Tra la Coppa di maiale e Amazon. Tra l’agroalimentare e la logistica. È qui che nascono le “identità multiple” di Piacenza, città di confine e di flussi, “terra di passo” dove ha appena fatto tappa il Grande Viaggio Insieme di Conad. Qui, dove la ripresa economica è stata più lenta del resto dell’Emilia Romagna, l’uscita dal tunnel si intravede eccome. Ed è fatta di tre “C”, spiega Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster che ha condotto un’indagine sul territorio per conto di Conad: «Le tre “C” sono Coppa piacentina, Cooperative e Competizione».
Questo snodo strategico, luogo di contaminazioni economiche e sociali al confine tra Emilia e Lombardia, è terreno di incrocio di tre specialità: agroindustria, manifattura e servizi. A Piacenza si trova la grande industria manifatturiera e meccanica, che ha sempre lavorato nonostante la crisi. Ma la città è soprattutto la patria della logistica. Nel settore trova lavoro il 15% degli occupati; qui hanno sede i centri per la movimentazione merci di grandi player internazionali come Amazon e Ikea. Un ponte naturale tra Nord e Sud, che non a caso conta sul proprio territorio ben sette caselli autostradali. Ma accanto allo spostamento delle merci, sempre alla ricerca di nuove forme di innovazione tecnologica, vive la tradizione agroalimentare, anche questa nel pieno del cambiamento. Il piacentino è il terra di Grana Padano e di tre salumi tipici a marchio dop come la Coppa, la Pancetta e il Salame. Non solo: la provincia annovera 21 vini doc, tra Gutturnio e Ortrugo, ancora poco conosciuti rispetto alle bottiglie delle colline vicine.
“Identità multiple”, che si rispecchiano anche in un tessuto sociale che da tempo si è aperto alla presenza degli immigrati, che qui si sono ben integrati. Con il 18% di presenza straniera, tra i grandi comuni della Regione Piacenza è quello con la più alta incidenza di immigrazione. Al terzo posto in Italia. Un crocevia non solo geografico, quindi, ma anche economico e sociale. «Piacenza è caratterizzata dalla capacità di saper accogliere», ha detto monsignor Gianni Ambrosio, vescovo della diocesi Piacenza-Bobbio. «Certo è che davanti a un grande cambiamento è più facile rendersi conto di quanto si sta perdendo che non di quanto sta nascendo».
Qui ci sono tante isole, tante eccellenze, ma non si vede l’arcipelago. Servono i collegamenti tra le varie isole, tra la Coppa e Amazon
Come tenere insieme le “identità multiple” della città davanti ai grandi cambiamenti in corso? «Bisogna trasformare i cambiamenti in valori condivisi. Questo è un territorio denso di opportunità», spiega Bonomi. «Si avverte come un “disagio” da opportunità. Come se ne esce? Ritrovando la propria identità di città media, allargandosi alla nuova composizione sociale e ridisegnando lo spazio intorno a sé».
Pur avendo forti legami con Milano, Piacenza resta una città fieramente emiliana. Con Parma e Reggio Emilia, si è appena conquistata il ruolo di Capitale della Cultura 2020. Un territorio in cui città e campagna, pianura e collina, valli e fiumi dialogano di continuo. Le colline piacentine sono luogo ideale del buon vivere, dove tanti milanesi si trasferiscono per fine settimana tra relax e buon cibo. Le valli del Trebbia, dell’Arda, del Tidone e del Nure diventano terre di ristoro nei mesi estivi.
Il problema, ha commentato il giornalista e scrittore piacentino Giangiacomo Schiavi, è che «Piacenza non è fotogenica. Oggi la città deve ritrovare e ridefinire il proprio carattere, costruendo una nuova identità di squadra». Lo conferma anche Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad. «Piacenza è un quadro futurista», ha spiegato. «Ma per rivendere questa città bisogna continuare a rappresentarla come facevano i Macchiaioli. Perché qui ci sono tante isole, tante eccellenze, ma non si vede l’arcipelago. Servono i collegamenti tra le varie isole, tra la Coppa e Amazon».