No, gli ultrà non stanno solo negli stadi, no. Gli ultrà hanno la giacca e la cravatta con il nodo troppo stretto del ministro alla giustizia Alfonso Bonafede corso a Ciampino per marcare Salvini e inseguirlo sul scivoloso sentiero della propaganda e ha il giaccone troppo largo di spalle della Polizia di Stato (proprio come gli adorati Village People) del ministro Salvini che si spreme con la faccia da truce a favore di telecamere. Entrambi ieri erano impegnati nel piazzale di Ciampino (fin troppo lontani per fabbricare almeno una photo opportunity decente) per spremere lo sguardo più truce di cui sono capaci, trasformando l’arresto di un delinquente (vittima anche della sua oscena esibizione di impunità) in un affare di Stato dove l’unico vero affare è indovinare ogni mattina quale sia il posto migliore per entrare nelle inquadrature, come quegli insopportabili esibizionisti che sbucano durante le dirette televisive. Il tema no, non è Battisti, e mi perdoneranno i tifosi di entrambe le parti se trovo impudico il loro scendere in strada a menare le mani. Quel che interessa è il senso della misura (e ahimè anche il senso della realtà) di un governo che come i pidocchi si attacca ad ogni filo pur di ingrassare la propaganda, intento a trasformare anche qualcosa di condivisibile in una fanfaronata insopportabile, falsa e irrispettosa.
Da una parte c’è il solito ministro dell’interno, sempre più bolso, che gioca a tumefare la giustizia smerciandola come vendetta, occupandosi del colore politico del delinquente di turno per accrescere la sua goffa autorevolezza. Valgono i negri, valgono gli islamici e da ieri valgono anche i comunisti (con un aggettivo usato in modo talmente ignorante che perfino Berlusconi potrebbe arrossire) pur di lordare il dibattito pubblico. A Salvini non interessa nemmeno che Battisti sia Battisti, ne conosce la storia per quel che serve alla composizione di un tweet, gli andrebbe bene anche il cugino della Boldrini per mettere in scena il suo indecente spettacolino di contrapposizione sociale che gli serve per galleggiare su quella bile che è il liquido amniotico della sua credibilità.
Dall’altra parte sbuca il ministro Bonafede che, pur più misurato nell’agghindarsi e nelle interviste, non riesce a trattenere un tweet che è roba da fare sanguinare gli occhi: «Finalmente Battisti è atterrato a #Ciampino e ha toccato il suolo italiano. Oggi diciamo al mondo che non ci si può sottrarre alla giustizia italiana», ha scritto il ministro e immaginate le grasse risate di Matteo Messina Denaro, dei colletti bianchi in Parlamento e di tutta quell’allegra brigata di corrotti e di corruttori che da decenni infestano il Paese. Nemmeno Molière avrebbe avuto il coraggio di scrivere una fanfaronata del genere eppure, per tenere il passo di un gradasso, è inevitabile che tocchi diventare più smargiassi di lui.
Finalmente Battisti è atterrato a #Ciampino e ha toccato il suolo italiano. Oggi diciamo al mondo che non ci si può sottrarre alla giustizia italiana. pic.twitter.com/K6URoO6eyl
— Alfonso Bonafede (@AlfonsoBonafede) January 14, 2019
In tutto questo c’è la parata di stelle istituzionali accampata per accogliere un latitante, roba da Narcos all’amatriciana per senso dello Stato. Perfino un uomo di destra come Guido Crosetto non riesce a trattenersi: «Lo Stato nella sua rappresentazione più alta, Presidenti della Repubblica, Camere o membri del Governo, nella mia logica antica e desueta si muove per accogliere personalità o servitori dello Stato o vittime italiane. Se si smuove per un delinquente, la ratio non è istituzionale»., ha twittato ieri. Difficile dargli torto. Impossibile non sentire l’odore dello sciacallo. Sempre a proposito di citazioni, tanto per sembrare professoroni, si potrebbe riprendere quanto scritto dal biologo Alfred Edmund Brehm: «Gli sciacalli sono dannosi per il loro svergognato brigantaggio. Divorano quanto mangiano, ma derubano anche cose che non mangiano, la loro passione per rubare è forse pari alla loro voracità. Uccidono colla crudeltà e derubano coll’astuzia». Vedi come torna utile la cultura.
Poi ci sono le bugie. Il solito cumulo di insopportabili bugie. Non è vero che Cesare Battisti l’ha preso Salvini (a proposito, ma vi ricordate le risate quando gli altri ministri si attribuivano il merito di qualche boss mafioso?), non è nemmeno vero che l’ha preso Bolsonaro (che anzi se l’è fatto scappare): se davvero vogliamo trasformare la politica nel gioco delle figurine (ci sta, tra ultrà) allora Cesare Battisti è stato arrestato dal presidente boliviano Evo Morales, leader della sinistra. Ogni tanto la drammaturgia della vita è feroce, vero?
E poi c’è quell’aeroporto quando arrivò la salma di Antonio Megalizzi, la solitudine di Mattarella e nessun big di governo in cerca di pubblicità (per gli amici del Movimento 5 Stelle: sì, sì, lo sappiamo che c’era il ministro Fraccaro ma mandare Fraccaro in questo tempo di guerra nel fango tra Salvini e Di Maio fa ancora più silenzio che non mandare nessuno): Megalizzi, del resto, confidava in un’Europa aperta, funzionante, piena. Troppo scomodo, Megalizzi. Meglio Battisti. Poi ci sarebbe la complessità di un momento storico con cui prima o poi bisognerà fare i conti, ci sarebbe l’opportunità di capire la rete di protezione di decine di terroristi che ancora pascolano impuniti in giro. Ma non si ha nemmeno il coraggio, di chiedere un esercizio di complessità a chi non ha nemmeno il senso della misura.