Ohi MariaTutti pazzi per Mary: così la marijuana sta sconvolgendo l’economia globale

Ormai il giro d’affari della canapa negli Usa è superiore al fattura di McDonald’s. E pure i grandi fondi finanziari si stanno accorgendo delle potenzialità enormi dell’industria. L’Italia? Secondo uno studio, la legalizzazione potrebbe valere mezzo punto di Pil in entrate fiscali

(articolo originariamente apparso su BeLeaf Magazine)

Il futuro sembra molto più verde di quanto non si possa immaginare e presto la canapa entrerà nelle case di tutte le famiglie, diventando un prodotto di uso quotidiano. È questione di tempo. E nemmeno tanto, a dire il vero. Stando infatti ai numeri che ruotano attorno al settore appare evidente come ormai si sia messo in moto un meccanismo talmente grande da non poter essere più fermato.

Si pensi, ad esempio, a quello che sta accadendo negli Stati Uniti, da sempre anticipatori delle innovazioni e dei grandi cambiamenti globali. Negli ultimi anni, più di 30 Stati a stelle e strisce hanno legalizzato la marijuana per scopi medici e ben 10 di loro l’hanno anche legalizzata per uso ricreativo. Passi in avanti rilevanti, che sicuramente hanno influenzato la recente scelta del Canada, primo paese del G7 a legalizzarne l’uso ricreativo. Poi è stato il turno del Messico, del Sudafrica. Scelte politiche forti, che con la loro risonanza globale non possono non aver stimolato il dibattito anche nel Vecchio continente dove, in effetti, alcuni governi stanno finalmente aprendo le porte all’uso medico della cannabis.

Stiamo assistendo insomma a un cambiamento culturale a 360 gradi. Ma allo stesso tempo sta nascendo anche un’industria dalle potenzialità immense. Basti pensare ai colossi che si stanno avvicinando al settore per nuovi progetti d’investimento. Come ad esempio Coca-Cola, che vuole lanciare una bevanda a base di CBD; così come ha intenzione di fare Constellation Brands, produttore della birra Corona, che ha appena investito 4 miliardi per avere la maggioranza dell’azienda canadese della marijuana Canopy Group. Oppure basti guardare Marlboro, che tramite il gruppo di cui fa parte, Atria, ha acquistato per quasi due miliardi di dollari la metà del capitale di Cronos Group, altro produttore canadese di marijuana.

D’altronde, nel mix di eventi che stanno scuotendo il settore, è piuttosto evidente il ruolo determinante che stanno assumendo le grandi multinazionali nel processo di liberalizzazione. Il ragionamento è semplice: più i grandi colossi faranno crescere la popolarità della canapa, portandola nelle case e facendola diventare un prodotto di massa, più i governi e l’opinione pubblica si ammorbidiranno e andranno verso una direzione di apertura. Con un risultato ovvio: la domanda generale crescerà e altri colossi si avvicineranno a loro volta alla pianta dai mille usi, accelerandone inevitabilmente l’ascesa. È un meccanismo che si autoalimenta. E che ormai ha preso il via.

Secondo il più importante studio sull’industria della cannabis, il Marijuana Business Factbook 2018, il numero di posti di lavoro nel settore aumenterà in maniera esponenziale nei prossimi anni, grazie alla crescita dei mercati esistenti e alle progressive liberalizzazioni. L’autorevole ricerca stima che negli Stati Uniti, entro il 2022, l’industria della cannabis riuscirà a garantire fino a 340mila posti di lavoro a tempo pieno, con una crescita del 21% circa ogni anno. E l’Europa non sarà da meno visto che secondo l’European Cannabis Report, nei prossimi 10 anni il Vecchio continente potrebbe addirittura vantare il più grande mercato di cannabis al mondo.

Nel frattempo, dicevamo, è in atto un cambiamento culturale nei confronti di quello che fino a qualche anno fa era considerato un male da cui stare alla larga. La sempre maggiore diffusione della cannabis terapeutica, ad esempio, sta contribuendo non poco a questo cambiamento. È davvero interessante in tal senso notare come negli anni sia cambiata l’idea nei confronti della legalizzazione: oggi negli States oltre il 60% degli abitanti (compresa la maggioranza dei conservatori repubblicani), sostiene l’uso ricreativo, esattamente doppio rispetto alla percentuale che si registrava nel 2000. Se si prende poi in considerazione la parte della popolazione favorevole all’uso medico della cannabis, si arriva addirittura al 90%. E anche qui vale sempre lo stesso concetto: se cambia l’opinione pubblica, cambierà di conseguenza anche l’opinione dei politici che dovranno decidere se aprire o meno il settore.

Solo negli Stati uniti, nel 2018, le vendite legali di cannabis hanno superato i 10 miliardi di dollari, più del fatturato di McDonald’s. Mentre il totale del mercato illegale, sempre negli States, è stimato tra i 30 ei 40 miliardi di dollari.Una cifra che in ottica mondiale raggiunge addirittura i 150 miliardi di dollari

L’interesse e il fermento della finanza
Il sempre maggiore appeal economico è confermato poi dall’interesse degli investitori istituzionali e dei grandi speculatori, che ovviamente stanno cominciando a fiutarne tutti i vantaggi. Osservando i mercati finanziari, infatti, si nota immediatamente come le azioni del settore della canapa, trattate soprattutto sui listini di Usa e Canada, viaggino da tempo in territorio positivo.

L’indice di categoria North American Marijuana Index, quello che raccoglie le principali aziende del settore, si muove in rialzo, ma sono soprattutto alcuni singoli titoli a stupire per le loro super-perfomance. Come è accaduto ad esempio con la canadese Canopy Growth, che dalla sua quotazione avvenuta nel 2014 ha moltiplicato di moltissime volte il proprio valore. O come il caso della Tilray, società canadese controllata attraverso una holding olandese, che dopo la quotazione a Wall Street ha visto schizzare il suo valore da 17 dollari fino al picco record di 214 dollari. Il tutto in poche settimane, con rendimenti superiori al 1000% in pochissimi giorni, che in effetti fanno molto riflettere su quello che si sta muovendo attorno al settore.

È chiaro che i grandi speculatori siano ormai sempre più attratti da questo grande fermento, esattamente come avviene quando l’odore del sangue attira la voracità degli squali. Vedi il caso dell’imponente fondo di investimento Vanguard, ad esempio, che diventando il maggiore azionista della canadese Aurora Cannabis ha fatto apprezzare il suo valore in Borsa di oltre il 400%. Per non parlare dei vari fondi Etf che stanno spuntando e che investono solo su aziende del settore. Il più grande, Life Sciences, in un anno ha più che raddoppiato il proprio valore.

D’altra parte le potenzialità sono davvero immense guardando i numeri. Solo negli Stati uniti, nel 2018, le vendite legali di cannabis hanno superato i 10 miliardi di dollari, più del fatturato di McDonald’s. Mentre il totale del mercato illegale, sempre negli States, è stimato tra i 30 ei 40 miliardi di dollari.Una cifra che in ottica mondiale raggiunge addirittura i 150 miliardi di dollari. Almeno secondo quanto emerge da un documento redatto dall’Onu che analizza il giro d’affari per la sola cannabis ricreativa e parla di oltre 180 milioni di consumatori. E se ancora non vi avessero convinto questi numeri da capogiro, basterebbe aggiungere il fatturato della parte terapeutica e di tutti i prodotti a base di cannabis, dall’alimentare alla salutistica passando per la bioedilizia. Si pensi anche alla canapa come bio-carburante, abbigliamento e bio-palstica.

Secondo uno studio di Marco Rossi, economista e professore all’Università della Sapienza, secondo cui “se emergessero completamente i consumi interni, le entrate fiscali derivanti dalle imposte sulle vendite sarebbero comprese tra i 4 e gli 8 miliardi di euro all’anno”. Quasi mezzo punto di Pil

E in Italia?
Nel nostro Paese, nonostante alcuni problemi di natura normativa, che speriamo la politica risolva al più presto, la cannabis legale rappresenta ormai più che un’opportunità. Secondo alcuni la sua presenza sta addirittura contribuendo ad eliminare il pregiudizio che ruota attorno alle infiorescenze (sebbene altri osservatori giudichino la cannabis light una mossa controproducente ai fini di una vera e propria legalizzazione).

Per il momento, il fiore a basso contenuto di Thc sta comunque contribuendo alla crescita dell’economia creando nuovi posti di lavoro. I dati sul suo valore di mercato, forniti dall’Aical (l’Associazione Italiana Cannabis Light), parlano di una cifra superiore ai 40 milioni di euro. Solo per il 2018. Ma è chiaro che fino a quando ci sarà l’incertezza legata alla normativa i veri investimenti tarderanno ad arrivare.

Le potenzialità per incrementare i fatturati del settore tuttavia ci sono. Eccome. Si pensi alle ottime condizioni climatiche del nostro territorio, ad esempio. Oppure alle affinità che l’Italia ha in generale nei confronti del settore agricolo.

Più volte negli ultimi tempi, Federcanapa ha dichiarato come “il boom della canapa italiana negli ultimi 5 anni sia ormai un dato di fatto”. E in uno studio recente, Coldiretti ha affermato che in Italia si è passati dai circa 400 ettari coltivati nel 2013 agli oltre 4mila seminati nel 2018. Tutte coltivazioni necessarie per sostenere la costante crescita dei prodotti a base di cannabis, dall’alimentare alla bioedilizia.

E se un giorno il nostro paese dovesse davvero svegliarsi dal torpore proibizionista?
​Ebbene, una eventuale legalizzazione, come per magia, darebbe davvero una mano consistente alla quadratura dei conti pubblici. A dimostrarlo, tra gli altri, è uno studio di Marco Rossi, economista e professore all’Università della Sapienza, secondo cui “se emergessero completamente i consumi interni, le entrate fiscali derivanti dalle imposte sulle vendite sarebbero comprese tra i 4 e gli 8 miliardi di euro all’anno”. Quasi mezzo punto di Pil.
Peraltro, si otterrebbe quello a cui ogni Paese civile dovrebbe ambire, ovvero il trasferimento dei profitti dalla criminalità organizzata alle casse dello Stato (e alle tasche dei cittadini). Ma forse il nostro Paese non è ancora pronto a far prevalere tanto buonsenso. Staremo a vedere.

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