Fino a un minuto prima del fallimento, la Mens Sana è stata la Juventus del basket italiano. Dal 2004 al 2014 la squadra di pallacanestro di Siena ha dominato la Serie A, vincendo cinque coppe Italia e otto scudetti, di cui sette di fila. E se non fosse stato per la prodezza di un giocatore dell’Olimpia Milano allo scadere di gara 6, nel 2014, Siena avrebbe vinto il nono scudetto. E lo avrebbe fatto proprio nella stagione al termine della quale fallì su istanza della Procura, che indagava su una frode fiscale legata a fatture per operazioni inesistenti. Parte da quei secondi prima del gong la storia raccontata con minuzia di particolari da uno dei suoi protagonisti: Flavio Tranquillo. Il più grande giornalista di basket italiano, famoso per i suoi commenti leggendari dell’Nba con Federico Buffa, ha fatto molte volte la telecronaca delle partite della Montepaschi Siena. Per chiarire le idee a noi, e a lui, su com’è andata questa vicenda, Tranquillo ha scritto un libro inchiesta: “Time out” (Add editore), come il nome dell’indagine iniziata nel 2012 dalla procura di Siena. Non è solo un libro sulla Mens Sana, né un ragionamento solo sul mondo del Basket. Perché questa storia è il simbolo di come troppo spesso i rapporti tra imprenditori e squadre sportive non siano sempre così chiari. Dalla serie A di Basket fino alla serie C di calcio, nessuno è escluso. Dopo cinque anni e 4 trofei revocati (2 coppe Italia e 2 scudetti), la Montepaschi Siena non esiste più. Dalle sue ceneri è nata la Mens Sana Basket 1871 che però pochi giorni fa è stata esclusa dalla serie A2 Girone Ovest per motivi finanziari e sportivi. Perché sbagliando non sempre si impara. Bisogna conoscere il passato per evitare che si presenti di nuovo in futuro. «Il libro di 300 pagine è frutto di una mediazione con l’editore. Se fosse per me ne sarebbero servite almeno 600, se non 900, per raccontare bene questa vicenda. Di cui ho pensato di occuparmi partendo da una cifra iscritta a bilancio».
Partiamo da quella cifra.
Il costo dei salari dei giocatori in una stagione in cui Siena vinse lo scudetto e partecipò alle final 4 di Eurolega: 5 milioni e 122 mila euro, un importo in cui mi sono imbattuto per caso. Per i non appassionati questa cifra può voler dir nulla, ma se si ha un’idea, e devi averla se fai questo mestiere, di quali sono gli stipendi dei campioni che c’erano in quella squadra, la posta era tale da suscitare delle domande. Per farmele, ho avuto bisogno di tantissimo tempo e di alcune coincidenze. Ho dovuto staccarmi emotivamente dal basket italiano, perché Sky banalmente non aveva più i diritti della competizione. E ho avuto bisogno di un’inchiesta della magistratura.
Secondo te perché non si è capito fin da subito che qualcosa non tornava nei bilanci di quella squadra?
Ci sono tante situazioni in cui si è di fronte, ai margini o appena all’interno di una situazione illegale e illecita, ma ci si mette nelle condizioni di non guardare. E invece noi giornalisti abbiamo una responsabilità maggiore da questo punto di vista rispetto a chiunque altro
Quale?
Quella, all’opposto, di mettere gli altri nelle condizioni di sapere. Facendoci quelle domande, sviluppando quelle indagini storiche e verificando quei ragionamenti logici che possono aiutare a sapere. Ho praticato a lungo un atteggiamento culturalmente omertoso, nei confronti del quale oggi sono critico. Il giornalismo deve essere, se non un un contropotere, almeno un fattore di equilibrio del sistema, tramite quegli approfondimenti che possono fugare I dubbi. Forse una pressione discreta, circostanziata e documentale, nei tempi giusti, avrebbe reso più difficili alcune delle operazioni che hanno poi portato al fallimento di Siena. E il discorso va allargato a molte altre realtà, non solo del basket. Questo non vuol dire sostituirsi a Nastasi, il pm dell’inchiesta. Io però avrei potuto, e dovuto, prendere banalmente quel dato, andare in conferenza stampa e chiedere: ma voi pagate veramente 5 milioni e 122 mila euro per quel roster? Sarebbe stata una mia precisa responsabilità, ma troppo spesso, per ragioni comprensibili, ci mettiamo nelle condizioni di non vedere e di non approfondire.
Il personaggio principale di questa storia è Ferdinando Minucci, il presidente della Mens Sana. Di cosa fu accusato dalla procura nel 2014 e come funzionava quel sistema?
Le accuse sono state di associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, di false comunicazioni sociali e di bancarotta fraudolenta. Il meccanismo ipotizzato dagli inquirenti si fondava su un complesso giro di false fatturazioni, con conseguente retrocessione di una parte consistente delle somme fatturate alla società cestistica e conseguente evasione fiscale, praticata anche tramite contratti per la cessione dei diritti di immagine. Per la Procura, questo meccanismo ha provocato il dissesto, e poi il fallimento, del club. Il prossimo 7 maggio il Tribunale di Siena esaminerà la richiesta, presentata congiuntamente dalla difesa di Minucci e dal Pm, di un patteggiamento per una pena appena superiore ai 4 anni.
Se i proprietari rivendicano con orgoglio di perdere dei soldi facendo questa attività, non possiamo esserne contenti (ammesso, e non concesso, che sia vero). Basta prendere un libro di economia per capire che perdere denaro in un’attività significa togliere ricchezza al sistema. E a me non va questa situazione, perché amo la pallacanestro.
Cosa ha contato di più nel fallimento della squadra? Il ruolo del presidente Minucci, il non approfondimento dei giornalisti o la crisi della banca Montepaschi?
In questa vicenda non c’è un aspetto che prevale sugli altri. L’aspetto penale, l’aspetto sportivo, le vittorie, le fatture, gli errori, le mille altre cose che sono collegate soprattutto alla banca Montepaschi di Siena. Sono tutte legate assieme e non c’è modo di separarle. Ed è questa la maledizione con cui i tifosi dovranno convivere per sempre: non poter stabilire con certezza, molto al di là delle sentenze, quanto gli illeciti sportivi e penali abbiano influenzato i risultati.Anche la giustizia sportiva ha avuto le idee poco chiare ma alla fine ha deciso di revocare due degli otto scudetti. Quelle sono vittorie meritate sul campo?
Uso un eufemismo: il discorso, che ha raggiunto toni parossistici nel caso di Calciopoli, non mi appassiona. Anche per questo ho deciso di parlarne solo nel nono capitolo, dopo 218 pagine. Per me, non è la priorità di questa vicenda. Posso solo dare la mia opinione, che vale zero.Non proprio zero.
Da telecronista ho visto le partite, e le partite si giocano sul campo. Quella squadra sul parquet è stata più forte delle altre. Naturalmente non mi sfuggono i meccanismi di “ingegneria finanziaria” e di “accounting creativo” per cui Siena ha potuto permettersi quei giocatori, e l’operazione finanziaria che nel 2012 le ha permesso di iscriversi a un campionato (poi vinto) a cui non aveva titolo di partecipare secondo la ricostruzione della Federazione italiana pallacanestro. Ritengo però sacro il verdetto del campo, e non mi porrei neppure il problema della revoca ex-post dei titoli.Significa che allora sono meritati?
No, ma neanche che non lo sono. Quelle partite hanno un valore sportivo che non potrà mai essere cancellato a tavolino. Siena non ha vinto solo grazie agli effetti di quelle operazioni illecite, ma quegli effetti fanno parte (assieme a mille altri fattori) di quei risultati. È inutile, oltre che ozioso e fuorviante, lambiccarsi: non si potrà mai spaccare la mela a metà.Cosa rimane a Siena dopo il fallimento della Mens Sana?
Rimane il radicamento della pallacanestro, una tradizione che viene da lontano. Talmente forte da resistere anche oggi che la squadra non gioca. Rispetto molto questo sentimento. Così forte che tantissimi tifosi sono disposti spesso a qualsiasi cosa pur di avere una squadra in campo. Mi piacerebbe invece che a Siena (e altrove!), rimanesse l’amore per la maglia, ma che sparisse una volta per tutte la tendenza a non farsi domande. E vero che i media devono farsene più degli altri, ma se in cinque anni falliscono due realtà così lontane nella stessa città, quelle domande riguardano l’intera comunità.La Mens Sana non è l’unica squadra fallita per operazioni finanziare illecite. Sono tanti anche gli esempi nel calcio. Secondo te perché un imprenditore decide di investire in una squadra?
La risposta tecnica è che falliscono molte meno squadre di quello che i dati di bilancio suggerirebbero. Si chiama sindrome SBC (Soft Budget Constraint) ed è riassumibile nell’assunto “too big to fail”. Questo fatto dovrebbe portare a una riflessione un po’ più profonda sul concetto di “investimento” nello sport. Uso le virgolette perché il termine è improprio, in quanto senza ritorni gli investimenti non sono giustificati.Fanno tutti così?
No, non non fanno tutti così. Però se i proprietari rivendicano con orgoglio di perdere dei soldi facendo questa attività, non possiamo esserne contenti (sempre ammesso, e non concesso, che sia vero). Basta prendere un libro di economia per capire che perdere denaro in un’attività significa togliere ricchezza al sistema. E a me non va questa situazione, perché amo la pallacanestro. Se aggiungi che il tasso di situazioni illegali non è episodico e non accenna a diminuire, la situazione non è delle migliori.Come si può evitare?
Creando le condizioni per cui sia possibile e necessario guadagnare facendo sport. C’è molta gente che guadagna facendo sport in Italia, ora bisogna che guadagni il sistema, in modo che la ricchezza generata venga reimpiegata nel settore.Purtroppo non siamo la Nba. Come si può mettere veramente il sistema basket Italia nelle condizioni di far guadagnare gli imprenditori?
Lo sport professionistico deve essere impresa nel senso più pieno del termine, come è negli Stati Uniti. I meccanismi da utilizzare vanno studiati dai manager e adattati al contesto competitivo, come in qualsiasi azienda. Il basket ha tutte le possibilità di reggersi sulle proprie gambe, ma per farlo dovrebbe radere al suolo un sistema e ricostruire da zero. Personalmente credo che sia l’unica prospettiva possibile.