«Vorrei che sull’Aquarius morisse un bambino»: la difesa di Edoardo Albinati dopo la sua frase choc

L'autore, che ha scioccato l'opinione pubblica affermando: «Ho desiderato che su quella nave morisse qualcuno, morisse un bambino», cerca di spiegare nel suo libro le ragioni di quel pensiero infame

Nella notte tra il 9 e il 10 giugno scorso, la nave Ong Aquarius recuperò in mare, a 35 miglia dalle coste italiane, 630 persone tra cui 140 minori e 7 donne incinte. E Salvini ne impedì l’attracco, chiudendo tutti i porti italiani. Il tutto condito con un linguaggio del tipo: I porti? Non li vedranno manco in cartolina. Sulla nave Aquarius? I migranti stanno in crociera, sbarcheranno da qualche parte, qui mai più. Mancava aggiungesse che il mare, poi, è così bello, così dolce, e lo si può gustare per giorni e giorni, anzi per interi secoli, guardando pure le stelle.

Il 12 giugno, Edoardo Albinati, mentre presentava a Milano il suo reportage “Otto giorni in Niger”, scritto a quattro mani con Francesca D’Aloja, a un certo punto sbotta: «Sapete, sono arrivato a desiderare che morisse qualcuno, su quella nave. Ho desiderato che morisse un bambino sull’Aquarius». Era una folle fantasia, quella di Albinati, una fantasia confessata pubblicamente, uno di quei pensieri vaganti, stravaganti e folli per la nostra testa e il nostro furore, pensieri che si cuciono e si scuciono da soli. Quante volte uno dice tra sé: se morisse quell’imbecille, se morisse quello stupido. Ecco in questo caso lui si è detto: se morisse un innocente, la sua morte illuminerebbe la scena e il misfatto che si sta consumando, diverrà chiaro a tutti. Le conseguenze di questa politica fuori di testa, scellerata, sarebbero ben visibili.

In un attimo si sono spalancate le porte dell’inferno, la demonica frase si è diffusa rapidamente e Albinati è diventato il bersaglio di una rabbia violenta; come se lui, lo scrittore, pur di dare addosso a Salvini volesse sul serio la morte di un bambino. Quando, è piuttosto, decisamente, la politica di Salvini, fatta ai danni di persone inermi, a lasciare aperta la possibilità che qualcuno potesse su quella nave morire. Il folle Albinati che tutto contento guarda il mare e i bambini che spariscono nei più infernali abissi, invece non esiste. Albinati non vuole la morte reale di nessuno, e in questi giorni replica con il libro “Cronistoria di un pensiero infame” (Baldini e Castoldi) in uscita oggi 13 settembre.

Il 12 giugno, Edoardo Albinati, mentre presentava a Milano il suo reportage “Otto giorni in Niger”, scritto a quattro mani con Francesca D’Aloja, a un certo punto sbotta: «Sapete, sono arrivato a desiderare che morisse qualcuno, su quella nave. Ho desiderato che morisse un bambino sull’Aquarius»

Devo ammettere che nei giorni dell’Aquarius avevo anch’io delle fantasie, immaginavo le ipotetiche ragazze della nave, mentre prendevano a schiaffi il loro fustigatore per avere tentato di rovinare loro la vita: per me Salvini era il loro diavolo, sì, proprio così. Nonostante la loro sofferenza, mi dicevo, che le avrà sconvolte e piegate per anni e anni, quelle ragazze desiderano a ogni istante di uscirne. Ragazze, donne che ancora giustamente puntano a un qualcosa di luminoso, pur provenendo dalle tenebre, e tentano di cancellare l’oscurità che le ricopre. E Salvini, manco fosse il loro persecutore, pronto lì a ostacolarle in ogni modo. Come in una scena di un film, vedevo le ragazze intente a punirlo, a fargliela pagare, a prenderlo a calci e a insultarlo, e alla fine del piccolo supplizio, fantasticavo, cesserà di nuocere. In verità in quei lunghi otto giorni dell’Aquarius, con la formuletta “prima l’Italia e gli italiani,” “la difesa dei confini nazionali”, Salvini aveva messo sul serio a repentaglio la vita dei migranti. È evidente che se un macello fosse realmente successo, se ci fosse scappato il morto, ci dice l’autore, Salvini non si sarebbe fermato. Avrebbe scaricato la colpa sull’Europa, dicendo che l’Italia ha sempre accolto i migranti, e che questa politica ha fallito. L’Europa è rimasta sorda e insensibile, non ha mai elaborato una politica comune sull’immigrazione e non c’era altro modo per farsi ascoltare.

Ebbene, se l’obiettivo – si chiede l’autore – di questi cinici atti di forza fosse di obbligare gli altri Paesi europei a farsi carico di una parte di migranti, perché allearsi con quei governi che di migranti non ne vogliono?

In realtà Albinati conosce il gioco di Salvini e ne anticipa le mosse: il fine di tutte le sue azioni violente è solo quello di scoraggiare i migranti. Il messaggio è “cari migranti scordatevi l’Italia, scordatevi soccorso e accoglienza. Ficcatevi dentro quella testolina che da noi non riceverete nulla.” Non vi è più alcuna differenza tra una condotta criminale e “una presa di posizione politica,” se quest’ultima mette a rischio la vita di qualcuno.

“Pensare non è nient’altro che desiderare” insiste lo scrittore. Certo, si pensa sul serio quando si desidera qualcosa di meglio e di più umano del reale. Molto interessante che, l’ottimo Albinati, all’incipit, a metà e alla fine di questo scritto, tenga saldamente le briglia rendendo il testo così efficace e agguerrito, pur non intendendo colpire. Le prime sue parole suonano: “Non voglio difendermi. Non sono difendibile.” “Quello che ho pensato è indifendibile…”. “Non voglio…”. “Non sono..”. Ecco non si difende, ne attacca, parla, andando oltre ogni logica di potere.

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