«Eviteremo che i cittadini possano spendere il reddito di cittadinanza in spese immorali» con questa frase, Luigi Di Maio sancisce definitivamente il trionfo dell’illogico come criterio di formulazione delle politiche pubbliche del nostro Paese.
Il Ministro del Lavoro si riferisce infatti, alle spese che sarebbero consentite ai beneficiari del Reddito di Cittadinanza. Non più un “assegno”, come ha sempre teorizzato il Movimento, ma una carta che permetta di acquistare beni “non immorali” da negozi italiani e su suolo italiano.
Per una volta eviteremo di ribadire da dove provengono, generalmente, questo tipo di proposte (a titolo esemplificativo ma non esaustivo: Venezuela, Cuba, ventennio fascista ecc..), ma proveremo a soffermarci sulla definizione che ha dato Di Maio: quella di prodotto “immorale”.
Il nostro vocabolario descrive come “immorale” qualcosa che sia “contrario alle norme morali”, e invece come “morale”, qualcosa che non offende, in un dato contesto storico o sociale.
Luigi Di Maio, nella sua dichiarazione non ha evocato esempi pratici di prodotti immorali, se non quello dei gratta e vinci (che, tra l’altro, sono gestiti dallo Stato), mentre la collega, Laura Castelli, aveva azzardato un riferimento ai prodotti tecnologici: “se compreranno da Unieuro manderemo la finanza”.
Ora, potremmo investire ore a raccontare quanto possa essere poco efficace sussidiare chi non lavora, e tassare chi lavora, ed aumentare la spesa pubblica invece che ridurre la tassazione per favorire lo sviluppo, ma più interessante diventa soffermarsi sull’aggettivo, perchè ciò che ha detto Di Maio è esemplificativo della presunzione di questa classe politica.
Forse ciò che è utile, ciò che è indispensabile, o magari ciò che è sano? Forse Di Maio ha ricevuto in dono la Guicciardiana capacità di discernere. Ma evidentemente noi, noi non l’abbiamo caro Di Maio, e quindi è giusto che sia lo Stato a decidere. Perchè noi proprio non penseremmo mai siamo in grado di capire se sia “immorale” un televisore, un gelato o un gioiello
Proviamo a fare questa riflessione: se un prodotto è immorale, è immorale sempre, che sia acquistato con soldi pubblici o con soldi privati. Di Maio, non ha infatti specificato che si trattasse dell’azione diacquisto,sostenuta da soldi pubblici, ad essere immorale, ma proprio una qualifica del prodotto.
È difficile comprendere, allora, cosa sia o meno morale. Forse ciò che è utile, ciò che è indispensabile, o magari ciò che è sano? Forse Di Maio ha ricevuto in dono la Guicciardiana capacità di discernere. Ma evidentemente noi, noi non l’abbiamo caro Di Maio, e quindi è giusto che sia lo Stato a decidere.
Perchè noi proprio non penseremmo mai siamo in grado di capire se sia “immorale” un televisore, un gelato o un gioiello. Non sappiamo neanche se svolga un lavoro immorale chi produce o vende il gelato, il televisore o il gioiello. Anzi, forse, ora che Di Maio ci fa riflettere, queste persone potrebbero essere meno titolate ad vedersi riconosciuti diritti, rispetto a chi coltiva pomodori o alleva galline. E di sicuro sarà considerato immorale un operaio che costruisce le Maserati. Ma non finisce qui: sembra che i prodotti morali producano anche un miracoloso effetto sull’economia, ha infatti ribadito il ministro che: “questo provvedimento porterà dieci miliardi di euro di consumi in negozi italiani, su territorio italiano”.Dietro a questa dichiarazione, magari imprecisa, magari affrettata, si nasconde tutta l’arroganza di uno Stato che sembra essere l’unico detentore del giudizio morale, l’unico soggetto al di sopra e oltre l’individuo, o il mercato.
Forse, Di Maio, avrebbe potuto dire, che il Governo avrebbe impedito “l’uso immorale del Reddito di Cittadinanza”, specificando che si tratta di uno strumento che, evidentemente, ha lo scopo di salvare la vita a chi muore di fame
Forse, Di Maio, avrebbe potuto dire, che il Governo avrebbe impedito “l’uso immorale del Reddito di Cittadinanza”, specificando che si tratta di uno strumento che, evidentemente, ha lo scopo di salvare la vita a chi muore di fame.
Delle due l’una, o il Reddito di Cittadinanza è uno “stipendio” pagato dallo Stato, come ha sempre teorizzato il M5S, oppure si tratta di un contributo – simile a quello utilizzato negli Stati Uniti, come i food stamps – destinato a fasce poverissime di popolazione che, altrimenti, non riuscirebbero neanche a mangiare.È probabile che, in questa fase, Di Maio si sia dimostrato confuso tanto quanto i cittadini che dovranno pagare questa manovra. Non solo, a pagarne le conseguenze economiche saranno, come sempre, i più giovani: cittadini che non hanno neanche potuto votare e che si ritroveranno ad affrontare le conseguenze di questo provvedimento, che porterà lo Stato a produrre debito, a favorire il rischio di inflazione ed a scoraggiare gli investimenti. Una cosa è certa, caro Di Maio, ciò che è più immorale, in questo momento, sembra essere proprio il Reddito di Cittadinanza.