

Che gli italiani siano un popolo turisticamente nazionalista è una verità assodata anche storicamente. Non è un caso che il turismo di massa, per gli italiani, sia formalmente iniziato durante il Ventennio fascista, quando Mussolini spinse sul turismo come una leva economica nazionale e promosse la costruzione di colonie estive per i figli delle classi meno abbienti. Una tendenza che venne cavalcata anche nei successivi due decenni, in pieno boom economico, quando gli italiani, che comunque di soldi in tasca non ne avevano poi molti, preferivano comprarsi l’utilitaria e andare al mare in 500, con le auto incolonnate ai caselli piene zeppe di borse, valige, stuoini, ombrelloni, piuttosto che avventurarsi in aereo verso terre foreste alla mercé di lingue sconosciute.

Fu solo negli anni Ottanta che le cose cambiarono: la classe media si era ormai imborghesita e, come tutte le classi medie in affermazione, aveva bisogno di distinguersi dalle classi inferiori, ammiccando a quelle superiori e sperando di continuare l’ascesa sociale. E così fu: un tripudio di viaggi all’estero, sia per le famiglie piccolo borghesi, che scoprirono le capitali europee in primis, sia per i loro figli piccoli, impacchettati e spediti per mezza estate a fare viaggi studio per imparare qualche lingua straniera, sia per tutti i giovani che avevano vissuto in pieno gli anni Settanta, per i quali andare al mare in Italia era come vedere il festival di Sanremo, una roba da sfigati, meglio le isolette sperdute della Grecia o, ancora meglio, l’estremo Oriente, economico e esotico al punto giusto.

E così, se dal 1985 al 2014 la percentuale di italiani con la passione dell’estero è passata da un timido 10 per cento a un più gagliardo 28, negli ultimi tre anni quella stessa percentuale è tornata a crollare, perdendo 8 punti in tre stagioni estive. È un buon segno? Al di là di cosa ne pensi Salvini, che dopo essere stato dichiarato “non gradito” dalle spiagge di Mallorca, aveva incitato gli italiani a starsene a casa e godersi il mare nostrano, la flessione di questi dati dà parecchio da pensare.

Ci fa pensare che stiamo tornando indietro, che stiamo smettendo di somigliare alla generazione Erasmus, quella che ormai ha 40 anni e che negli ultimi vent’anni ha avuto l’Europa come casa e l’Italia al limite come nostalgia privata, e stiamo tornando a somigliare a quella dei nostri nonni, che l’estero l’avevano visto soltanto con un fucile in mano durante la guerra. Restringere i confini è sempre pericoloso, sia quando lo facciamo verso l’esterno, impedendo ad altri di venire in Italia, sia quando lo facciamo verso l’interno, smettendo di viaggiare per il mondo e richiudendoci in noi stessi. E questa chiusura, che sia a causa della crisi economica o dell’ondata autarchico-sovranista, è in ogni caso una pessima notizia.

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