IspirazioniImmigrazione e riscatto: storia di Dalale, imprenditrice per i giovani a trent’anni

Di origini algerine e cresciuta nella banlieue di Parigi, Dalale Belhout è letteralmente partita da zero: mossa da un desiderio di rivalsa, ha studiato duramente (anche all'estero) e da un semplice blog le è nata l'idea per una associazione che ispirasse i suoi coetanei a trovare lavoro

Ciò che colpisce di Dalale Belhout, 31 anni, è il suo sorriso sincero e la sua disponibilità. Pur essendo una trentenne in carriera e un’imprenditrice di successo, Dalale si illumina parlando della storia della sua famiglia. Djelloul Belhout, il padre di Dalale, era un giovane pastore, «il più bravo del villaggio», sostiene lei. Nato nel 1945 nella regione M’Sila ai piedi dei monti Atlas quando l’Algeria era ancora una colonia della Francia, la famiglia non lo aveva mandato a scuola per diffidenza verso i francesi. Quando un giorno arrivò nel suo villaggio la ditta di costruzioni francese Bouygues Construction per reclutare nuovi operai, sorteggiandoli in una lotteria, lui si iscrisse senza dire niente a nessuno. E quando venne estratto il suo nome partì per Parigi. Era il 1970. Djelloul non sapeva ne leggere né scrivere, non parlava francese e aveva solo pochi soldi in tasca ma era giovane e sapeva lavorare duro. Divenne operaio semplice e lavorò da solo a Parigi risparmiando per mandare i soldi a casa alla giovane moglie Noua per ben dieci anni finché lei lo raggiunse nel 1981. Dopo sette anni nacque Dalale, la terza di cinque fratelli.

Che cosa ricorda della sua infanzia?

«Eravamo così poveri che abitavamo in una sola stanza a Parigi. Ricordo che mia sorella e mio fratello dormivano sul tavolo in cucina. Quando avevo tre anni la ditta dove lavorava mio padre gli ha offerto di andare a vivere con la famiglia a Trappes, a circa 30 chilometri da Parigi. Lì ci siamo trasferiti in una casa che a noi bambini sembrava enorme, dove per la prima volta non dovevamo dormire tutti insieme. La vita per mio padre, che faceva il pendolare tra Parigi e Trappes, era dura ma era fiero di averci sistemato. Mia madre lavorava come domestica. Ricordo che faceva anche le pulizie nella mia scuola. Di giorno io andavo lì a studiare e la sera andava lei a pulire. All’inizio questo mi imbarazzava ma poi ho capito che era un lavoro come un altro e non c’era motivo di vergognarsene».

I suoi genitori non hanno studiato. Quanto ha contato l’educazione per lei?

«Ho capito fin da piccola cosa significava essere poveri e che la mia unica via d’uscita era la scuola. Siccome i miei genitori erano analfabeti, non potevano aiutarmi con i compiti. E così io mi impegnavo più di tutti: rimanevo a scuola fino a tardi, volevo sempre capire tutto, facevo un sacco di domande ai professori. Mi spingeva un forte senso di rivalsa: i miei non hanno potuto studiare e io diventerò la più brava di tutti, ce la farò. Volevo essere la prima della classe. Dopo il diploma ho studiato business a Dijon alla Burgundy School of Business e poi ho fatto un MBA all’Università di Nanjing, in Cina. Anche i miei fratelli si sono diplomati tutti. Mio fratello maggiore fa il direttore in una ditta farmaceutica e mia sorella invece è stata ammessa alla prestigiosa SciencesPo di Parigi, la Grande Ècole di Scienze politiche. Sono così fiera di mia sorella. Lei sì che farà strada».

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