Italia gialloverdeIeri populista, oggi moderato: Matteo Salvini sta facendo impazzire il Movimento Cinque Stelle

Gli alleati di governo non riescono a stare dietro alle capriole del leader leghista. Molto più abile e veloce a capire dove va il consenso, li costringe costantemente a rincorrerlo. Ieri sulla guerra all’Europa, oggi nel dialogo con gli imprenditori

«Non dà punti di riferimento. Prima attacca, poi si difende, adesso fornaleggia….». Forse non si fidano più dell’alleato di governo che ogni giorno li spiazza. O forse, come mormora un grillino navigato in un Transatlantico praticamente deserto, «non ci siamo mai fidati e governiamo con lui per senso di responsabilità». Lui, va da sé, è Matteo Salvini, alias il Capitano, leader massimo della Lega senza più la parola nord che riempie le piazze, vola nei sondaggi sfiorando il 34% e che ogni giorno di più confonde le acque agitate della galassia pentastellata. Si fa concavo e convesso alla maniera di Silvio Berlusconi che si è sempre vantato di questa sua qualità. E così l’ennesima giravolta di Matteo Salvini, l’ultimo colpo che sconquassa la galassia del movimento, ha il sapore di un cambio di passo che potrebbe lasciare il segno.

Il leader del Carroccio, forse più per tattica che per convinzione, mette da parte le ruspe e il lessico da sceriffo, ad esempio il suo must “la pacchia è finita”, e indossa l’abito del moderatore, del dialogante, dell’aperturista nei confronti dei corpi intermedi. Prima tappa: sabato, in un piazza del Popolo che non si vedeva da anni, un Salvini di rito ecumenico si trasforma in un leader che parla «di amore e speranza» perché «la vita è troppo breve per perdere tempo in odio e polemiche». Cambia paradigma il leader del Carroccio: cita Martin Luther King, Alcide De Gasperi e Giovanni Paolo II. Un retroterra culturale che storicamente non appartiene a via Bellerio.

Oggi quando Salvini volerà in Israele il vicepremier Di Maio proverà a mettere una pezza incontrando 30 sigle dell’imprenditoria. Una risposta in ritardo al centralismo salviniano che non sarà sufficiente a colmare il gap di comunicazione fra la Lega e cinquestelle.

Seconda tappa: un minuto dopo avere conquistato la piazza che fu della destra italiana si siede al tavolo con gli imprenditori, i commercianti, gli agricoltori, gli artigiani e inizia a tratteggiare quella che dalle parti leghiste viene definita come «la fase due» di un leader che si pone come interlocutore di un mondo, quello imprenditoriale, nei primi mesi di governo tenuto a debita distanza. In questo contesto ha ascoltato ogni singolo interlocutore, ha riempito tre pagine di appunti, e poi ha tirato le somme. Concludendo che vorrà mantenere le promesse della campagna elettorale senza perdere di vista le richieste del mondo produttivo.

Lui infatti si erge a garante degli imprenditori e costringe il collega Di Maio a rimbrottarlo: «Ieri – sbotta il capo del Mise – hanno fatto le parole, ma i fatti si faranno nel mio ministero». E oggi quando Salvini volerà in Israele il vicepremier Di Maio proverà a mettere una pezza incontrando 30 sigle dell’imprenditoria. Una risposta in ritardo al centralismo salviniano che non sarà sufficiente a colmare il gap di comunicazione fra la Lega e cinquestelle. Eppoi non a caso il Salvini dialogante rassicura la bistrattata Europa con la quale ha duellato per settimane in tema di migranti e soprattutto in materia economica: «Così com’è non funziona, vogliamo cambiare l’Europa dall’interno, non abbiamo nessuna idea di fare una Brexit all’italiana in testa». Con una conclusione che è più di un segnale: «L’Europa può ripartire dal dialogo tra Roma e Berlino, farò di tutto per rinnovare l’asse Roma-Berlino e dare nuovo slancio all’Europa».

Tutto questo è casuale o c’è una vera e propria strategia? Il voltafaccia di Salvini che ha costretto Di Maio e company alla rincorsa potrebbe nascondere un disegno che riporta sì a uno schema di governo con i vecchi compagni del centrodestra all’indomani delle elezioni europee. Ma la conseguenza immediata potrebbe essere un’altra: un dialogante Salvini lascerebbe al M5S il cerino della dissidenza. L’habitat naturale di un movimento nato sull’onda del No Tav, del No Tap, e del No a prescindere. Ciò potrebbe consentire alle truppe di Di Maio di riconquistare il consenso dilapidato negli ultimi sei mesi e da giocarsi il tutto per tutto alle Europee. Basterà?

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