Doveva servire a garantire maggiore “Sicurezza” (da cui il nome del decreto) e invece le prime a ringraziare, a quanto pare, saranno le criminalità organizzate. Mentre la comunicazione della maggioranza gialloverde continua ad affermare che con il decreto Sicurezza, appunto, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, è stato messo un freno all’illegalità diffusa e al flusso migratorio incontrollato, gli effetti visivi sul territorio sono ben altri. A cominciare dal business agromafioso del caporalato, già largamente alimentato dalle nuove norme.
«Nel momento in cui in Itala si colpisce la buona accoglienza lasciando ampi margini di manovra alla cattiva accoglienza, oppure lasciando persone in mezzo alla strada, è inevitabile che il caporalato vada a nutrirsi di questa nuova sacca di povertà», spiega il sociologo Marco Omizzolo, massimo esperto del fenomeno e da poco nominato Cavaliere del Lavoro dal presidente della Repubblica proprio per il suo impegno a riguardo.
Il meccanismo per cui il decreto Sicurezza finisce ad incrementare lo sfruttamento nei campi è presto spiegato: con l’abolizione della protezione umanitaria (che aveva durata di due anni) e l’introduzione di «permessi di soggiorno speciali» della durata di un solo anno e con la parallela abolizione del circuito Sprar (sostituiti dai più piccoli “Siproimi”), l’effetto inevitabile è quello di ridurre i beneficiari del circuito d’accoglienza e di aumentare gli irregolari. «I primi dati – spiega Matteo Villa, esperto di migrazioni dell’Ispi (Istituto Studi Politica Internazionale) – dicono che se prima mediamente circa il 25% dei migranti godeva di protezione umanitaria, il mese scorso si è passati con i permessi speciali al 3%. La conseguenza aritmetica è che ci saranno più migranti irregolari». Certo: ci dovrebbero essere più rimpatri, nella narrazione salviniana. Ma che questo accada è praticamente impossibile.
A spiegarlo è ancora Villa: «Negli anni scorsi mediamente ci sono stati tra i cinque e i 7mila rimpatri annui. Nel 2018 sono stati 6.820. Secondo le prime proiezioni, anche se si raddoppiassero i numeri dei rimpatri, ci vorrebbero circa 90 anni per espellere tutti gli irregolari». Ed ecco allora il dato: secondo una stima Ispi, dai 530mila irregolari del 2018 passeremo nel 2020, considerata sia la protezione umanitaria non rinnovata che quella non concessa, a 670mila.
«Nel momento in cui in Itala si colpisce la buona accoglienza lasciando ampi margini di manovra alla cattiva accoglienza, oppure lasciando persone in mezzo alla strada, è inevitabile che il caporalato vada a nutrirsi di questa nuova sacca di povertà»
Inevitabile, dunque, che a godere di questa nuova sacca di ultimi tra gli ultimi possa essere la criminalità. Anche perché, come denunciato dalle associazioni di settore, i primi allontanamenti sono già cominciati. E si potrebbe arrivare fino a 40mila espulsi nel giro di pochi mesi. «Con l’associazione In Migrazione – spiega non a caso Omizzolo – stiamo registrando un legame tra questo decreto e il caporalato in più parti d’Italia».
Solo una settimana fa a Latina è stato scoperto uno sfruttamento diffuso nelle campagne pontine, che toccava 400 braccianti, in parte rumeni, ma soprattutto africani – alcuni dei quali espulsi proprio dai centri d’accoglienza. Situazioni simili si stanno verificando anche al Sud.
«La tesi di Salvini poggia su un assunto: siccome il caporalato c’è e le leggi pure, è evidente che questa non funzioni. Che è come dire: siccome la mafia c’è, bisogna cancellare le leggi antimafia»
Come denunciato solo pochi giorni fa dalla Caritas, nella baraccopoli delle campagne foggiane – il cosiddetto “Gran Ghetto” – le presenze sono quasi raddoppiate. «E l’incremento delle presenze è un effetto della nuova legge perché i ghetti si riempiono quando Cara e Cpr si svuotano: basti pensare al Centro di accoglienza e richiedenti asilo di Borgo Mezzanone, presso Manfredonia, che da mille presenze oggi ne conta solo 200», denuncia don Andrea Pupilla, direttore della Caritas diocesana di San Severo. Esattamente come sta capitando anche in Calabria, dove nei campi di Gioia Tauro solo a dicembre la Caritas ha contato oltre tremila persone a dicembre.
Una situazione, dunque, che rischia di esplodere anche perché, spiega ancora Omizzolo, «il governo finora non ha mostrato alcun interesse al problema del caporalato». Nonostante, ricorda il sociologo, il volume d’affari complessivo dell’agromafia secondo l’ultimo dossier Eurispes sia di 21,8 miliardi di euro, in crescita rispetto all’anno precedente del 30%.
Di uguale avviso anche Giuseppe Civati, fondatore di Possibile e co-autore de Il Capitale disumano (People), saggio che ha il pregio di aver analizzato tutti gli aspetti del decreto Salvini: «È un provvedimento che crea illegalità, perché ha proprio questo obiettivo fin dalla sua concezione. Così, mettendo ai margini persone che stavano affrontando percorsi di integrazione si fa un favore alle mafie e agli speculatori. Il decreto sicurezza crea insicurezza, l’eccesso di retorica per la legalità, crea illegalità. E favorisce chi ha interessi».
Il timore, ora, è che anche la legge 199 del 2016 con la quale si è ottenuto che le responsabilità fossero in capo anche al datore di lavoro, venga presa a picconate dalla maggioranza. «Rivedere la legge contro il caporalato sarebbe un enorme passo indietro – denuncia Omizzolo – Liberare da ogni responsabilità il datore di lavoro che recluta il caporale che a sua volta recluta braccianti, significa fare un grande favore al business agromafioso».
Eppure, secondo i ministri dell’Interno e dell’Agricoltura, la legge pare proprio non funzionare: «La tesi di Salvini poggia su un assunto: siccome il caporalato c’è e le leggi pure, è evidente che questa non funzioni. Che è come dire: siccome la mafia c’è, bisogna cancellare le leggi antimafia». Il sillogismo non fa una grinza.